Child war reporters: la guerra in Yemen nello sguardo dei bambini
La regista Khadija al-Salami racconta la guerra da una nuova prospettiva. Youssef e Ahmed, gli autori della maggior parte delle interviste, hanno 9 e 11 anni. Sono loro stessi i protagonisti del conflitto, che ha cambiato con il tempo il loro modo di percepire il mondo. La guerra li costringere ad una maturità che non appartiene alla loro età anagrafica
Youssef, Ahmed e Riima hanno 9, 11 e 8 anni. Gran parte della loro vita è trascorsa in tempo di guerra a Sana’a, la capitale dello Yemen. Sono bambini solo per l’anagrafe: il loro vissuto li ha costretti a crescere troppo in fretta. Sono loro i tre narratori-protagonisti di Child war reporters, film-documentario della regista Khadija al-Salami, presentato in anteprima europea al Festival dei diritti umani di Milano e che ne chiuderà l’ultima tappa della rassegna a Roma, sabato 11 maggio, alle 20.30, al Maxxi.
Child war reporters perché Youssef, Ahmed e Riima per tutto il film conducono interviste a pezzi di società civile, artisti e vittime della guerra in Yemen per cercare di comprendere meglio il conflitto e, soprattutto, come fare a uscirne.
Il motore che accende la narrazione è la scoperta, per caso, di che cos’è l’Unione europea. Per i ragazzi è l’istituzione che ha evitato lo scoppio di nuovi conflitti in Europa, l’unione di Paesi diversi in nome della pace.
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Un film che racconta la guerra in Yemen senza filtri
Non c’è retorica nello sguardo di Youssef, Ahmed e Riima. Non sono, infatti, un espediente narrativo per trovare un punto di vista differente sulla storia del conflitto. Sono narratori veri, che plasmano il racconto attraverso le loro domande a tratti spiazzanti, ingenue, e a volte inopportune, e le loro emozioni, che vanno dalla noia alla più profonda commozione. E lo spettatore li segue, diventando come loro. Dimenticandosi di tutto ciò che sta al di là di quello che i bambini vedono. Non c’è politica, non c’è analisi, solo presa diretta.
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Youssef e Ahmed, i due presenti sulla scena, con il prosieguo del film si definiscono sempre più come personaggi indipendenti, che rappresentano a loro volta le conseguenze della guerra. Youssef è dotato di una grande sensibilità, che lo ha evidentemente reso poco interessato al modo di giocare dei bambini della sua età.
Ahmed, invece, ha un indole violenta che nemmeno lui si riesce a spiegare. Lo spettatore lo conosce mentre imbraccia il vecchio fucile del nonno e finge di sparare a degli aerei che passano sopra la sua casa. Ogni oggetto che gli passa per le mani si trasforma in un’arma e non esiste altro gioco al di là della guerra. Riima è la studentessa coscienziosa, invece, quella che vuole imparare nonostante tutto.
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Yemen, resistere sotto le bombe
Miss War è un’influencer sui social media. Posta foto per denunciare le condizioni quotidiane della guerra. Foto di denuncia, con un tocco artistico. Appartiene a quella generazione tra i 25 e i 35 anni che in Yemen sta perdendo ogni speranza. È un simbolo di chi si aggrappa alla normalità per poter andare avanti.
Madji Al-Ziadi, le rappeur de Sanaa chante le désespoir de la jeunesse yéménite #Yémen #EnvoyeSpecial pic.twitter.com/z2g3OiuWVk
— Envoyé spécial (@EnvoyeSpecial) 8 febbraio 2018
Speranza e bellezza sono due elementi che ricorrono nelle voci degli intervistati. C’è il caso di una pittrice, Saba, che con i suoi dipinti cerca di rendere eterne delle immagini del conflitto che sono diventate iconiche per chi le sta vivendo. Storie di vittime e di sopravvissuti che sono ormai parte della tradizione orale dei tempi di guerra.
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C’è poi il rapper Madji Al-Ziadi: orgoglio, Yemen e guerra sono le tre parole ricorrenti dei suoi testi. Ha cercato di vestire in chiave contemporanea la retorica dell’ingegno yemenita e dei valori della tradizione. Uno dei passaggi cinematograficamente più interessanti del film è quando l’intervista di Youssef e Ahmed trascolora in un video musicale di una sua canzone. Un altro modo per fuggire dalla realtà.
Child war reporters: quando sono i bambini che parlano
I momenti più toccanti restano però le interviste che Youssef e Ahmed fanno ai loro coetanei. I due a volte piangono con gli intervistati. In un caso addirittura piangono al posto dell’altro, visto che non gli sono rimaste più lacrime, né forza per disperarsi. Sono passaggi forti perché autentici e rendono giustizia all’innocenza dei bambini. Anche Ahmed, il violento, si scioglie di fronte alle storie degli altri, per quanto ogni volta che conduce lui il flusso di domande è più incerto e insicuro di quanto non accada con Youssef.
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Ospedali, campi profughi, cimiteri, abitazioni in rovina. Non sono luoghi da bambini, ma sono quotidiani per chi vive la guerra. Youssef, Ahmed e Riima si sono prestati a fare da portavoce. E il loro punto di vista tanto intimo ed empatico non può non lasciare un segno.