Forze dell’ordine: Italia fanalino di coda in Europa sui codici identificativi

In Europa quasi tutte le forze dell'ordine hanno un codice identificativo per scoraggiare soprusi e identificare i colpevoli in caso di violazione delle norme. Non in Italia, che insieme a solo altri quattro paesi continua a non obbligare i propri agenti a farsi riconoscere. Nonostante le pressioni di Onu e Ue

da Bruxelles, Belgio

Dopo i violenti scontri di Genova dello scorso 23 maggio si torna a parlare di numeri identificativi per le forze di polizia. In quell’occasione piazza Marsala era stata blindata con 300 uomini per un comizio di Casapound. E a fine giornata si registravano cariche contro i manifestanti antifascisti che avevano organizzato un presidio e tentato di sfondare la zona rossa, alcuni feriti e un giornalista di Repubblica, Stefano Origone, picchiato con i manganelli proprio dai poliziotti.

Quello stesso giovedì, in seguito a questi fatti, sono stati aperti due fascicoli e quattro poliziotti della mobile, che si erano già presentati spontaneamente in procura, sono finiti nel registro degli indagati per lesioni aggravate.

Codici identificativi: Ue e Onu li consigliano alle forze dell’ordine

Per evitare che fenomeni di violenza di questo genere possano accadere e rimanere impuniti, la società civile europea lavora da tempo per l’introduzione dei cosiddetti collar number (numeri sul collo), o shoulder number (numeri sulla spalla). Si tratta di codici identificativi usati per riconoscere i singoli ufficiali di polizia, che altrimenti non sarebbe possibile identificare in situazioni di confusione come assemblee, manifestazioni o quando intervengono col volto non totalmente scoperto.

Grazie a codici alfanumerici ben visibili sulla divisa, dunque, si potrebbero individuare i responsabili di aggressioni fuori controllo. E la sorveglianza reciproca servirebbe come deterrente e dissuadere da eventuali violazioni dei diritti umani.

Nel 2012 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che esprimeva «preoccupazione per il ricorso a una forza sproporzionata da parte della polizia durante eventi pubblici e manifestazioni nell’Ue» ed esortava «gli Stati membri a garantire che il personale di polizia porti un numero identificativo».

Nel 2016 anche il Consiglio sui diritti umani delle Nazioni Unite si è espresso a proposito di manifestazioni e della loro gestione da parte dello stato. Il Relatore speciale per il diritto alla libertà di assemblea pacifica e di associazione, Maina Kiai, insieme al Relatore speciale sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, Christof Heyns, hanno raccomandato infatti che «i funzionari delle forze di polizia siano chiaramente e individualmente identificabili, ad esempio esponendo una targhetta col nome o con un numero».

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Foto: pxhere

Forze dell’ordine: in Europa quasi tutti hanno i codici

Questa soluzione è in uso per gli agenti impegnati in attività di ordine pubblico nella stragrande maggioranza dei paesi europei. Su 28, sono 20 gli stati membri che hanno adottato gli identificativi: Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Spagna.

In Belgio, una norma obbliga gli agenti a portare una targhetta con nome, grado e forza di polizia, ma si vorrebbe introdurre una nuova forma di identificativi per garantire l’anonimato.

In Francia è previsto l’obbligo per gli agenti in servizio, sia in uniforme sia in borghese, di esporre un codice. Valgono eccezioni per gli agenti incaricati di presidiare la direzione generale della sicurezza interna, per quelli in servizio presso le sedi diplomatiche francesi all’estero, in occasione di cerimonie o commemorazioni, e per alcune unità della polizia e della gendarmeria di stato, come quelle di contrasto al terrorismo.

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In Grecia un rapporto del 2012 di Amnesty International ha denunciato la pratica adottata dalla polizia nelle proteste contro le politiche di austerità di riportare il codice identificativo nella parte posteriore del casco, aggirando così di fatto l’obbligo di essere chiaramente identificabili dai manifestanti.

Nel Regno Unito l’identificazione degli agenti varia da regione a regione, ma la Metropolitan Police Authority è diventata più rigida sul cosiddetto “dress code” dopo gli scontri a Londra durante il G20 del 2009.

In Spagna vige l’obbligo di identificazione pubblica per gli agenti, anche se non sono previste misure per garantire il rispetto della regola, né sono previste conseguenze per chi occulta le targhette.

In Germania la normativa è valida in nove regioni su 16 (tra cui Berlino e la zona circostante Brandeburgo). Nel paese, infatti, non c’è l’obbligo di identificazione per la polizia federale, ma esiste per alcuni corpi di polizia regionali.

Ungheria e Svezia non prevedono un obbligo, eppure gli agenti di polizia espongono nome, carta d’identità e grado sull’uniforme e un codice quando indossano equipaggiamento speciale.

Restano esclusi, quindi, soltanto Austria, Cipro, Italia, Lussemburgo e Olanda.

Forze dell’ordine italiane: l’appello di Amnesty

Amnesty International Italia ha rilanciato la sua campagna per chiedere i codici identificativi delle forze di polizia, dopo l’appello dello scorso novembre rivolto al ministro dell’Interno, Matteo Salvini, e al capo della Polizia, Franco Gabrielli.

«La nostra richiesta cade a distanza di 17 anni da quel G8 di Geno­va del 2001: benché le violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani commesse in occasione di quell’evento siano state accerta­te in giudizio, molti fra gli appartenenti alle forze di polizia coinvolti sono rimasti impuniti, in parte proprio perché non fu possibile risalire all’identità di tutti gli agenti presenti», recita la campagna.

L’impegno dell’organizzazione nasce non a caso nel 2011, nel decimo anniversario dei fatti di Genova, per ottenere dal Governo la condanna pubblica delle violenze, le scuse alle vittime e indagini rapide, accurate ed eque.

«Si sa che ci sono delle norme che hanno un potere deterrente e allo stesso tempo – quando viene compiuto qualche atto criminale – sono in grado di sanzionare le persone individualmente responsabili salvaguardando la grande maggioranza dei colleghi che invece svolgono il loro lavoro in maniera encomiabile», dice a Osservatorio Diritti Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. «Noi continuiamo a pensare che il codice identificativo sia la soluzione più efficace e mi rendo conto che i vantaggi sono molto superiori rispetto a ipotetici svantaggi, come quelli paventati del rischio per l’incolumità».

Quali sono le proposte del Sindacato di polizia

I diretti interessati hanno infatti espresso preoccupazione per il potenziale uso dei codici ai danni della vita personale e si sono dimostrati spesso contrari. «Gli identificativi possono portare a far sì che gli operatori siano sottoposti a lunghi procedimenti penali con tutta una serie di ripercussioni sulla carriera, il servizio e la famiglia, anche di carattere economico. Abbiamo già purtroppo vissuto in passato una sorta di schedatura nei confronti di chi svolge attività di ordine pubblico, tant’è vero che nel dark web sono stati trovati nomi, residenza, abitudini dei miei colleghi», dice a Osservatorio Diritti il segretario generale del Sindacato autonomo di polizia, Stefano Paoloni.

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Stefano Paoloni – Foto: Creatorsmode (via Wikipedia)

In alternativa, chiedono di essere dotati di bodycam, le telecamere sul corpo. «Noi siamo sempre stati per la trasparenza della nostra attività», aggiunge Paoloni. «Queste non perdonano niente a nessuno, né da una parte né dall’altra, e sono strumento di verità e non consentono strumentalizzazioni».

Tra codici e bodycam resta perà la discrezionalità della seconda opzione: le telecamere possono essere spente e i video messi a disposizione soltanto dell’autorità giudiziaria. A proposito di bodycam, Amnesty ribadisce che di per sé non ci sono preclusioni, ma la loro introduzione andrebbe supportata da «un quadro giuridico e operativo che migliori complessivamente la responsabilità delle forze di polizia».

Codice identificativo per forze di polizia: lo stop del governo

I disegni di legge di volta in volta presentati dopo il G8 del 2001 non hanno portato ancora a niente. Nel contratto per il governo del cambiamento, alla voce “forze dell’ordine”, Lega e Movimento 5 Stelle hanno stabilito che «si dovranno dotare tutti gli agenti che svolgono compiti di polizia su strada di una videocamera sulla divisa, nell’autovettura e nelle celle di sicurezza, sotto il controllo e la direzione del Garante della privacy, con adozione di un rigido regolamento, per filmare quanto accade durante il servizio, nelle manifestazioni, in piazza e negli stadi».

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha dichiarato un anno fa:

«Il mio obiettivo è non mettere il numero sui caschi dei poliziotti, che sono già abbastanza facilmente bersagli dei delinquenti anche senza il numero in testa».

1 Commento
  1. MPaola dice

    Dove posso trovare la petizione per chiedere i numeri identificativi sui caschi delle forze dell’ordine? Oppure perché non rilanciarla dopo gli ultimi fatti di Pisa?

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