Campagna Abiti Puliti: H&M accusata di non rispettare i diritti dei lavoratori

La Campagna Abiti Puliti farà sentire la propria voce oggi all'assemblea annuale di H&M. Dopo aver acquistato alcune azioni dell'azienda per poter essere presente, chiederà agli azionisti di usare i profitti per istituire un fondo e iniziare a pagare salari dignitosi ai lavoratori della catena di fornitura

Una risoluzione per chiedere agli azionisti di usare i profitti del 2019 per istituire un fondo e iniziare a pagare salari dignitosi ai lavoratori. È così che la Campagna Abiti Puliti, sezione italiana dell’internazionale Clean Clothing Campaign, si presenterà – oggi, a Stoccolma – all’assemblea annuale di H&M. Per assicurarsi la possibilità di far sentire la propria voce, in rappresentanza degli oltre 850 mila lavoratori della catena di fornitura della nota azienda di abbigliamento, la Campagna Abiti Puliti ha infatti acquistato alcune azioni di H&M.

Inoltre, finora sono già state raccolte oltre 170 mila firme per chiedere all’azienda di mantenere la promessa di garantire salari dignitosi ai lavoratori entro il 2018. Firme che saranno consegnate oggi, prima dell’inizio dell’assemblea degli azionisti, all’amministratore delegato Karl-Johann Persson e alla responsabile della sostenibilità Anna Gedda, che hanno accettato di accogliere una delegazione dell’organizzazione.

H&M: l’azionariato critico della Campagna Abiti Puliti

Consegna delle firme e assemblea degli azionisti: l’acquisto di azioni di H&M da parte della Campagna Abiti Puliti è simbolico, ma sufficiente a far sentire la propria voce.

«Dall’assemblea degli azionisti – afferma Deborah Lucchetti, portavoce Campagna Abiti Puliti – ci aspettiamo che si incrini un fronte. La nostra richiesta è forte, ma non escludiamo che la risoluzione venga votata anche da altri azionisti».

L’azione della Campagna Abiti Puliti verso H&M è uno dei casi di campagna reattiva rispetto alle dichiarazioni dell’azienda. La rete, infatti, si è attivata a seguito di alcune dichiarazioni, rilasciate di propria iniziativa dall’azienda, fatte nel 2013, quando H&M si è esposta ponendosi come apripista rispetto alla sostenibilità del lavoro nella propria catena di fornitura. Da qui l’avvio del monitoraggio da parte della rete di Campagna Abiti Puliti.

E dopo anni, a quanto pare, poco è cambiato. «La percezione dei consumatori su H&M – prosegue la Lucchetti – è quella di un gruppo aziendale sostenibile, che gli ha procurato un posizionamento forte sul mercato. Ma a distanza di anni da quelle dichiarazioni poco è cambiato. Si è trattato un’azione di marketing, considerato che gli intenti dichiarati non hanno trovato riscontro nella realtà».

L’acquisto simbolico di alcune azioni di H&M da parte di Campagna Abiti Puliti sta intanto generando un dibattito politico e pubblico. «Questa è la prima volta – aggiunge la Lucchetti – che andiamo a bussare alle porte dei massimi vertici della governance di un brand. Sono giorni che le persone, pubblicamente, stanno chiedendo agli azionisti di agire a sostegno di quello che noi chiediamo».

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Deborah Lucchetti, portavoce Campagna Abiti Puliti

Clean Clothes Campaign: la campagna “Turn Around, H&M!”

L’azione che la Campagna Abiti Puliti promuove nell’assemblea di H&M, uno dei più grandi rivenditori al mondo, con profitti per 2,6 miliardi di dollari, è l’ennesima iniziativa da parte dell’organizzazione, che trova fondamento in dati, raccolti nel report “H&M: Le promesse non bastano. I salari restano di povertà”, diffuso alla scadenza del termine entro il quale H&M avrebbe dovuto mantenere la promessa fatta nel 2013.

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Le interviste ai lavoratori e la fase di analisi sono state condotte durante la campagna “Turn Around, H&M” coordinata dalla Clean Clothes Campaign e sostenuta dall’International Labor Rights Forum e da WeMove.EU. I risultati del report rivelano come lavoratori intervistati guadagnino in India e Turchia un terzo e in Cambogia meno della metà della soglia stimata di salario dignitoso.

In Bulgaria, invece, lo stipendio dei lavoratori intervistati presso un fornitore d’oro di H&M non arriva nemmeno al 10% di quello che necessiterebbero per avere una vita dignitosa.

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Dal report “H&M: Le promesse non bastano. I salari restano di povertà”

Catena di fornitura H&M: straordinari per sopravvivere

«I salari sono così bassi che dobbiamo fare gli straordinari per coprire i nostri bisogni primari», ha raccontato un lavoratore di un fornitore d’oro di H&M in India. In tre delle sei fabbriche coinvolte nell’inchiesta, le ore di straordinario spesso superano il limite massimo legale.

Lavorare di domenica è frequente in tutti e quattro i paesi in cui si è svolta la ricerca: Bulgaria, Turchia, Cambogia e India.

H&M in Bulgaria: il caso Koush Moda

Nella fabbrica Koush Moda, fornitore d’oro di H&M in Bulgaria, si lavora 12 ore al giorno, sette giorni alla settimana, senza ricevere il salario minimo legale previsto per un normale orario di lavoro. È quanto evidenzia il report, dove si legge anche che i lavoratori hanno riferito di dover effettuare ore di lavoro straordinario solo per ricevere la retribuzione minima.

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La sede della Koush Moda in Bulgaria (fonte: Google Maps)

Si parla di 12 ore al giorno, sette giorni la settimana, talvolta anche per 24 ore di fila, più il turno della mattina del giorno successivo. Si è stimato che siano 44 le ore lavorate in straordinario alla settimana, oltre il limite consentito per gli straordinari e per il numero di ore consecutive di lavoro.

«Per risparmiare compriamo vestiti usati – afferma una lavoratrice bulgara – a volte sono di H&M. Non abbiamo scelta, dalle nostre parti non c’è altro lavoro che questo». «Entri in fabbrica alle 8 di mattina, ma non sai mai quando ne uscirai. A volte torniamo a casa alle 4 del mattino seguente», denuncia un lavoratore della Koush Moda.

Ma chi lavora 44 ore in straordinario alla settimana percepisce il salario minimo legale? La legge del lavoro bulgara prescrive una maggiorazione per il lavoro straordinario del 50% per i normali giorni lavorativi, del 75% per il fine settimana e del 100% per le festività.

I lavoratori della Koush Moda ricevono 900 lev bulgani netti circa (459 euro). Un livello salariale elevato, se non si considerano le 44 ore di straordinario settimanali. Rapportata a un normale orario di lavoro, la cifra si riduce a un netto di 341 lev (174 euro), al di sotto del minimo legale di 400 lev netti (204 euro).

H&M in Turchia: il caso Pameks Giyim

Intervistare i lavoratori della Pameks Giyim – si legge nel report – è stato più difficile che altrove. Dopo l’incidente che nel 2009 ha provocato la morte di nove lavoratrici, infatti, si è instaurato nella fabbrica un clima di oppressione che alimenta la paura di essere licenziati se ci si lamenta delle condizioni di lavoro.

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La sede della Pameks Giyim in Turchia (fonte: Google Maps)

Secondo la ricerca i salari contrattuali percepiti dagli intervistati superano il livello del salario minimo: 1.750 lire turche (365 euro) al mese in media, contro un salario minimo netto di 1.603 lire turche (334 euro). Per quanto riguarda le ore prestate in straordinario, sono in media 23 alla settimana, ma ci sono settimane in cui vengono richieste 45 ore di lavoro straordinario.

Si lavora ogni giorno dalle 8 di mattina fino a mezzanotte, «in evidente violazione della legge turca – rivela il report – che prevede una durata massima dello straordinario di 78 ore al mese (270 ore all’anno) a cui si aggiunge il mancato pagamento delle maggiorazioni dovute».

H&M in India, il caso Shahi Exports

Shahi Exports Pvt Ltd è la principale azienda produttrice di abbigliamento in India, con un fatturato annuale di oltre 850 milioni di dollari. Un caso che inizialmente non rientrava nel progetto di ricerca, successivamente incluso a seguito di una richiesta di assistenza urgente da parte dei lavoratori, poiché agli inizi del 2018, nell’impianto produttivo si erano verificati casi di aggressioni fisiche, minacce di morte, insulti a sfondo sociale, per l’appartenenza di casta e motivi religiosi. Erano stati minacciati licenziamenti di massa e 15 lavoratori erano stati sospesi.

La Clean Clothes Campaign e l’Asia Floor Wage Alliance hanno sostenuto attivamente le richieste dell’organizzazione sindacale Koogu (e le raccomandazione del Worker Rights Consortium per interventi correttivi) nei confronti dei marchi e dei distributori che si riforniscono da Shahi, fra i quali H&M. Sono state avviate trattative che si sono concluse con la firma di un protocollo d’intesa, un primo passo verso la contrattazione collettiva su questioni riguardanti salari e condizioni di lavoro.

Più in generale, per capire le condizioni di lavoro nell’industria dell’abbigliamento in India, la ricerca ha raccolto la testimonianza di una lavoratrice indiana. Un donna di 40 anni, sposata, con tre bambini, che lavora in una fabbrica di abbigliamento. «Per arrivare puntuale al lavoro spesso non fa colazione. Un solo minuto di ritardo le costa un’ora di paga. È svenuta due volte in fabbrica. La prima volta si è ripresa in pochi minuti, ma la seconda volta è stata trasportata dai colleghi in ospedale perché è caduta su una macchina e si è procurata un’emorragia interna. La sua famiglia, di cinque persone, vive del suo reddito che non supera i 6.000 rupie indiane (85 euro) al mese», si legge nel report.

«Sono l’unica a lavorare in famiglia. Mi ammazzo di lavoro perché i miei figli possano andare a scuola e aspirare a un futuro migliore. Non voglio che finiscano a lavorare in una fabbrica di abbigliamento come è capitato a me», racconta la lavoratrice.

Campagna Abiti Puliti parla di diritti violati e svenimenti

Salari ridotti ai minimi termini, straordinari eccessivi e l’onere aggiuntivo del lavoro domestico portano a malnutrizione, stanchezza e svenimenti sul posto di lavoro. Secondo il report, un terzo delle donne intervistate in India e due terzi in Cambogia – che lavorano nelle fabbriche classificate da H&M come “fornitori di platino” – sono svenute sul posto di lavoro. Le lavoratrici bulgare parlano degli svenimenti come di eventi quotidiani. Inoltre, una lavoratrice ha denunciato il licenziamento di una compagna dopo uno svenimento.

«Sapevamo che H&M non avrebbe mantenuto il suo impegno – ha dichiarato Bettina Musiolek della Clean Clothes Campaign, che ha coordinato la ricerca – ma ciò che abbiamo trovato a livello di salari e di condizioni di lavoro nelle fabbriche della sua catena di fornitura è davvero scioccante. H&M deve intervenire immediatamente per porre fine allo scandalo dei salari da fame e delle violazioni dei diritti dei lavoratori».

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