Burkina Faso: la violenza mette in pericolo l’istruzione dei bambini
La violenza contro scuole e professori costringe molti istituti a chiudere. E così il 1° ottobre, quando le lezioni dovrebbero riprendere in tutto il Burkina Faso, 300 mila bambini vedranno violato il proprio diritto all'istruzione. Una situazione diffusa all'Africa occidentale e centrale, dove sono 2 milioni i ragazzi che non possono entrare in classe
da Ouagadouogou, capitale del Burkina Faso
Il 1° ottobre, in teoria, i bambini del Burkina Faso rientrano a scuola. Ma molti di loro non potranno ricominciare le lezioni. Dall’inizio dell’anno a oggi, infatti, 2.000 scuole del paese saheliano sono state chiuse perché hanno subìto attacchi da parte di gruppi armati o minacce, perché le famiglie sono fuggite alla violenza, o perché a scappare sono stati gli insegnanti.
9 mila scuole chiuse in Africa occidentale e centrale
«A gennaio le scuole chiuse erano poco più di 200. Stiamo assistendo a un rapido deterioramento della situazione», conferma a Osservatorio Diritti Adamà Traoré, esperto di educazione dell’Unicef in Burkina Faso. Secondo il recente rapporto dell’organizzazione umanitaria, “L’istruzione in pericolo in Africa Occidentale e Centrale“, sono oltre 9.200 le scuole chiuse a causa di violenza e conflitti in Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica democratica del Congo, Mali, Niger e Nigeria.
Il numero è triplicato dal 2017 e quasi 2 milioni di bambini non possono sedere sui banchi. Di questi, 300 mila nel solo Burkina Faso.
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Burkina Faso: nel 2019 uccisi almeno sette insegnanti
«Ero nel mio villaggio, abbiamo sentito urlare e poi sparare. Hanno sparato ai nostri insegnanti e ne hanno ucciso uno. Poi hanno bruciato la scuola. Ho avuto paura, mi sono sentito perso e indifeso».
A parlare così all’Unicef è Hussain, 14 anni, testimone di un attacco in un villaggio del nord del Burkina Faso, l’area dove i gruppi armati sono più attivi.
Almeno sette insegnanti sono stati uccisi quest’anno nel paese. «Ci raccontano che gli assalitori chiedono loro di fare lezioni in arabo e, se non sono in grado, di andarsene, lasciare la scuola», continua Traoré. «Ma accade che gli attacchi non vengano neppure rivendicati, seminando il panico anche nei villaggi vicini».
Nel Sahel centrale e nei paesi del bacino del lago Ciad l’istruzione di “stampo occidentale”, soprattutto delle bambine, è fortemente osteggiata dai gruppi armati di matrice islamista, in particolare Boko Haram.
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Bambini soldati e matrimoni forzati: bambini in pericolo in Burkina Faso
Il rischio è che la chiusura delle scuole si protragga a lungo, negando il diritto all’istruzione, ma soprattutto accrescendo il pericolo che i bambini finiscano per essere reclutati dai gruppi armati e le bambine diventino mogli troppo presto in un contesto nel quale i matrimoni infantili sono già diffusi, soprattutto nelle aree dove il tasso d’istruzione e di scolarità sono più bassi.
L’Unicef calcola che in Burkina Faso il 52 per cento delle ragazze si sposi prima dei 18 anni, il 10 per cento prima di compierne 15. In Nigeria e nel nord del Camerun, spesso sono proprio le bambine che vanno a scuola l’obiettivo di Boko Haram, che le rapisce per costringerle a diventare mogli e madri, come accaduto nel 2014 a Chibok in Nigeria, quando 276 allieve del liceo locale furono portate via dai miliziani di Boko Haram.
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La cartina: dove si trova il Burkina Faso (capitale Ouagadouogou)
Le contromisure del governo di Ouagadouogou
Per rispondere all’emergenza, il governo del Burkina Faso ha varato insieme alle organizzazioni che si occupano di protezione dell’infanzia una strategia per la scolarizzazione nelle aree dove la sicurezza non è garantita. «Formiamo gli insegnanti e le istituzioni a comprendere e gestire vari tipi di rischi, dalle inondazioni agli attacchi armati», spiega Traoré. «Ci sono esercitazioni, ma anche un appoggio su come affrontare la paura di un’aggressione armata».
I bambini come Hussaini, che ha lasciato il villaggio con tutta la famiglia e non ha una classe dove andare, possono seguire un programma didattico specifico trasmesso alla radio e ricevere le visite di un educatore che li assiste con i compiti e controlla i progressi.
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Burkina Faso: instabilità e rifugiati in aumento
Nel 2019 gli attacchi si sono intensificati in tutto il Sahel occidentale. Nel solo Burkina Faso si calcola che da gennaio oltre 230 mila persone abbiano abbandonato le loro case per fuggire dalla violenza, rivolta soprattutto ai simboli dello stato: commissariati di polizia, basi militari, scuole, autorità tradizionali e centri sanitari, ma anche chiese cristiane. Gli abitanti dei villaggi sono vittima delle aggressioni dei gruppi armati, degli scontri intercomunitari e della risposta eccessiva delle forze dell’ordine, come denunciato dall’ong Human Rights Watch.
L’ufficio per il coordinamento degli affari umanitari dell’Onu (Ocha) stima che il numero degli sfollati interni supererà i 300 mila entro la fine dell’anno, oltre 1,3 milioni di burkinabé hanno bisogno di assistenza, in particolare sanitaria, visto che il numero di centri medici e dispensari chiusi a causa della situazione di instabilità continua a crescere.
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La lotta al terrorismo di matrice jihadista
Lo stato stenta a trovare una risposta a questa ondata di attacchi perpetrati soprattutto da gruppi legati alla galassia dell’estremismo islamico, in particolare il Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim) legato ad al Qaeda e allo Stato islamico del grande Sahara, attivi in tutta la regione, ma con una sempre maggior capacità di reclutare manodopera locale.
In agosto un sanguinoso attacco nella provincia di Soum, nel nord del paese, aveva fatto 24 morti tra i militari. E qualche giorno dopo a cadere sono stati tre poliziotti, vittime di un’imboscata vicino alla città di Djibo.
E proprio alla vigilia di un vertice straordinario sul terrorismo dei capi di stato e di governo della comunità economica degli stati dell’Africa occidentale, svoltosi il 14 settembre a Ouagadougou, molti poliziotti di Djibo hanno annunciato di aver abbandonato la postazione a causa della mancanza di equipaggiamento adeguato.
Il summit si è concluso con la decisione di stanziare quasi 1 miliardo di dollari nei prossimi 4 anni per la lotta contro il jihadismo. Fondi che dovrebbero servire al rafforzamento delle forze multinazionali già esistenti nell’area come il G5 Sahel, la piattaforma di cooperazione in materia di sviluppo e difesa creata nel 2014 da Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad, che fatica a raggiungere la piena operatività, e la forza mista dispiegata nel bacino del lago Ciad.