Immacolata Iglio-Rezzonico, l’avvocato che difende i migranti in Svizzera
Per un richiedente asillo non è così facile ottenere una vera assistenza medica in Svizzera. Così come non lo è potersi muovere da una città all'altra. O vedere rispettati i propri diritti e la propria dignità. Ed è per questo che Immacolata Iglio-Rezzonico, avvocato, ha deciso di dedicarsi a loro. Ecco cosa ha raccontato a Osservatorio Diritti
La nuova legge elvetica sull’asilo «calpesta la dignità e i diritti dell’uomo». A denunciarlo è Immacolata Iglio-Rezzonico, avvocato di diritto familiare che dal 2016 si dedica ai richiedenti asilo del Canton Ticino, in Svizzera. Una scelta per «tutelare i diritti di persone che non vengono minimamente considerate» e che sono davvero «gli ultimi degli ultimi».
Perché pensa che i richiedenti asilo siano “gli ultimi” nel suo Paese?
In Svizzera abbiamo una legge sull’asilo, molto restrittiva, costruita secondo me ad hoc perché i richiedenti non possano esprimersi, circolare, avere tutelati i propri bisogni primari come alloggio e sanità. Sono rinchiusi in vere e proprie carceri, isolate, alcune sono dei bunker. Rimangono rinchiusi per periodi lunghissimi e spesso non viene detto loro nulla, sono in una specie di limbo.
Leggi anche
“Bunkers”, rifugiati sottoterra
Come ha cominciato ad occuparsi dei richiedenti asilo in Svizzera?
Nel 2016 c’è stato il boom degli ingressi di minori migranti non accompagnati, la grande estate in cui decine di persone sostavano nella stazione di Como e provavano ad entrare tutti i giorni in Ticino. Io ero stata contattata per seguire i minorenni non accompagnati perché già me ne occupavo come diritto di famiglia. Da lì sono stata chiamata anche dagli adulti e ho capito meglio la situazione, soprattutto quella dei centri. Ho iniziato a denunciare la realtà lì dentro e le cose per me sono cambiate.
Quali conseguenze ha dovuto affrontare, a livello personale, a causa del suo lavoro con i migranti?
All’inizio riuscivo ad entrare facilmente nei centri cantonali gestiti dalla Croce Rossa. Ero vista come la persona di fiducia e non avevo difficoltà a rivolgermi ai miei assistiti. Quando ho cominciato a fare domande sulla gestione, e quindi a segnalare nelle richieste di asilo le condizioni disumane, le porte hanno cominciato a chiudersi.
Leggi anche
Eldorado, il film capolavoro di Imhoof tra infanzia svizzera e migranti
Perché continua a denunciare il funzionamento del sistema d’immigrazione in Svizzera?
I motivi sono tanti, soprattutto le condizioni sanitarie. L’assistenza medica dovrebbe essere garantita da un infermiere del centro, però se un richiedente chiede di andare da un medico la richiesta passa attraverso questo infermiere, che spesso nega la visita e opta per una pastiglia. Questa pastiglia però non si sa cosa sia, alle donne venivano somministrati anche psicofarmaci senza motivo. Inoltre ai migranti non vengono spiegate le regole interne, gli orari da seguire, come se fossero lì per essere puniti, come in carcere.
Poi c’è il grande tema degli spostamenti, perché la legge vieta di poter accedere a tutti i comuni del Cantone. Spesso le famiglie, che magari sono in Svizzera da anni, vengono obbligate a muoversi solo in alcune zone. Casi di bambini, cresciuti qui e ora in attesa di documenti, che frequentano la scuola ma non possono andare a casa dei compagni perché residenti in parti del territorio escluse dai permessi.
Ci sono persone in attesa di documenti che vivono qui da dieci anni e sono state rinchiuse nei centri senza possibilità di lavorare o spostarsi. Spesso poi vengono incarcerati per questioni amministrative e rientrano poi nei centri. Denuncio tutto questo nei miei ricorsi alle autorità cantonali. Denuncio e denunciamo.
Quali sono i suoi “compagni di viaggio” in questa lotta per i diritti dei migranti?
Fortunatamente la società civile si muove costantemente. Per chiudere il bunker di Camorino sono state raccolte firme anche di 97 medici. Ci sono diverse associazioni che tengono alta l’attenzione, come il Collettivo R-Esistiamo e l’associazione DaRe, che hanno iniziato fin da subito a denunciare pubblicamente il bunker e le condizioni di vita. Ma come avvocato sono quasi da sola, perché non rende a livello economico e le problematiche sono tante. C’è lo sportello giuridico Sos Ticino o l’associazione dell’avvocato Bernasconi, ma fanno assistenza, nessuno prende i mandati come me.
Un esempio delle difficoltà che devo affrontare è lo scontro costante con l’operato dell’autorità che gestisce le richieste di asilo, la Segreteria di stato della migrazione (Sem). Nel 2007 aveva deciso che la Grecia era uno stato sicuro, rimandando i migranti lì, contrariamente alla segnalazione dell’Unhcr. Oppure si oppone alle richieste di visite mediche nei centri perché i migranti dovrebbero andare da soli in ospedale, quando spesso non hanno l’autorizzazione ad uscire dai centri stessi.
Questo ostruzionismo costante mi costringe ad andare alla Corte europea per i diritti dell’uomo e ho già fatto due ricorsi alla commissione per i Diritti dell’infanzia.
La Svizzera quindi non tutela i migranti, secondo lei?
Sì, ma quello che mi spiace di più è che il sistema svizzero non consideri l’essere umano, ma il numero. È ovvio che si deve segnare un numero per ogni pratica aperta, ma se ti rivolgi alle autorità per gestire quel determinato fascicolo devi far prevalere il numero al nome, le autorità non segnano proprio nome e cognome del migrante. E secondo me la situazione sta peggiorando, perché la Svizzera sente anche la politica restrittiva europea. Io non posso fare a meno di denunciare questo sistema e spesso dalle autorità sento una pressione, sia amministrativa sia politica, che tenta di bloccarmi.