Enigate, il libro-inchiesta di Claudio Gatti sulla presunta tangente del secolo

Il giornalista investigativo Claudi Gatti ricostruisce la storia della presunta tangente del secolo. Quella da 1,1 miliardi di dollari, per cui Eni e Shell stanno rispondendo dell'accusa di corruzione internazionale per la licenza Opl 245 in Nigeria. Enigate ne parla basandosi su una sterminata mole di informazioni

Quattro anni di mail interne. Da questa sterminata mole di materiale comincia Enigate, libro-inchiesta di Claudio Gatti che ricostruisce la storia della presunta tangente del secolo: 1,1 miliardi di dollari pagati da Eni (insieme a Shell) al governo nigeriano per aggiudicarsi la licenza di Opl 245 in Nigeria.

Per sei anni il giornalista d’inchiesta, inviato fino al 2017 de Il Sole-24 Ore dagli Stati Uniti, ha lavorato intorno a questa vicenda, partendo da «un’anomalia», come dice lui intervistato da Radio Radicale: questa montagna di denaro è finita alla società di un ex ministro del Petrolio, Dan Etete, invece che al governo.

Una storia che i lettori di Osservatorio Diritti conoscono bene e che il libro ricostruisce in maniera magistrale (qui tutti gli articoli pubblicati sul processo a Eni e Shell per corruzione internazionale per la presunta tangente legata alla licenza Opl 245 in Nigeria).

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Foto: Luka Tomac/Friends of the Earth International (via Flickr)

L’impatto dell’Enigate sui diritti umani

Sul piano dei diritti umani, è l’ultimo capitolo il più rilevante. Gatti ricorda il lungo e complicato tentativo per rendere l’oro nero più etico, per l’Eni e non solo. I passi in avanti compiuti dal gigante italiano, però, non sono stati sufficienti. Di fondi neri si parla dagli anni di Tangentopoli e più di recente il manager dell’allora controllata Eni Tullio Orsi ha patteggiato in un caso di corruzione in Algeria, per citare due esempi.

C’è poi in corso il processo su Opl 245 e anche sul Congo Brazzaville la Procura di Milano ha aperto un fascicolo, sempre ipotizzando la corruzione internazionale. Senza contare il caso Kazakistan, dove sono state appurate «regalie» per 15 milioni di euro ad anonimi funzionari, il che ha costretto poi a un’archiviazione del caso.

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Già è difficile per un’azienda che si occupa di petrolio mantenere degli standard etici, visto l’immenso impatto ambientale che ha questo settore sul piano globale. Se però denari che sarebbero pubblici per i Paesi più ricchi di petrolio diventano invece oggetto di transazioni sottobanco, allora il danno è doppio.

Enigate, la controinchiesta, ovvero «il complotto»

Se ci sono dei “buoni” nella storia di Enigate rispondono ai nomi di Luigi Zingales e Karina Litvack, due consiglieri indipendenti del consiglio di amministrazione Eni che hanno provato a segnalare che qualcosa non andava nelle procedure con le quali è stata gestita la trattativa con Dan Etete ed Emeka Obi, in primis, e, in una seconda fase, con lo stesso ministro della Giustizia, Adoke Bello.

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Foto: Luigi Zingales – Credit: Usv (via Flickr)

Per tutta risposta, i due sono stati coinvolti in una mega-inchiesta dai contorni molto opachi, che nelle cronache nazionali è legata ad un avvocato e che Gatti la chiama una «Controinchiesta». «Il complotto», lo si definisce sui giornali.

In sostanza, un avvocato che collabora con Eni, Piero Amara, avrebbe usato delle sue conoscenze alle procure di Trani e Siracusa per confezionare degli esposti con cui costruire un finto complotto ai danni di Claudio Descalzi, amministratore delegato del gruppo che ha sede a San Donato Milanese.

A quanto finora è dato sapere, i vertici dell’azienda erano del tutto ignari di quanto stava facendo il legale. C’è di più: in questa trama ci sarebbe finito lo stesso Gatti, accusato dai confezionatori del dossier di essere il braccio mediatico dei due consiglieri ribelli. La controinchiesta apre poi ad un altro colpo di scena. Claudio Gatti nel libro fa qualcosa di molto raro per un giornalista: svela una delle sue fonti principali su tutta questa vicenda.

È Vincenzo Armanna, ex capo area Eni in Nigeria, licenziato nel 2013, che nel processo Opl è sia imputato, sia grande accusatore dei top manager di Eni. E anche lui, con Amara, intratteneva relazioni per cercare giudici compiacenti, secondo quanto ricostruito da Gatti, che a un certo punto interrompe la relazione con lui.

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Claudio Descalzi – Foto Eni (via Flickr)

Enigate: nel libro di Claudio Gatti tutti gli uomini della presunta tangente

Enigate ricostruisce con dovizia di particolari il lato più complicato di tutta la vicenda Opl 245, ossia il ruolo degli intermediari. Ogni incontro, infatti, è accompagnato da un uomo-cerniera. Persone che traggono i loro profitti dal mettere in relazione uomini d’affari. Ognuno vuole la sua parte: l’intermediario nigeriano Emeka Obi e l’italiano Gianluca Di Nardo sono stati condannati in primo grado a settembre 2018 in rito abbreviato per corruzione internazionale.

È una tegola pesante sull’intero processo, scaturito proprio da una richiesta di danni che Emeka Obi ha fatto a Londra ai danni di Dan Etete. Gli altri intermediari coinvolti sono l’ex console onorario della Russia in Colombia Ednan Agaev, anch’egli imputato, e Luigi Bisigani, noto faccendiere che non compare tra gli indagati, ma che sarebbe stato uno dei primi a parlare con l’allora amministratore delegato Paolo Scaroni della questione Nigeria. Se c’è una lezione da imparare in questo enorme scandalo è che i primi da pagare in un giro di tangenti sono proprio gli intermediari. I primi che possono far saltare il banco.

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