Gasdotto Tap: i rischi per ambiente e popolazione corrono lungo il tracciato

Il gasdotto Tap è pronto al 90%, ma una nuova inchiesta della Procura di Lecce si mette di traverso. Ecco cos'è il gasdotto Trans-Adriatico, il percorso, la posizione dei No Tap e dell'impresa e i tanti rischi che il progetto si porta dietro. Dall'impatto ambientale al riscaldamento globale

Lo scorso 6 settembre, per la seconda volta, un’inchiesta si è abbattuta sul gasdotto Trans-Adriatico in Puglia. La procura di Lecce ha chiuso le indagini preliminari che hanno portato a sette ipotesi di reato contestate a 19 indagati (fra cui la stessa società Tap, acronimo di Trans Adriatic Pipeline), per la realizzazione del progetto «in assenza di autorizzazioni ambientali, idrogeologiche, paesaggistiche ed edilizie, essendo illegittima quelle rilasciate con i decreti 223 dell’11 settembre 2014 e 72 del 2015».

L’inchiesta arriva insieme a una nuova ondata di contestazioni per fermare l’operato della società e a un possibile cambio di rotta degli investitori. Ma quali sono i problemi connessi al gasdotto e che ruolo hanno gli abitanti delle terre dove passa?

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Foto: Alessandra Tommasi (via Flickr)

Percorso, rischi e impatto ambientale del gasdotto Tap

Una volta terminato, il progetto Tap sarà un’infrastruttura di 878 km, che passerà per buona parte 1,5-2 metri sotto campi coltivati, boschi, prati o sul fondo marino. Anche se questo scenario rappresenta solo il tratto finale di un megagasdotto di 4.000 chilometri, detto Corridoio Meridionale del Gas, che si snoda da un giacimento in Azerbaijan e approda in Italia per gli ultimi otto km fino al Terminale di Ricezione a Melendugno, in provincia di Lecce.

Ormai completo al 90%, ha attraversato Grecia (per 550 chilometri), Albania (215) e lo stesso Mare Adriatico (105). Prima del Tap, il tratto Trans-Anatolia Gas Pipeline (Tanap) attraversa invece la Turchia. Alle sorgenti, il South Caucasus Pipeline (Scp) trasporta il gas dal giacimento azero di Shah Deniz passando per la Georgia.

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Dal sospetto di possibili rischi per le zone interessate, venne la prima Valutazione di impatto ambientale del 2014, conclusa nel 2017, quando la Corte costituzionale giudicò inammissibile il conflitto sollevato dalla Regione Puglia contro lo Stato in relazione al procedimento di autorizzazione al Tap.

Percorso: tracciato Tap fino all’Italia (Melendugno, Lecce)

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Percorso del gasdotto Tap (in blu) – Mappa: Pechristener (via Wikimedia)

No Tap: il nodo dell’impatto ambientale

Ciononostante, la popolazione locale non ha mollato la presa. Per ragioni che riguardano tanto i diritti umani quanto la difesa dell’ambiente, di pari passo alla realizzazione del gasdotto sono andate avanti infatti anche le proteste per fermarlo, che avevano preso avvio già nel 2011.

«In Azerbaijan, Turchia e Georgia sicuramente non si ha la possibilità di avere una Valutazione di impatto ambientale come quella che c’è sul territorio europeo, ma anche negli stati di competenza europea la normativa vigente potrebbe essere stata elusa in maniera clamorosa», dice Gianluca Maggiore del Comitato No Tap.

«Quest’opera è stata pubblicizzata come un tubicino, in realtà l’impatto è molto elevato: a livello globale questo tipo di gasdotto perde dal 3 al 6% del gas che trasporta ed è gravissimo». E, sulle contestazioni, aggiunge: «Non è che decidi tu, è proprio un problema di democrazia. Noi siamo un movimento che combatte un sistema di opere inutili e imposte dall’alto. Io mi sono trovato il gasdotto a casa mia, come se l’è trovato il cittadino greco o quello azero».

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Evento a San Foca (Lecce), dove dovrebbe passare il Tap – Foto: Alessandra Tommasi (via Flickr)

Paesi a rischio democrazia lungo il percorso del Tap

La storia del progetto è infatti intrecciata a quella di una lotta senza confini geografici. «In paesi come l’Azerbaijan, ma anche la Turchia, l’impatto del Tap s’intreccia con l’accesso all’informazione pari a zero e governi che, se non sono dei regimi, sono comunque poco trasparenti o molto repressivi», dice Elena Gerebizza, rappresentante dell’associazione Re:Common, che da anni si batte per fare luce sulle conseguenze del gasdotto nei territori che attraversa.

«Ci sono contesti in cui, anche solo chiedere trasparenza in merito a questo progetto, sulle compensazioni, o su come il governo pensi di utilizzare le entrate previste che ne deriveranno, può essere fonte di pericolo e addirittura di arresto per attivisti, avvocati, giornalisti».

La seconda inchiesta potrebbe dare ragione ai tanti oppositori come Maggiore e Gerebizza e avere un impatto sul corso del progetto.

Storia del gasdotto Tap: l’estrattivismo europeo a partire dall’accordo tra Italia, Albania e Grecia

«I numerosi contenziosi giudiziari (finora risolti tutti a favore del Tap) e alcuni episodi “sul campo” dell’opposizione locale alla realizzazione dell’opera, hanno avuto l’effetto di rallentare il cronoprogramma dei lavori, senza tuttavia modificare la previsione di entrata in funzione dell’opera nel 2020», dice Luigi Quaranta, capo dell’ufficio stampa Tap per l’Italia.

Il progetto Tap nasce come uno dei quattro candidati a diventare vettori del gas in Europa. Nel 2012 Italia, Albania e Grecia raggiunsero un accordo per lo sviluppo e la realizzazione di un gasdotto per il trasporto di gas naturale dai giacimenti in Azerbaijan. Il memorandum d’intesa fu firmato a New York dai ministri degli Esteri dei tre paesi: Giulio Terzi (Partito Radicale), Edmond Panariti (Movimento Socialista per l’Integrazione) e Dīmītrīs Avramopoulos (Nuova Democrazia).

Dopo l’accordo, nel luglio 2013 il consorzio Shah Deniz selezionò Tap come il progetto migliore, dando il via alla fase di ingegneria e costruzione del progetto. I lavori sono stati inaugurati nel maggio 2016 con una cerimonia a Salonicco e, a oggi, la realizzazione del gasdotto è in fase molto avanzata.

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Vista sul luogo dove sono iniziati i lavori del Tap – Foto: Alessandra Tommasi (via Flickr)

Gasdotto Tap: azionariato, contratti e obiettivi dichiarati

L’azionariato della società è composto dalla Bp (possiede il 20%), dall’azienda energetica statale azera Socar (20%), dall’italiana Snam (20%), dalla belga Fluxys (19%), dalla spagnola Enagas (16%) e dalla svizzera Axpo (5%).

Nove grandi aziende energetiche europee, tra le quali le italiane Enel, Edison ed Hera, hanno sottoscritto con il consorzio Shah Deniz contratti venticinquennali per l’intera capacità del gasdotto. Il valore complessivo dell’investimento per il cosiddetto Corridoio meridionale del gas è stimato in circa 45 miliardi di dollari.

Buona parte del gas sarà destinata a consumatori a Nord delle Alpi e, in tutta Europa, l’esigenza di un simile progetto è stata sostenuta in nome di una maggiore diversificazione dei fornitori. «Il Corridoio Meridionale del Gas è un progetto lungamente perseguito dall’Unione europea con l’obiettivo di aprire l’accesso a nuovi fornitori e ridurre la forte dipendenza dalla Russia e dal Nord Africa», dice Quaranta.

Pro e contro: gas come via per la transizione energetica?

Se da un lato le motivazioni di carattere geopolitico hanno contribuito non poco alla realizzazione del progetto, dall’altro il ruolo del gas è stato sovrastimato. Nell’ambito delle politiche europee di contrasto al cambiamento climatico, il gas ha infatti conosciuto una fama molto positiva negli ultimi anni. Per via del livello di CO2 climalterante emessa nell’atmosfera inferiore rispetto al carbone (ma pur sempre primo in Italia al 45%), si è detto che il gas avrebbe dovuto contribuire alla transizione energetica sostituendosi alle centrali elettriche di vecchio stampo.

Eppure, combustibile fossile resta, mentre sono le rinnovabili a convincere di più nel più recente dibattito su energia e clima in linea con l’Accordo di Parigi.

«Diversi studi mostrano che l’uscita dal carbone in Italia può essere gestita in modo sicuro e conveniente attraverso il ricorso a tecnologie a zero emissioni (coal-to-clean), senza bisogno di nuova capacità a gas», ha scritto nel suo rapporto Luca Bergamaschi, esperto di energia e clima del think tank europeo E3G e promotore dell’iniziativa Clima Europa per un Green New Deal europeo. «Per ottenere ciò è necessario in primo luogo una maggiore attenzione da parte della politica e una maggiore competenza a livello istituzionale».

Gasdotto Tap, un progetto «nato vecchio»

Ciò che potrebbe danneggiare il Tap è proprio il passare degli anni. Così le critiche all’utilità dell’opera si sono aggiunte alle controversie ambientali.

«Il problema è che Tap è nato vecchio», dice Claudio Magliulo, della campagna internazionale per il clima 350.org. «Anche se dovessimo lasciare questo gasdotto chiuso e inutilizzato o addirittura smantellarlo, sarebbe sempre meglio che tenerlo operativo per i prossimi 20 anni, perché tenerlo aperto significa incatenarsi mani e piedi a una dipendenza dal gas di cui l’Italia non ha bisogno, la cui domanda prevista all’inizio del progetto doveva provenire dal Nord Europa e che è molto probabile diminuisca rapidamente proprio in quei paesi che si stanno invece avviando verso una transizione energetica».

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Manifestazione contro gli investimenti nell’energia fossile – Foto: 350.org (via Flickr)

Il ruolo della Banca europea degli investimenti

La necessità dell’opera potrebbe farsi sentire sempre meno, ma intanto sarà portata a compimento. A meno che gli investitori decidano di chiudere i rubinetti.

Nel 2018 l’Italia è stato il secondo paese che ha goduto di più finanziamenti dalla Banca europea per gli investimenti (Bei), con 7,3 miliardi di euro. Di questi, il 23% è stato dedicato al clima (1,6 miliardi), ma nel campo energetico il gas ha ricevuto quattro volte tanto quanto ricevuto dalle rinnovabili: il progetto Tap ha goduto di un finanziamento di 105 milioni e la Società Gasdotti Italiani di altri 90 milioni per infrastrutture fossili nazionali.

Da poco la Bei ha iniziato a valutare un cambio di politica che escluderebbe prestiti destinati alle fonti fossili dal 2021 in poi.

«Il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi e la lotta ai cambiamenti climatici richiede una profonda trasformazione della nostra economia e della nostra società. Semplicemente non possiamo sostenere i costi dell’inazione. L’approvazione della futura politica di prestiti energetici della Bei costituirà una parte fondamentale della risposta dell’Ue alla lotta ai cambiamenti climatici e al rafforzamento del ruolo della Bei in quanto Banca climatica dell’Unione», ha affermato il presidente della Bei, Werner Hoyer il 10 settembre nell’ambito di una prima discussione sul cambio di policy.

Ultime notizie: il futuro del gasdotto Trans-Adriatico

Restano da vedere le effettive ricadute sul Tap, dal momento che un eventuale mutamento delle politiche della Banca europea per gli investimenti non avrebbe effetti retroattivi sul prestito già erogato. Tra gli scenari possibili, quello del Green New Deal proposto dalla nuova presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen richiederà molto impegno da parte di governi e istituzioni.

«Il punto è che il progetto è estremamente politico», dice Gerebizza. «La società Tap è una società di scopo, costituita per costruire questo gasdotto. È chiaro che cercherà di portare a termine la costruzione. Diverso sarebbe per gli altri soggetti coinvolti, i governi e la Commissione europea, che potrebbero cambiare idea alla luce del nuovo contesto politico e potrebbero aprire un negoziato con gli azionisti e i governi. Forse si arriverebbe a un contenzioso, ma non sarebbe la prima volta. Pensiamo per esempio al caso recente dalla chiusura delle centrali nucleari in Germania, dove la decisione politica ha prevalso sull’interesse commerciale».

Maggiore è d’accordo: «Le proteste hanno alti e bassi. Attualmente con le nuove indagini stanno avendo un nuovo picco. Ma se c’è un problema, deve riguardare tutta la comunità, da chi produce questi idrocarburi a chi li utilizza. È chiaro che il futuro non può essere il gas rispetto al carbone. Il futuro è un sistema che dà la possibilità a tutti di essere produttori e consumatori di energia. Questo è quello per cui noi lottiamo: un sistema veramente democratico».

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