Codice Rosa: lotta senza quartiere alla violenza di genere

Vittoria Doretti, ideatrice del Codice Rosa, racconta la storia di un percorso speciale di accesso al pronto soccorso riservato alle vittime di violenza. Un'esperienza cominciata in Toscana che oggi è legge ed è potuta entrare così in ogni ospedale d'Italia

«A preoccuparci è che rimangono inchiodati tre dati: i femminicidi, gli stupri e le molestie sul posto di lavoro. Questo significa che non stiamo facendo bene. Perché c’è una maggiore efferatezza».

A parlare è Vittoria Doretti, la dottoressa che ha ideato insieme alla sua squadra il  Codice Rosa, un percorso speciale di accesso al pronto soccorso riservato a tutte le vittime di violenza, in particolare donne, bambini e persone discriminate.

«Abbiamo immaginato nel 2009 qualcosa che quattro anni dopo sarebbe stato scritto nella Convenzione di Istanbul. Se c’è qualcosa che abbiamo capito in questo percorso di dialogo tra i diversi enti, centri violenza in prima linea, è che nessuno può sostituirsi nei ruoli. Ed è così che Codice Rosa da esperienza di provincia è diventato modello nazionale e internazionale».

Secondo l’Istat negli ultimi cinque anni 4,3 milioni di donne hanno subito violenza, l’11,3% del totale: 1,5 milioni di donne hanno subito violenza fisica, 1,3 milioni violenza sessuale, mentre 246 mila donne hanno subito stupri o tentati stupri.

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Vittoria Doretti riceve l’onorificenza di ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana

Com’è nata l’idea del Codice Rosa in Toscana?

L’idea nasce a Grosseto, nel 2009. Avevamo capito che la nostra visione non rispecchiava la realtà. La nostra è stata una visione di rete. La firma del protocollo è arrivata molti mesi dopo. Abbiamo lavorato insieme, con la Procura, con le forze dell’ordine e con i centri anti-violenza. Questo ci ha permesso, insieme ai centri anti-violenza, di sviluppare quell’attenzione e quella cura nella accoglienza, in un posto che è quello più difficile, che non è adeguato chi ha profonde ferite, come quello del pronto soccorso, dove una donna vittima di violenza prima o poi arriva.

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Noi operatori sanitari dovevamo avere una formazione che dieci anni fa era impensabile avere. Parliamo di anni antecedenti alla Convenzione di Istanbul, prima che venisse ratificata in Italia la direttiva sulle vittime di reato. Abbiamo ideato un percorso per le vittime di e vittime di crimini di odio. Non esisteva nulla di simile in Europa.

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Vittoria Doretti con una parte della sua squadra della Rete Regionale Codice Rosa della Regione Toscana

Cosa ha cambiato il Codice Rosa?

La grande innovazione culturale di Codice Rosa è stato di non esserci accontentati di dire che che solo l’ospedale di Grosseto doveva avere il codice Rosa. La decisione della Regione Toscana è stata di capire che non doveva esserci differenza tra la donna violentata in Argentario o a Pisa, nel piccolo centro o nella grande città, ma che il protocollo doveva essere diffuso in tutti i pronto soccorso. Dal 2014, dunque, Codice Rosa si è diffuso in tutta la Toscana e dal 2015, con la legge di stabilità, è stato inserito come linee guida in tutta Italia.

Il Codice Rosa oggi è una legge di Stato e c’è una stanza del pronto soccorso dell’ospedale dedicata.

Abbiamo vinto come comunità, non come Vittoria Doretti. Abbiamo vinto noi come squadra. È stato definito per legge che una donna, come vittima di violenza di genere, anche nel sospetto, venga accolta in una stanza dedicata entro 20 minuti e che siano gli specialisti a raggiungere la donna e non il contrario. Che sia la donna al centro.

L’approvazione delle linee guida nazionali ha suscitato malumori. Si è parlato della “trappola” del Codice Rosa. Pensando che la donna fosse costretta alla denuncia. È così?

È bene fare una precisazione. Un conto sono gli obblighi di legge che riguardano i pubblici ufficiali, come possono essere i medici di pronto soccorso, che nel momento in cui vengono a conoscenza di un reato perseguibile d’ufficio sono obbligati a farne segnalazione all’autorità giudiziaria, un’altra cosa è la scelta della persona di procedere con la denuncia. Questo non ha a che vedere con Codice Rosa

Cosa è cambiato nel Codice Rosa dal 2015 ad oggi?

Dal 2009 ad oggi molto è cambiato. Codice Rosa è un’evoluzione continua. Ma dal 2015 ancora di più la parola d’ordine è stata un colloquio profondo inter-istituzionale. Se c’è qualcosa che abbiamo capito in questo percorso di dialogo tra i diversi enti, è che nessuno può sostituirsi nei ruoli. Centri violenza in prima linea, alle cui professioniste va il mio ringraziamento più grande. Da loro ho imparato tanto, dalle parole da usare, allo sguardo da avere con le donne che arrivano in pronto soccorso. Ed è così, grazie a questo dialogo, un valore sacro per me, che Codice Rosa da esperienza di provincia è diventato modello nazionale e internazionale.

In Brasile stanno cercando di imitare il Codice Rosa.

Sì, la regione Toscana, con la mia azienda, ha dato il via libera e siamo lavorando con il consolato del Brasile. Abbiamo già iniziato la formazione e incontrato le associazioni e i componenti governativi. C’è un continuo scambio internazionale.

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Vittoria Doretti al centro culturale Ikeda per la pace di Milano, per l’evento organizzato dall’istituto buddista italiano Soka Gakkai “Il sole dei diritti umani – Il mio ruolo per cambiare il mondo

I numeri della violenza sulle donne cosa dicono?

I numeri sono in lieve calo. A preoccuparci è che rimangono inchiodati tre dati: i femminicidi, gli stupri e le molestie sul posto di lavoro. Questo significa che non stiamo facendo bene. Perché c’è una maggiore efferatezza sul tema. Inoltre c’è tutta una forma nuova di violenza. Si pensi al bullismo, anche di matrice omofobica, o al cyberbullismo. E i crimini di odio, la crescente avversione per ciò che viene considerato diverso.

In 10 anni di Codice Rosa la consapevolezza delle donne è cambiata?

Sì. Ho incontrato tante donne in questi anni. La definizione di donne come appartenenti alle fasce deboli non è adeguata.

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