Guerra alla droga: nelle Filippine si contano migliaia di “vittime collaterali”

La guerra alla droga voluta dal presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha scatenato una vera mattanza. Che tra le "vittime collaterali" conta anche tanti bambini. Human Rights Watch racconta le loro storie

da Chiang Mai (Thailandia)

Domenica 30 giugno Myka Ulpina, una bimba di appena tre anni, è stata uccisa durante un raid della polizia nella provincia di Rizal, vicino a Manila. I media locali hanno riferito che l’obiettivo dell’operazione era Renato Dolofrina, il padre. All’arrivo degli agenti, secondo le autorità, l’uomo si sarebbe fatto scudo con la sua piccola, che è stata raggiunta dai colpi di arma da fuoco sparati dai poliziotti.

Myka è l’ultima vittima innocente della guerra alla droga voluta dal presidente delle Filippine Rodrigo Duterte dall’inizio del suo mandato nel 2016. Di fatto quest’ultimo ha esportato il “modello Davao” – la città nella difficile isola ribelle di Mindanao, nel sud del Paese – che ha governato per più di vent’anni e che, prima del suo arrivo, deteneva il record di omicidi e criminalità. Durante il suo mandato come primo cittadino, senza farsi scrupoli, ha imposto il coprifuoco e dato l’ordine alla polizia di sparare a qualsiasi persona sospettata di aver commesso crimini.

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Kyle nella sua stanza a Tondo, Manila, febbraio 2019 (vedi sotto) – Foto: © 2019 Carlo Gabuco per Human Rights Watch

Il lato oscuro della guerra alla droga: una mattanza di migliaia di persone

La guerra alla droga, che nel Paese asiatico è chiamata Oplan Tokhang, ha fatto migliaia di vittime. I numeri delle uccisioni sono discordanti e quasi impossibili da calcolare. Anche perché molte famiglie, per il terrore di ritorsioni da parte della polizia, non vogliono collegare gli omicidi al narcotraffico. Secondo i dati pubblicati da alcune ong, le esecuzioni sarebbero state circa 15 mila.

Altri gruppi per i diritti umani parlano di numeri più alti. Il senatore dell’opposizione Antonio Trillanes, nel febbraio 2017, ha denunciato che i casi di morte legate alla lotta al narcotraffico sarebbero addirittura più di 20 mila. Secondo i dati ufficiali forniti dal governo, invece, le morti sarebbero 6.600.

Durante le operazioni di polizia, in questi anni sono stati anche sequestrati migliaia di chilogrammi di shabu, una metanfetamina devastante per l’organismo. Questa droga – di cui sono schiavi più di 3 milioni di tossicodipendenti – è largamente usata dalle fasce più povere della popolazione filippina. Ed è anche, in gran parte, la causa dell’alta percentuale di criminalità del Paese.

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Guerra alla droga nelle Filippine: bambini vittime “collaterali”

I numeri impressionati di uccisioni – a prescindere se si avvicinino più a quelli governativi o a quelli diffusi delle Ong – che già rendono molto chiaramente il dramma della situazione, non tengono però conto delle vittime collaterali. Ovvero delle famiglie che stanno dietro a ogni singola morte. Persone di cui difficilmente si parla, ma che dovranno convivere per sempre con le conseguenze drammatiche di questa mattanza, paragonata da molti ad una vera e propria guerra civile.

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Uno dei bambini di “Benigno Mercado” disegna a Payatas, Quezon City – Foto: © 2019 Carlo Gabuco per Human Rights Watch

«L’impatto psicologico, emotivo, sociale ed economico delle uccisioni dei loro cari, che spesso erano i pilastri della loro famiglia, crea numerosi problemi ai bambini filippini vittime della guerra alla droga», ha dichiarato Carlos H. Conde, ricercatore di Human Rights Watch (Hrw) per l’Asia, che ha recentemente pubblicato il rapporto Collateral Damage: The Children of Duterte’s “War on Drugs” (Danno collaterale: I bambini della “Guerra alle droghe” di Duterte). Secondo il documento, dal giugno 2016 sarebbero morti oltre cento piccoli innocenti.

«Nessun bambino dovrebbe sperimentare la perdita di un genitore o di un altro membro della famiglia per omicidi extragiudiziari, o assistere a orribili violenze per mano di poliziotti o sicari», ha aggiunto Conde.

Jennifer, una delle bimbe intervistate da Human Rights Watch, aveva solo 11 anni quando la polizia ha ucciso suo padre. Da allora, si legge nel rapporto, «ha smesso di andare a scuola». Kyle, 5 anni, invece, «ha sviluppato un comportamento aggressivo dopo che hanno ucciso suo padre».

Altri bambini sono finiti per vivere in strada, «perché non avevano nessuno che poteva prendersi cura di loro». La maggior parte delle vittime della guerra alla droga proviene da famiglie povere, che vivono nelle baracche dei sobborghi di Manila.

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I bambini si coprono il naso per il forte odore durante una sepoltura collettiva il 24 gennaio 2017 a Navotas, Manila, duramente colpita dalla guerra alla droga – Foto: © 2017 Carlo Gabuco for Human Rights Watch

Guerra alla droga: nessun calo di popolarità per Duterte

Il massacro non ha però scalfito la popolarità di Rodrigo Duterte, che comunque sta portando avanti gran parte delle promesse fatte in campagna elettorale. Al contrario. Contestato dalla comunità internazionale per le esecuzioni extragiudiziali, i modi di fare sopra le righe, ma anche per il suo fastidioso cambio di rotta verso Mosca e Pechino in ambito di relazioni internazionali, il presidente vanta ancora oggi il supporto della maggioranza della popolazione. Duterte, infatti, ha vinto le elezioni di metà mandato del 13 maggio scorso, che erano state proposte dal governo come una specie di referendum per vedere se le sue politiche più autoritarie erano ben viste dai filippini.

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