Disuguaglianze e migrazione, gli effetti di una globalizzazione incontrollata
Il legame inscindibile tra disuguaglianze e migrazione è stato al centro di dibattiti agli European Development Days 2019. Ecco cosa è emerso nel forum europeo sulla cooperazione allo sviluppo di Bruxelles
C’è chi scappa dalla guerra o dalla fame, chi per sottrarsi allo sfruttamento o perché è perseguitato. A provocare le migrazioni, però, non sono solo i conflitti, i disastri naturali, le violenze o le violazioni dei diritti umani. Anzi, tra le principali cause che spingono una persona ogni due secondi a lasciare la propria casa ci sono dei moventi, forse meno palesi, ma altrettanto decisivi: le disuguaglianze, che siano esse di opportunità, di genere, di accesso alla salute o all’istruzione.
La migrazione come «dato di fatto»
Chi non ha un salario dignitoso, chi è vittima di discriminazione per le proprie preferenze sessuali, chi non si può permettere di essere curato “bene”, chi non può andare in una scuola “buona”, aspira ad una vita migliore e, per farlo, decide di migrare.
«Le persone si spostano da sempre e sempre lo faranno». Per Marta Foresti «la mobilità delle persone è un dato di fatto».
La direttrice della Human Mobility Initiative, una piattaforma nata in seno all’Overseas Development Institute (Odi) per “gestire le migrazioni in modo diverso”, è intervenuta a Bruxelles agli ultimi European Development Days – il forum annuale sulla cooperazione allo sviluppo europea di cui Osservatorio Diritti è media partner – dedicati quest’anno proprio alle disuguaglianze.
Disuguaglianze economiche e globalizzazione
«Se da un lato la globalizzazione ha come effetto la crescita economica e l’aumento del prodotto interno lordo, dall’altro non sta producendo una equa redistribuzione della ricchezza. Il che significa che nei paesi a medio reddito il gap tra ricchi e poveri tende ad aumentare, mentre nei paesi poveri, anche se l’andamento del Pil ha il segno “più”, della crescita ne beneficiano in pochi. Giusto per farsi un’idea, nel mondo oggi ci sono 26 persone la cui ricchezza equivale a quella di 3,7 miliardi di persone, ovvero la metà della popolazione mondiale».
Questi i termini con cui è stato inquadrato il problema da Stefano Manservisi, direttore generale della Commissione europea per la Cooperazione allo sviluppo (Devco).
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Migrazione, figlia delle disuguaglianze e motore di sviluppo
La migrazione è dunque un dato di fatto, spesso figlia delle disuguaglianze, ma, se regolata e gestita in maniera equa, potrebbe diventare un motore di sviluppo.
A sostenerlo sono alcuni tra i più importanti esperti mondiali in materia, intervenuti insieme a Foresti al panel “Alla ricerca di uguaglianza: migrazione, dislocamento e SDGs”. Tra questi António Vitorino, dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), Kelly T. Clements, vice Alto Commissario Unhcr, Judicaelle Irakoze, una dei 15 Giovani leader selezionati per l’edizione 2019 e lo stesso Manservisi.
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Disuguaglianze e migrazione: serve approccio globale
«Negli ultimi due anni abbiamo maturato una conoscenza tale in materia di migrazione che non possiamo più permetterci di non affrontare la questione se non a livello globale. Non si può più lasciare la gestione di un fenomeno così delicato in balia dell’agenda politica dei singoli Stati, anche perché gli strumenti per poterlo affrontare in maniera collettiva ci sono, penso al Global Compact for Migration e all’Agenda 2030», ha detto Foresti.
Migrazione e sviluppo: per l’Onu il nesso esiste
A stabilire il nesso tra migrazione e sviluppo sono state proprio le Nazioni Unite nel 2015, anno in cui è stata redatta l’Agenda 2030, il documento sottoscritto dai 193 Paesi membri – Italia compresa – con cui l’Onu ha fissato i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) che dovranno essere raggiunti, appunto, entro il 2030.
Tra questi, la necessità di «rendere più disciplinate, sicure, regolari e responsabili la migrazione e la mobilità delle persone, anche con l’attuazione di politiche migratorie pianificate e ben gestite». Un fine, secondo i relatori, che può essere raggiunto solo se i migranti e le popolazioni sfollate con la forza, in particolare donne e ragazze, sono protetti e vengono assicurati loro i mezzi di sostentamento.
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Quando i migranti diventano fattore di sviluppo
Il direttore generale dell’Oim ha osservato che, se è vero che negli ultimi anni la mobilità umana ha fatto irruzione nell’agenda politica internazionale, gran parte del dibattito si è ridotto agli aspetti negativi, anziché insistere sulle opportunità di sviluppo che questo fenomeno rappresenta.
«Per fare in modo che la migrazione diventi un fattore di sviluppo per i migranti, per i paesi di destinazione ma anche per quelli di origine bisogna lavorare prima di tutto sul riconoscimento reciproco delle competenze», ha detto Vitorino.
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L’esclusione costa più dell’inclusione sociale
Clements, dell’Unhcr, ha evidenziato che il costo dell’esclusione è molto più alto di quello dell’inclusione. Anche per lei un ruolo importante lo deve giocare l’educazione. L’inserimento dei migranti nel settore scolastico è prioritario, così come è importante la loro integrazione in quello sanitario.
A livello europeo, il suggerimento di Manservisi va nella direzione di una revisione delle politiche fiscali per ottenere una migliore redistribuzione del welfare, non solo per i migranti, ma anche per gli stessi cittadini europei. Per la Commissione europea, «le disuguaglianze non solo sono un “fattore di spinta” nei paesi di partenza, ma anche un limite allo sviluppo nei paesi che accolgono. Eppure, in tempi recenti, i percorsi di migrazione legale sono stati ridotti. La domanda a cui bisogna dare una risposta è «Perché”?»
Judicaelle, rifugiata e imprenditrice
Quando ai migranti, ai rifugiati e agli sfollati interni viene data l’opportunità di integrarsi, allora la mobilità umana si può trasformare in una forza.
Questa la tesi sostenuta a più voci. Judicaelle Irakoze incarna il lato positivo della migrazione.
«Guardatemi, sono nata in Burundi ma ad un certo punto ho dovuto lasciare il mio paese e rifugiarmi negli Stati Uniti».
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Oggi, a 24 anni, si definisce una femminista, ha fondato un’impresa, scrive per diverse riviste e aiuta le persone che come lei hanno dovuto lasciare la propria casa, sia negli Stati Uniti sia nei campi profughi in Africa. «I giovani africani non smetteranno mai di migrare, perché l’aspirazione a una vita migliore è qualcosa che non si può soffocare».
Vorrei dire che si sta già verificando una migrazione globale non solo per motivi di guerra, ma soprattutto di studio, clima, fame e disuguaglianza intollerabile nei nostri tempi di così dure prove. La realtà non ci deve distaccare da chi soffre più di noi, anzi dobbiamo crescere nel lavoro (qualsiasi esso sia), nella cultura (religiosa, laica…). Non possiamo fare di tutta un’erba un fascio, allora dedichiamoci a ciò che va bene, non a quello che va male solo ed esclusivamente! Siamo cresciuti, cresciamo ancora e basta lamentarsi di tutto!