Bombe italiane in Yemen: pronti a interrompere forniture all’Arabia Saudita

Il governo italiano sta per bloccare la vendita di "bombe e missili" ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, utilizzati nella guerra in Yemen. Immediata la reazione della Rwm Italia. Ma la mossa è ancora incompleta: nessun riferimento alle armi leggere né ad altri tipi di sistemi militari, come quelli prodotti da Leonardo (ex Finmeccanica) e Fincantieri

Giovedì scorso il vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, ha annunciato che il Consiglio dei ministri ha concluso l’iter per bloccare non solo le nuove autorizzazioni e contratti, ma anche le forniture precedenti di “bombe e missili” verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti che vengono utilizzati nel conflitto in Yemen.

«Vi ricordate le foto di bombe che dalla Sardegna partivano per esser usate nel conflitto in Yemen? Ci abbiamo lavorato un anno e oggi in Consiglio dei ministri si è concluso l’iter che d’ora in poi dirà all’Autorità nazionale che si occupa di export di armamenti di bloccare qualsiasi contratto in essere o nuovo contratto che vede l’esportazione di bombe ad aria o missili o strutture di armamento che possano andare verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi ed essere utilizzate per il conflitto in Yemen», ha detto Di Maio.

La mozione del Parlamento apre a un embargo Ue

L’annuncio è importante e fa seguito alla mozione presentata dai partiti di maggioranza (M5S e Lega) che è stata approvata il 26 giugno alla Camera col voto favorevole dei partiti al governo e con l’astensione di tutti gli altri e nessun voto contrario.

Il testo approvato impegna l’esecutivo non solo a proseguire nel sostegno alle azioni diplomatiche internazionali e alle iniziative umanitarie coordinate dalle Nazioni Unite, ma anche a valutare l’avvio di iniziative per l’adozione di un embargo sulla vendita di armamenti ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi da parte dell’Unione europea. E soprattutto a sospenderne le esportazioni.

Occorre, però, fare attenzione. A differenza delle mozioni presentate da LeU e Pd, la mozione dei partiti di maggioranza non prevede di sospendere tutte le forniture di materiali e sistemi militari, bensì solo «le esportazioni di bombe d’aereo e missili che possono essere utilizzati per colpire la popolazione civile e loro componentistica verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sino a quando non vi saranno sviluppi concreti nel processo di pace con lo Yemen». È evidente il riferimento alle bombe prodotte in Sardegna dall’azienda tedesca Rwm Italia. E, non a caso, il vicepresidente Di Maio, nel suo annuncio, ha ricordato le spedizioni via nave di queste bombe aeree dalla Sardegna all’Arabia Saudita.

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La reazione di Rwm Italia alla mossa contro le armi italiane in Yemen

La reazione dell’azienda Rwm Italia non si è fatta attendere. In un comunicato inviato lo stesso giorno a tutti i lavoratori delle varie sedi, l’amministratore delegato dell’azienda, Fabio Sgarzi, evidenziando «il pesantissimo impatto» della decisione del Parlamento annuncia che «tutti i rinnovi contrattuali saranno eccezionalmente di breve durata» e «l’ingresso di nuovi lavoratori viene temporaneamente sospeso eccezion fatta per quelli non differibili per garantire il buon andamento dell’azienda».

L’annuncio, per quanto comprensibile, rivela un certo nervosismo da parte dell’azienda. Non solo perché descrive le mozioni presentate in Parlamento come «finalizzate a colpire l’intera industria della Difesa italiana», ma soprattutto perché tace su un dato quanto mai rilevante. Come si può, infatti, leggere nell’ultimo bilancio, Rwm Italia ha registrato «nel 2018 ordini in misura superiore alle aspettative» (come, del resto, già negli anni precedenti) e, soprattutto, con Paesi extra-Ue, che rappresentano il 51% dei clienti dell’azienda.

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Proprio per ottemperare ai nuovi e consistenti contratti dei paesi extra-Ue, ed in particolare l’ordinativo del 2016 per 19.675 bombe aeree della serie MK 80 del valore di 411 milioni di euro per l’Arabia Saudita (leggi Armi italiane ai regimi autoritari), l’azienda negli ultimi anni ha fatto nuove assunzioni con contratti a tempo determinato: su 416 tra dirigenti, impiegati e lavoratori occupati nei due stabilimenti di Ghedi e Domusnovas, solo 188 (di cui 10 a tempo determinato) fanno parte dell’organico dell’azienda, mentre nella maggior parte dei casi si tratta di «lavoratori somministrati dalle agenzie di lavoro interinale».

All’azienda non serve alcuna “riconversione”

La mozione parlamentare può avere conseguenze rilevanti sui lavoratori interinali, ma – va detto chiaramente – non mette a rischio l’azienda e men che meno gli occupati con regolare contratto: il 49% dei clienti dei prodotti e servizi di Rwm Italia è infatti costituito dai Paesi Ue (47%) e dall’Italia (2%) e vi sono importanti commesse, soprattutto dalla Francia.

Proprio per questo è fondamentale distinguere le questioni che riguardano la sospensione delle forniture di bombe aeree ad Arabia Saudita e Uae (che è una priorità assoluta da attuarsi al più presto) dal problema della riconversione dell’azienda.

L’impresa, infatti, può continuare a produrre materiali militari per le esigenze delle forze armate italiane ed europee ridefinendo obiettivi, strategie e personale: la lotta per la riconversione dell’azienda – importante soprattutto in Sardegna, dove le servitù militari costituiscono tuttora un notevole problema – rappresenta, invece, un impegno civile, etico e di sostenibilità più ampio e complesso.

Lo ha evidenziato, in un certo senso, anche il sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo, rispondendo in commissione Difesa della Camera a un’interrogazione nella quale ha affermato che «Rwm Italia rappresenta un assetto strategico per il ministero e per il Paese, un’azienda fornitrice non solo delle forze armate italiane, ma anche di numerosi partner europei». «Per questo – ha aggiunto – sono in corso approfondimenti per attuare azioni di salvaguardia dell’approvvigionamento nazionale e dell’export assicurato dall’azienda».

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Flash mob a Montecitorio contro le bombe italiane in Yemen – Foto tratta da un video diffuso da Rete Disarmo

Armi italiane in Yemen: quelle leggere e altre forniture possono continuare ad essere vendute

Come detto, la mozione approvata non intende sospendere tutte le forniture di materiali militari ai sauditi, ma solo quelle relative a «bombe d’aereo e missili che possono essere utilizzati per colpire la popolazione civile» in Yemen.

Una formulazione che è chiaramente stata definita dai partiti al governo per non mettere in discussione le forniture belliche delle aziende italiane, in particolare di quelle a controllo statale come Leonardo (ex Finmeccanica) e Fincantieri, e nemmeno le esportazioni ai sauditi di armi leggere.

Non è una questione di poco conto. L’anno scorso, per la prima volta dal 1990, il governo Conte ha infatti autorizzato all’azienda bresciana Beretta l’esportazione alla monarchia saudita di un consistente quantitativo di “armi leggere”. Si tratta di un ampio arsenale di armi che comprende fucili d’assalto ARX-160, pistole semiautomatiche APX, carabine a lunga gettata, fucili per cecchini per un valore complessivo di quasi 3 milioni di euro. Sono armi che, oltre che nel conflitto in Yemen, possono essere utilizzate a scopi di repressione interna e la cui esportazione andrebbe interrotta immediatamente.

Nessuna crepa nei rapporti Italia-Arabia Saudita

Ma c’è di più. Proprio negli stessi giorni del dibattito parlamentare, veniva accolto in pompa magna il capo dell’Aeronautica militare saudita, il generale Turki bin Bandar bin Abdul Aziz Al Saud. Un altro fatto che lascia intendere la volontà del governo Conte di rassicurare la monarchia saudita riguardo alla continuazione della cooperazione militare e alle forniture di sistemi militari. Che si somma all’invio nei mesi scorsi della fregata Fremm Carlo Margottini nei paesi del Golfo Persico per promuovere iniziative di cooperazione militare e, soprattutto, per incentivare il marketing a favore dell’industria bellica italiana (leggi Armi italiane vendute all’estero per rilanciare il “Sistema Paese”).

Armi italiani sullo Yemen: la pressione della società civile

Per questo, le associazioni della società civile che da anni sono impegnate per porre fine al conflitto in Yemen e alle forniture belliche alla coalizione militare a guida saudita hanno salutato l’approvazione della mozione con il parere favorevole del governo come «un primo passo positivo».

«Il conflitto in Yemen – si legge in una nota firmata da numerose associazioni, tra cui Rete italiana per il Disarmo – non potrà essere risolto solo dall’Italia e non dipende di certo solo dalle armi prodotte in Italia, ma al nostro Paese è chiesto di prendersi le proprie responsabilità politiche e morali per una soluzione positiva della crisi».

Le associazioni confermano pertanto il loro impegno non solo per la piena attuazione della mozione, ma affinché l’Italia, al pari di altre nazioni, sospenda tutte le esportazioni di armamenti a tutti i paesi coinvolti nel conflitto in Yemen.

Del resto, la gran parte dei paesi europei maggiori esportatori di armi, tranne Francia e Spagna, hanno deciso già da tempo queste misure alle quali dovrà adeguarsi anche il Regno Unito a seguito di una recente sentenza della Corte d’Appello. E il governo italiano, seppur con riluttanza e con tutti i limiti e le precauzioni, sembra finalmente muovere un passo nella giusta direzione.

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