Eni Nigeria: il fantasma del “complotto” entra nel processo per corruzione
La vicenda del "complotto" è entrata nel processo sulla presunta maxi-tangente che sarebbe stata pagata da Eni e Shell per il blocco Opl 245 in Nigeria. Le difese considerano le parole dell'imputato ed ex manager Eni, Vincenzo Armanna, poco credibili. Al centro c'è la vicenda di un avvocato collaboratore di Eni, Piero Amara
È tempo dell’atteso contro-esame. Ci si aspetta che l’imputato Vincenzo Armanna risponda alle domande degli avvocati difensori di Eni e Shell. È la fase del processo in cui, dopo il pubblico ministero, tocca agli avvocati fare domande. Invece i difensori di Eni, Shell e degli altri manager e intermediari coinvolti nella vicenda decidono di non porgliele. Una strategia difensiva che punta a mettere in discussione la credibilità delle parole di Armanna, l’unico ex manager di Eni che ha deciso di presentarsi davanti alla corte nel processo Opl245.
Sono le ultime udienze estive di quello che per gli attivisti anticorruzione è «il processo del secolo»: l’accusa ipotizza che Eni e Shell si siano aggiudicate la licenza esplorativa del blocco petrolifero Opl 245 dopo il pagamento di una tangente da 1,1 miliardi di dollari, finita nelle tasche di uomini di uomini di primo piano del vecchio governo nigeriano (leggi tutti gli articoli sul processo a Eni e Shell per corruzione internazionale).
Processo Eni Nigeria: ecco chi avrebbe intascato le tangenti secondo Armanna
L’ultima tranche di udienze estive è stata occupata dall’ex manager di Eni in Nigeria Vincenzo Armanna, che rispondendo ai magistrati Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro ha anche fatto i nomi di quelli che, secondo informazioni che ha ricevuto dai servizi segreti nigeriani, sarebbero stati i destinatari ultimi delle mazzette nel Paese africano.
Il primo è l’ex presidente Goodluck Jonathan, “GDL” nelle conversazioni “in codice” di Eni. Cristiano del Sud del Paese cresciuto all’ombra dell’ex ministro del Petrolio ai tempi della dittatura, Dan Etete, Jonathan ha iniziato la carriera politica come vice presidente della Oil Mineral Producing Areas Development Commission, commissione governativa che si occupa di petrolio. Stando alle dichiarazioni di Armanna, con lui Claudio Descalzi in particolare aveva una frequentazione lunga, cominciata almeno nel 2010.
La seconda destinataria dei soldi sarebbe Diezani Alison-Madueke, una delle donne più potenti del Paese: molto vicino al presidente Jonathan, è stata ministro dei Trasporti, delle Attività estrattive e del Petrolio ed è stata la prima donna a guidare l’Opec, l’organizzazione dei Paesi produttori di greggio.
Il terzo è l’ex ministro della Giustizia Mohammed Adoke Bello, che a giugno 2019 ha pubblicato un libro per spiegare ai nigeriani come abbia evitato una causa milionaria con Shell proprio sulla licenza esplorativa del blocco petrolifero Opl 245.
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Il fantasma del “complotto” entra nel processo per corruzione
Alla fine, però, le udienze in cui dovevano essere protagoniste, le difese non sono entrate nel merito della trattativa per il petrolio nigeriano. Colpa di un altro procedimento penale, evocato come un fantasma in giro per il Tribunale: quello sul presunto “complotto”.
Si sa dai giornali che l’inchiesta è in corso e qualche stralcio è stato già pubblicato, circostanza che ha fatto sottolineare alle difese il rischio che non sia garantito un giusto processo, visto che già sugli organi di stampa circolerebbe una tesi “colpevolista” sugli attuali imputati che potrebbe influenzare corte e opinione pubblica.
Al centro di questa cospirazione c’è Piero Amara, avvocato che ha collaborato con l’ufficio legale di Eni, il quale avrebbe cercato di far deragliare il processo milanese su Opl 245 e farlo trasferire a Siracusa, da un pm amico. Una delle pedine per rendere possibile il piano sarebbe stato Vincenzo Armanna.
Rispondendo ai pm, Armanna ha dichiarato che Amara, in rappresentanza di Eni, gli ha proposto il rientro in azienda dopo la sentenza di primo grado, in cambio di un «ammorbidimento» delle accuse, in particolare sull’amministratore delegato Claudio Descalzi.
Ha detto il vero? È stato condizionato? Sta solo cercando di delegittimare Eni e i suoi vertici, visto che lo hanno allontanato dall’azienda? Starà alla corte stabilirlo con la sentenza che sarà emessa si prevede intorno alla fine del 2019.
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I dubbi sulla figura dell’ex manager Armanna comunque restano, alimentati dal fatto che lui stesso ha raccontato di aver condotto affari commerciali con Amara: la conoscenza è durata ed ha portato anche vantaggi ad Armanna. La collocazione nel tempo di quando si sono incontrati la prima volta è stata peraltro ritrattata dall’imputato, altro elemento non positivo delle sue dichiarazioni.
«Avverto un forte disagio dopo le parole di Vincenzo Armanna che mi suggerisce con non posso fare nessun contro-esame. Anzi, non penso che nessun contro-esame sia possibile con domande che contengono al loro interno tutto e il contrario di tutto».
Le parole dell’avvocato Giuseppe Fornari alla fine dell’udienza del 23 luglio sono poi adottate da tutti i difensori. L’avvocato difende Roberto Casula, dirigente Eni che all’epoca di Opl 245 era il capo diretto di Vincenzo Armanna.
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Durante la deposizione, Vincenzo Armanna ha raccontato che Piero Amara gli è stato presentato da due amici e persone fidate: Andrea Peruzy, ex direttore generale della Fondazione Italianieuropei (area Pd) e Paolo Quinto, assistente della senatrice Anna Finocchiaro (Pd). Ha detto di averli incontrati la prima volta, insieme ad Amara, nell’estate del 2014.
Una registrazione portata a processo dalla difesa di Casula ha dimostrato invece l’esistenza di un incontro a quattro (Armanna, Amara, Peruzy e Quinto) con un certo grado di confidenza già a luglio di quell’anno. Il che significa che la conoscenza doveva essere antecedente. La registrazione è stata acquisita il 23 luglio e rappresenta l’ultima prova del processo.
Provando a darne qualche spiegazione il 24 luglio, Armanna ha raccontato che lo scopo era aprire nuove trattative commerciali: il manager non lavorava più in Eni, era in una società dell’Arabia Saudita e aveva bisogno di lavorare. Stava negoziando per incassare qualcosa subito, ma con l’idea che una volta ritrattato sarebbe potuto rientrare in Eni.
Perché questa circostanza è tanto importante? Dimostrerebbe la capacità di Eni di influenzare processi e di riuscire a condizionare anche ex dipendenti nelle loro dichiarazioni. Oppure, al contrario, potrebbe essere la dimostrazione della poca credibilità di Armanna.
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Dopo Opl 245: le trattative per le attività estrattive
L’udienza di Armanna aggiunge altri particolari su come funziona l’assegnazione di una licenza petrolifera in Nigeria, che è suddivisa in due fasi: una prima solamente esplorativa e una seconda che prevede l’inizio delle attività estrattive.
Secondo le stime che fatte dal management di Eni in Niigeria, per rendere produttivo il blocco, Eni avrebbe dovuto investire almeno 10 miliardi di dollari in infrastrutture. La più importante era una nave, chiamata unità galleggiante di produzione, stoccaggio e scarico (Fpso). Qui il greggio viene di norma pre-trattato e poi venduto ad altre compagnie, che lo trasportano attraverso petroliere, senza bisogno di portare a terra il materiale.
La conclusione di questa seconda fase della licenza avverrà nel 2021, ma Eni aveva già selezionato chi pagare per la nave per lo stoccaggio. Armanna dice «sostanzialmente aveva già vinto Saipem con un’offerta da 5,3 miliardi». Eppure il contratto «è stato poi annullato» (non è stato chiarito in che modo, perché la Corte non riteneva il fatto rilevante per il processo) e riassegnato a una consorzio nigeriano «di cui fa parte anche il figlio di Dan Etete». Per Eni questo significa un costo extra di altri 2 miliardi di dollari, secondo Armanna. Di certo a guadagnarci sarebbe stato ancora una volta l’ex ministro del Petrolio Dan Etete.