Colombia: diritti degli indigeni Nutabe travolti da una diga
Costretti ad abbandonare le terre ancestrali. Le abitazioni. E a fare i conti con nuove malattie, che ne mettono a rischio la salute. I diritti degli indigeni Nutabe in Colombia sono messi in pericolo dalla centrale idroelettrica di Hidroituango, che dovrebbe entrare in funzione l'anno prossimo
da Ituango, Colombia
Dighe così non se ne costruiranno più, molto probabilmente. La centrale idroelettrica di Hidroituango, tra il municipio di Ituango e l’amministrazione di Puerto Valdivia, nel dipartimento di Antioquia, in Colombia, è l’ultima di questo genere. Una delle grandi costruzioni che sono sorte un po’ ovunque in America Latina e altrove dagli anni ’70 in poi. La produzione di energia idroelettrica è considerata più sicura e meno inquinante delle centrali a carbone, ma queste opere constituiscono una grande minaccia per i diritti umani dei popoli indigeni della zona.
La centrale, la cui messa in opera è prevista per il 2020, avrà 8 turbine capaci di generare 2.400 MW di energia. La diga, alta 220 metri, racchiude un lago lungo 560 metri, capace di contenere fino a 2.720 milioni di metri cubi d’acqua. Sotto a quel lago, vivevano gli indigeni Nutabe.
Addio territori ancestrali per il popolo indigeno Nutabe
«La perdita della terra e dei territori ancestrali rappresenta per i Nutabe la più grande crisi della loro storia», dice Isabel Cristina Zuleta, portavoce del Movimento Rios Vivos.
La valle del fiume Cauca era il territorio ancestrale degli indigeni Nutabe fin dai tempi precolombiani. «La perdita della terra e dei territori ancestrali rappresenta per i Nutabe la più grande crisi della loro storia. Perdendo i territori ancestrali, questa popolazione perde anche lo stile di vita, le abitudini e le fonti di sussistenza», sottolinea Isabel Cristina Zuleta, portavoce del Movimento Rios Vivos.
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Popoli indigeni in Colombia: la vita prima della diga
I Nutabe vivevano sulle sponde del fiume Cauca in piccoli villaggi dislocati un po’ ovunque nel fondo di quello che oggi è il bacino idrico della diga. Costruivano le proprie abitazioni con la legna del bosco, utilizzando le sabbie fangose del fiume come collante. Vivevano di sussistenza, allevando animali da cortile e coltivando piccoli orti.
I Nutabe si dedicavano alla pesca e all’attività mineraria artigianale. Il fiume Cauca è ricco d’oro e quella artigianale è un’attività poco invasiva per l’ambiente e si effettua principalmente con grossi setacci lungo le sponde sabbiose del fiume.
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I Nutabe sopravvivevano grazie ai proventi del Cauca, con uno stile di vita libero e in sintonia con la natura. Il fiume e la foresta davano loro la maggior parte di ciò di cui avevano bisogno.
Tutte abitudini che hanno dovuto abbandonare per salvarsi la vita quando, all’una di notte, le acque del fiume cominciarono a salire rapidamente nel corso della prima prova d’invaso della centrale idroelettrica.
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Gli indigeni “della diga”, una minoranza scomoda
Con la perdita dei territori ancestrali, per gli indigeni Nutabe è iniziata una dura crisi e l’integrazione nella società urbanizzata è tutt’altro che facile. Molti indigeni non hanno mai frequentato la scuola dell’obbligo e non sanno né leggere né scrivere, non hanno effettuato il servizio militare obbligatorio e alcuni sono sprovvisti di carta d’identità o certificato di nascita. A causa di questa situazione, sono rimasti esclusi dalle indennizzazioni economiche previste dall’azienda costruttrice della diga.
Dopo essere stati accolti per alcuni mesi nel palazzetto dello sport di Ituango, si sono ritrovati ad essere una minoranza scomoda nella zona. La costruzione della diga ha portato lavoro in una vallata dove le più vicine opportunità si trovano a otto ore di autobus, nella città di Medellin.
Ancora oggi, tutti quei Nutabe che hanno scelto di non abbandonare la regione per diventare muratori o venditori ambulanti in città, sono ospitati in alcuni centri di accoglienza e rifugi umanitari.
Secondo l’associazione Rios Vivos, sono parecchie centinaia le persone che hanno perso la propria indipendenza alimentare e che hanno dovuto abbandonare lo stile di vita ancenstrale, mentre si parla di migliaia di persone che hanno subito le conseguenze negative di questa grande opera nei villaggi di Ituango, Toledo, Valdivia, Caucasia e Sabanalarga.
Come già recentemente documentato da Osservatorio Diritti, nel Nord del Cauca e nel Sud del Venezuela, Ituango non è l’unica zona dell’America Latina dove la vicinanza tra poteri forti e grandi imprese multinazionali rischia di portare a corruzione politica e di mettere in pericolo la soppravvivenza delle popolazioni indigene autoctone.
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Il villaggio indigeno distrutto dall’inondazione
Il 12 maggio 2018, a causa di forti piogge eccezionali e di alcuni errori di valutazione durante la costruzione dell’impianto, un’ondata d’acqua si è scaricata lungo il corso del fiume Cauca. E l’improvvisa innondazione ha spazzato via il villaggio di Puerto Valdivia, a qualche chilometro dall’impianto, sulle sponde del fiume.
I residenti sono riusciti a mettere in salvo la propria vita, ma le case e tutti i loro averi sono rimasti sotto l’acqua, coperti di fango. Secondo l’associazione Rios Vivos, gli ex residenti di Puerto Valdivia sono tutt’ora in attesa di un indennizzo per i danni causati dall’inondazione.
Malattie e clima: violati altri diritti degli indigeni colombiani
Ma le violazioni dei diritti umani causate da questa grande costruzione vanno oltre. Nella parte alta dell’impianto, per esempio, una pianta infestante sta ricoprendo la superficie del lago. Il Buchon de agua, in italiano Giacinto d’acqua, è una pianta acquatica gallegiante tipica delle regioni tropicali. Secondo la ong svizzera International Union for the Conservation of the Nature (Iucn), il Giacinto d’acqua fa parte delle 100 piante infestanti più pericolose al mondo. I grandi cambiamenti al microclima della vallata, il cambio di velocità e del Ph delle acque del fiume, hanno creato le nuove condizioni per lo sviluppo di questa pianta infestante.
Il Giacinto d’acqua si sviluppa a dismisura e finisce per ricoprire la totalità delle superfici acquatiche, impedendo all’acqua e ai pesci di ossigenarsi e ricevere la luce del sole. La pianta ha invaso il fiume Cauca e ha portato come conseguenza indiretta un virus tramesso dalle zanzare: la leishmaniosi, che colpisce già più del 50% della popolazione del villaggio di Sabanalarga.
Il virus entra nel circolo sanguigno attraverso la puntura delle zanzare, causa piaghe cutanee che si trasformano in ulcere, febbre, vomito e diarrea. Le cure per questo tipo di virus sono spesso troppo costose per le popolazioni autoctone che preferiscono curarsi bruciando le parti del corpo infette.
I residenti assicurano che il clima e le temperature della regione sono cambiate dopo la costruzione della diga, è aumentata l’umidità e alcune colture tipiche di questa zona, come il mais e la yuca, base dell’alimentazione locale e, assieme al caffè, principali produzioni agricole della zona, già non crescono come prima e manifestano nuove patologie.