Omofobia: i diritti violati delle persone Lgbt in Italia arrivano all’Onu
Una coalizione di associazioni presenta all'Onu un documento sui diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali in Italia: legislazione carente, attacchi d'odio anche da parte di politici e difficoltà a riconoscere lo status di rifugiato per motivi legati all'orientamento sessuale
Legislazione incompleta. Incitamento all’odio proveniente direttamente anche da funzionari pubblici e politici. Figli di genitori omosessuali non ancora pienamente riconosciuti e protetti. Nessuna regolamentazione esplicita su omofobia e transfobia. Difficoltà a riconoscere lo status di rifugiato alle persone migranti che si dichiarano Lgbt, soprattutto a seguito delle nuove regole introdotte dal decreto sicurezza dell’ottobre scorso.
Sono le principali evidenze che emergono dal documento Italia: lo stato dei diritti umani di persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali presentato all’Onu da una coalizione di associazioni: Arcigay – Associazione LGBTI italiana, Centro risorse LGBTI, Certi diritti – Associazione radicale, Oii Italia, Out Sport. A novembre, infatti, alle Nazioni Unite si terrà la 34esima sessione della revisione periodica universale italiana, nel corso della quale il Consiglio per i diritti umani dell’Onu esaminerà lo stato dei diritti umani In Italia.
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Da qui il documento, che tiene conto anche delle raccomandazioni fatte all’Italia nei cicli precedenti della revisione periodica universale del 2009 e 2014. Le associazioni propongono alle varie delegazioni che esamineranno il documento del governo italiano anche una serie di domande e di raccomandazioni che si concentrano sui diritti umani delle persone Lgbt.
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Orientamento sessuale e identità di genere, i dati in Italia
La discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere è ancora un’emergenza in Italia, nonostante la recente introduzione dell’unione civile per le coppie dello stesso sesso. L’Italia non dispone di adeguate disposizioni legali per combattere i crimini di odio e gli incidenti contro le persone Lgbt.
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Secondo una ricerca condotta dall’Arcigay, circa il 20% degli omosessuali e delle lesbiche intervistati sono stati insultati o molestati a causa del loro orientamento sessuale. La percentuale raggiunge il 30% tra gli uomini gay sotto i 25 anni.
Secondo l’Unar, l’Agenzia nazionale contro la discriminazione, quasi il 10% dei casi di discriminazione denunciati apertamente riguarda le persone Lgbt. E uno studio riporta l’atteggiamento generale nei confronti delle persone trans: il 24,8% degli italiani rifiuta di condannare un comportamento discriminante nei confronti di una persona trans; Il 30,5% non vuole una persona trans come vicino. Nel rapporto sull’omofobia che Arcigay ha diffuso a maggio 2018, sono state segnalate 119 storie di violenza omotransfobica, tra cui quattro omicidi.
L’Oscad, l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti di discriminazione, insieme all’Unar, raccoglie dati sui casi di discriminazione: tra settembre 2010 e febbraio 2013 sono stati segnalati 329 casi, 138 dei quali classificati come crimini. Le relazioni evidenziano una prevalenza di casi di discriminazione razziale (56%), seguiti da casi di discriminazione basata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere (29%).
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Omofobia in Italia: il diritto a una famiglia
Nel maggio 2016 è stata approvata la legge sulla convivenza civile (legge 76/2016) e, nell’ottobre dello stesso anno, sono stati approvati anche i decreti attuativi, rendendo effettiva la legge. Una legislazione che prevede l’uguaglianza in materia fiscale, previdenziale ed ereditaria.
«È importante sottolineare – si legge nel documento – che la legge sulle unioni civili non cancella la discriminazione: le famiglie Lgbt sono ancora discriminate. Non sono considerati come famiglie reali. La loro unione non è un matrimonio e lo stigma sulle famiglie Lgbt rimane».
Inoltre, i figli di genitori omosessuali non sono ancora pienamente riconosciuti e protetti. Ai figli dei genitori omosessuali è negato il diritto di essere mantenuti, assistiti, educati e istruiti dal genitore non legale, avere una continuità affettiva garantita in caso di separazione della coppia omosessuale o morte del genitore legale e di acquisire la parentela (nonni, zie e zii, cugini) del genitore non legale. I figli di genitori omosessuali non hanno la certificazione di nascita che riporta entrambi i genitori. I documenti danno rilevanza solo al genitore biologico.
Omofobia a scuola, tra discriminazioni e bullismo
«Una ricerca nazionale intitolata “Bee Proud! Speak Out!” – riporta il documento presentato all’Onu – mostra un ambiente ostile per i giovani Lgbt nelle scuole: tra termini dispregiativi, reati, molestie verbali e fisiche, non sembra essere una priorità delle scuole italiane accogliere e rispettare la diversità. In molti casi, i dirigenti scolastici vietano di parlare di identità di genere o orientamento sessuale».
Il clima ostile è aumentato negli ultimi anni con il cosiddetto movimento “nessun genere” che – descrivendo qualsiasi tentativo di parlare di diritti e identità Lgbt come una forma di lavaggio del cervello – mira a vietare a chiunque di affrontare questi temi all’interno delle scuole.
Vi sono ancora molti casi di bullismo, aggressioni, problemi nell’accesso al mercato del lavoro, giovani costretti, dalla propria famiglia, a lasciare casa e che non trovano servizi a cui rivolgersi. Secondo un’indagine Istat del 2011, il 24% delle popolazioni omosessuali ha affermato di essere stato discriminato durante gli anni delle scuole superiori e dei college, rispetto al 14% della popolazione eterosessuale.
Lgbt in Italia: omofobia e tema della salute
Le ricerche su questo tema sono scarse e gli ultimi dati risalgono al 2016: il 10,2% delle persone Lgbt è stato discriminato nell’accesso al sistema sanitario da parte di personale medico e non medico; Il 78% degli uomini e il 86,8% delle donne non rivelano il proprio orientamento sessuale al proprio medico. Di conseguenza, le persone Lgbt hanno un accesso ancora più limitato alle informazioni sulla salute sessuale e riproduttiva legate ai loro bisogni.
«Le persone transgender – dicono le associazioni – hanno accesso ai servizi di riassegnazione di genere; tuttavia, questi non sono equamente distribuiti in tutta Italia. Il fatto che la maggior parte delle regioni italiane non forniscano trattamenti ormonali gratuiti rappresenta un ostacolo significativo per le persone transessuali e un onere economico che spinge verso la marginalità e l’esclusione sociale, nonché gravi problemi di salute».
Diritti umani delle persone transgender: la legge
La legge n.164/82 disciplina la riassegnazione di genere e la conseguente modifica del documento di identità. La legge, tuttavia, lascia spazio all’interpretazione, poiché non specifica se la correzione debba riguardare i tratti sessuali primari o secondari e se un trattamento farmacologico sia sufficiente o sia necessario un intervento chirurgico perché la modifica abbia luogo.
Con le sentenze della Corte costituzionale nel 2015 e 2017, la riassegnazione di genere è finalmente collocata al di fuori di un discorso medicalizzante. Le due decisioni giudiziarie stabiliscono che la chirurgia non è una condizione necessaria per la riassegnazione di genere. Tuttavia, la Corte specifica che il giudice ha il compito «di accertare la natura e l’estensione delle modifiche apportate alle caratteristiche sessuali, che contribuiscono a determinare l’identità personale e di genere«
Questo stato di cose determina difficoltà nell’ottenere un lavoro o, solo per fare alcuni esempi, firmare contratti di locazione. Costituisce anche una violazione della privacy ogni volta che diventa necessario mostrare un documento che non corrisponde all’aspetto del suo portatore. Poiché il sesso è anche indicato nel codice fiscale italiano, una semplice modifica del nome di nascita non è sufficiente per proteggere la privacy dell’individuo.
Cosa significa essere richiedenti asilo Lgbt
Una persona Lgbt ha il diritto alla protezione internazionale quando esiste una ragione ben fondata legata a persecuzioni nello Stato di origine o anche dalla famiglia o, in un senso più ampio, dalla comunità a cui appartiene. La persona Lgbt che è costretta a nascondere la sua identità di genere e l’orientamento sessuale ha quindi diritto all’asilo politico.
In Italia, tuttavia, esistono criticità nel riconoscere lo status di rifugiato alle persone che si dichiarano Lgbt. Criticità attribuibili, ad esempio, alla scarsa preparazione dei membri delle commissioni rispetto ai concetti di orientamento sessuale e identità di genere o all’atteggiamento negativo e pregiudizievole da parte dei membri del comitato.
«Queste criticità – si legge nel documento – sono esacerbate dalle nuove regole introdotte dal Decreto Sicurezza del 5 ottobre 2018. Il decreto, infatti, elimina i permessi di soggiorno per motivi umanitari, escludendo di fatto un’ampia fetta di richiedenti dalla possibilità di avere un soggiorno regolare riconosciuto in Italia. Ciò ha portato ad un’amplificazione del fenomeno delle false dichiarazioni relative al proprio orientamento sessuale e identità di genere».
Il fenomeno di cui parla il documento presentato all’Onu viene a volte sostenuto dagli stessi avvocati che invitano il richiedente a rivolgersi alle associazioni Lgbt come prova della propria identità o orientamento sessuale. Questo ha portato a un aumento delle richieste di riconoscimento della protezione internazionale per motivi di orientamento sessuale e identità di genere, ma anche un aumento dei dinieghi, a danno di coloro che hanno sofferto persecuzioni o rischio di persecuzione o sono stati espulsi, esclusi, emarginati dalle loro comunità e famiglie.
Ci sono criticità relative anche al sistema di accoglienza italiano, che non prevede ambienti e percorsi protetti per i migranti Lgbt, non riconoscendoli come categorie vulnerabili. Gli aspetti psicologici e sociali, determinati da una scarsa accettazione della propria identità sessuale, nonché dalla rottura dei legami familiari e di amicizia dovuti al proprio orientamento e identità di genere o alla paura che la propria identità sessuale venga scoperta nella struttura di accoglienza nella quale è stato inserito, infatti, non sono presi in considerazione.