Discriminazione sul lavoro: i malati di Crohn ne sono vittima tutti i giorni
In Italia 200 mila persone soffrono di malattie infiammatorie croniche intestinali. Eppure in questo campo esiste ancora un grave vuoto legislativo. E così la discriminazione sul lavoro può essere evitata solo contando sulla sensibilità dei datori di lavoro. E diventa comune subire soprusi o essere costretti a lasciare il posto
Emarginati in azienda perché malati di una malattia che nemmeno si vede. Chiedono giorni di ferie, ma non per una vacanza al mare con la famiglia, bensì per sottoporsi a visite mediche. Sul posto di lavoro usano troppo spesso il bagno, ma temono di confessare per quale motivo. E alla fine si sentono giudicare come lavativi. Fino all’ipotesi peggiore, quella di vedersi sospesi e infine licenziati.
Capita a molti di coloro che soffrono di malattie infiammatorie croniche dell’intestino, ovvero il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa, conosciute anche con l’acronimo italiano Mici o l’inglese Ibd (inflammatory bowel diseases, malattie infiammatorie dell’intestino), causa di gravi disturbi intestinali e non solo.
Morbo di Crohn: una malattia invisibile
Le Ibd sono considerate malattie invisibili, come lo è anche il cancro, perché le persone che ne sono affette non portano segni evidenti sul corpo. E, anche per questo, nella vita e sul luogo di lavoro finiscono spesso per essere discriminate.
Soprattutto in ambito lavorativo, attorno a queste malattie esiste un pressoché totale vuoto legislativo e a causa della confusione burocratica i malati non riescono a vedere riconosciuti i propri diritti, anche quando linee guida e tutele sarebbero previste.
Discriminazione sul lavoro per motivi di salute: la malattia di Crohn
In Italia 200 mila persone soffrono di malattie infiammatorie croniche intestinali. Secondo i dati di un’indagine realizzata dall’Efcca (European Federation of Crohn’s and Ulcerative Colitis Associations), a cui hanno partecipato 6 mila pazienti in Europa, di cui mille in Italia, il 24% dei malati ha dichiarato di essere stato palesemente discriminato sul luogo di lavoro. Il 51% ha ammesso che le proprie prospettive lavorative sono state influenzate negativamente dalla malattia. Ma i più colpiti da discriminazioni in ambito lavorativo sono le persone che per essere affette da malattia infiammatoria si trovano disoccupate o sottoccupate.
Inoltre, il 38% dei rispondenti riferisce di aver perso o di aver dovuto lasciare un lavoro a causa dell’Ibd (percentuale che sale al 91% tra coloro che sono disoccupati per questa causa e all’81% dei sottoccupati).
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Cosa sono le malattie infiammatorie croniche intestinali
Il morbo di Crohn, come la rettocolite ulcerosa, è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino. La malattia di Crohn può coinvolgere tutto il tratto intestinale, anche se nella maggior parte dei casi colpisce l’ultima parte dell’intestino tenue (ileo) e il colon.
La malattia di Crohn può avere manifestazioni extra-intestinali, a differenza della rettocolite ulcerosa, che si caratterizza per un’infiammazione cronica del retto e del colon. Pressoché sconosciute le cause scatenanti queste patologie, che a volte vengono diagnosticate dopo molti mesi dai sintomi iniziali. Per queste malattie non esistono ancora cure definitive e spesso si ricorre a interventi chirurgici.
Si tratta di malattie croniche dall’andamento altalenante, il che significa che un malato conosce periodi più o meno lunghi di benessere alternati a periodi in cui la malattia si aggrava anche in maniera repentina: mal di pancia, corse al bagno, febbre, debolezza tra i sintomi più comuni che portano a un peggioramento della qualità della vita notevole, fino all’impossibilità di svolgere le occupazioni quotidiane compreso il lavoro.
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Difficile capire come difendersi: dirlo al datore di lavoro non è semplice
«Chi soffre di morbo di Crohn e di colite ulcerosa paga lo scotto, da un certo punto di vista, di andare incontro alla mancata percezione della disabilità da parte delle altre persone. I malati hanno anche difficoltà a raccontare i sintomi, non è facile spiegare di avere una malattia che ti fa andare in bagno anche 10 volte al giorno, se non di più», dice Salvatore Leone, direttore di Amici, Associazione nazionale per le malattie infiammatorie croniche dell’intestino.
Questo innesca di per sé una reazione a catena secondo la quale il malato cerca di non fare assenze anche quando le sue condizioni non gli permettono di lavorare bene e colleghi e responsabili tendono a giudicarlo per questo come “lavativo”.
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«Il vero problema è che la legislazione da questo punto di vista non è tutelante. Anzi, a volte finisce per penalizzare questi malati. La situazione è drammatica. Negli anni la nostra associazione ha raccolto molti casi di persone che scelgono di non dichiarare la malattia ai propri datori di lavoro per paura di essere discriminati e demansionati. Le assenze diventano una penalizzazione sul luogo di lavoro, e i malati, tra l’altro, finiscono per usare i loro giorni di ferie. Secondo l’indagine europea i malati si dichiarano sotto pressione per dovere chiedere giorni di assenza e 2 su 10 si assentano dal lavoro per oltre 25 giorni l’anno, di cui la metà per visite mediche. Per non parlare dei lavoratori autonomi che sono completamente senza tutele. Tutto è lasciato alla sensibilità del singolo. L’impatto della malattia sul posto del lavoro dipende dalla personale reazione di datori di lavoro e colleghi», dice ancora Leone.
Le Ibd sono considerate malattie familiari non per la loro ereditarietà, ma perché coinvolgono tutta la famiglia del malato, anche dal punto di vista economico.
Le stime prodotte da un’altra ricerca che l’associazione Amici ha condotto in collaborazione con l’Alta Scuola di economia e management dei sistemi sanitari dell’università Cattolica di Roma chiariscono il problema: il costo medio annuo a carico dei malati di Ibd è di circa 746 euro, ma se si tiene conto della perdita di produttività generate dalla malattia o dall’avere un familiare affetto dalla malattia la cifra sale a 2.258 euro.
Domanda di invalidità, un terno al lotto
La stessa cosa accade per quanto riguarda il riconoscimento dell’invalidità: i malati di malattie infiammatorie croniche dell’intestino possono farne richiesta (e ottenerla con diverse percentuali, a seconda della gravità), ma non è detto che la ottengano.
«Le commissioni non applicano le linee guida e, anche in questo caso, tutto è lasciato alla sensibilità del singolo», conclude Leone.
Età vicina alla pensione e discriminazione sul lavoro: la storia di Mauro
«Ho quasi sessant’anni e da dieci mesi, da quando mi hanno diagnosticato una malattia infiammatoria cronica intestinale, non sono tornato al lavoro. Ora però vorrei capire quale sarà il mio destino».
A parlare è Mauro (nome di fantasia), che dopo un periodo difficile di peregrinazioni tra ospedali in attesa di sapere cosa causasse il suo dolore addominale e la visibile perdita di peso, come spesso accade a causa di queste malattie, nell’autunno 2018 ha ricevuto la diagnosi di Ibd. «Stavo male e non capivo perché e in questi dieci mesi ho avuto anche altri tipi di problemi di salute, molto gravi, correlati alle cure intraprese, che mi hanno impedito di tornare al lavoro. Ma ora che invece potrei pensare di rientrare, il paradosso è che rischierei di venire licenziato».
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Mauro è un metalmeccanico che lavora da oltre 30 anni nella stessa azienda, ma da quando si è ammalato i rapporti con i colleghi e soprattutto con i datori di lavoro sono cambiati, tanto che «non riesco nemmeno a parlare con loro. Telefonate su telefonate e nessuno mi vuole affrontare. Mi sono solo sentito dire che l’azienda non ha bisogno di persone non abili alla mansione».
Questo perché Mauro per il suo lavoro deve periodicamente essere sottoposto a visite di idoneità che, evidentemente, non supererebbe dopo la comparsa della malattia. «Se torno è evidente che nel giro di poco verrei licenziato, ma allo stesso tempo, nonostante mi sia rivolto a un legale, nessuno sa dirmi cosa posso fare. C’è solo tanta confusione su tutto, a partire dalle modalità di calcolo dei giorni di assenza che in un quadro di cambiamento delle modalità contrattuali in corso a livello generale nessuno è più in grado di risolvere. Mi è stato detto per esempio che dipenderebbe anche dal fatto che la mia malattia sia catalogata come malattie grave o meno, ma sembra che nessuno sappia dell’esistenza di un elenco di questo tipo. Non si tratta di un dettaglio, per me potrebbe essere addirittura la risposta a tutti i miei problemi, visto che se mi venissero computati in una certa maniera i giorni potrei arrivare addirittura alla agognata pensione», ci spiega.
E invece le giornate di Mauro si dividono tra telefonate e pellegrinaggi ai vari enti, sindacati e patronati, in cerca di risposte che chissà se e quando arriveranno. E tutto questo sopportando anche una malattia che in questi mesi ha dovuto imparare a gestire. «Sono sempre stato una persona sportiva e una buona forchetta, ma per la mia malattia ho dovuto imparare a percepirmi in maniera diversa e tutto lo stress legato alla mia situazione lavorativa non mi aiuta. Sono molto preoccupato e la mia unica fortuna è avere una bella famiglia che mi supporta. Ma il lavoro ci è necessario, non possiamo pensare di vivere senza entrate».
Buonasera io ho la colite spastica …ma è simile…
Io ho il Morbo di Crohn diagnosticato da due anni, oltre che la paura di perdere il lavoro, la vergogna di dover spiegare perché hai bisogno del bagno molto più frequentemente degli altri, c’è proprio la paura di non trovarlo lavoro. Da due anni ogni 8 settimane mi sottopongo alla terapia biologica in regime di Day Hospital, le cose sembrano andare meglio. Dato c eh sto cercando lavoro devo dichiarare la necessità di avere ogni due mesi un giorno di permesso se tutto va bene, se il Crohn rimane buono. E il futuro ipotetico datore di lavoro storce il naso e, magia, non richiamano più. Purtroppo l’avere il Morbo di Crohn in remissione non è una garanzia, da un giorno ad un altro, come gli pare a lui si può riacutizzare. Per non parlare di dolori articolari, stanchezza cronica ecc ecc. Ci vorrebbero leggi che ci tutelino un po’ di più, e incontrare un po’ più di comprensione.
Spiegate male, sia il Mdc che la Colite ulcerosa possono dare problemi grossi extraintestinali. Lo so bene, ho ancora le cicatrici da pioderma gangrenoso da rcu e adesso mi sorbisco la spondiloartrite.
Articolo fuorviante! Innanzitutto dover usare i servizi 10 volte solo nell’orario lavorativo indica uno stadio gravissimo della malattia ovvero una quasi totale mancanza di assorbimento e quinti un ricovero obbligato! In secondo luogo le commissioni mediche sono preparate a riguardo secondo la tabella del 5 febbraio 1992 elencante tutte le malattie ove è calcolato un punteggio per l’esito finale (esito stabilito da medici INPS). Le invalidità vengono riconosciute sempre nei casi gravi dove il paziente non risponde alle terapie farmacologiche e nei pazienti chirurgici (a cui sono state esportate le sezioni malate dell’intestino). L’Invalidità può essere riconosciuta anche per pazienti non gravi che rispondono alle terapie (e che quindi vivono uno stato di benessere anche se certamente può essere temporaneo)