Uiguri: storia di persecuzione e repressione nello Xinjiang cinese

Gli uiguri sono appena lo 0,6% della popolazione in Cina, eppure sono vittime di persecuzione e repressione nello Xinjiang da ormai molto tempo. Una storia, quella di questa minoranza musulmana, che si incrocia con interessi di vario genere, lotta al terrorismo internazionale e una realtà fatta anche di campi di concentramento e diritti violati

di Gaia Boneschi

Finalmente qualcosa sembra muoversi anche all’interno dei paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica nella lotta per il riconoscimento dei diritti umani. Possiamo interpretare in questo senso le parole recentemente pronunciate da Mevlut Cavusoglu, ministro degli Esteri della Turchia, nell’ambito del Consiglio Onu dei Diritti Umani che si è riunito a Ginevra il 25 febbraio. L’esponente del governo di Ankara, infatti, ha affermato:

«La Turchia riconosce il diritto della Cina a combattere il terrorismo, ma dovrebbe imparare a distinguere tra terroristi e persone innocenti. […] Incoraggiamo le autorità cinesi e ci aspettiamo che i diritti umani universali, inclusa la libertà di religione, siano rispettati e che sia garantita la piena protezione delle identità culturali degli uiguri e di altri musulmani».

Questa nascente attenzione a ciò che sta avvenendo in Cina da parte di paesi a maggioranza musulmana in realtà non è del tutto nuova, dato che anche Malaysia e Indonesia si erano recentemente pronunciate in tal senso. Finora, però, era rimasta silente proprio la Turchia, dove si è rifugiata la maggior parte delle popolazioni uigure esuli dalla Cina.

Per comprendere appieno la chiara nota polemica ravvisabile nella dichiarazione del ministro degli Esteri turco in sede Onu è però necessario chiarire meglio chi sono gli uiguri e qual è stata finora la politica repressiva utilizzata dal governo centrale di Pechino nei loro confronti.

Leggi anche: Uiguri: la Cina combatte il terrorismo imprigionandone 1 milione nello XinjianguiguriCittà di Hotan, Xinjiang (Foto: Colegota, via Wikimedia)

Chi sono gli uiguri: storia di persecuzione nello Xinjiang

Gli uiguri sono un’etnia turcofona e oggi di fede prevalentemente musulmana, la cui presenza nella regione dello Xinjiang è testimoniata già a partire dal II secolo a.C. in opposizione al primo impero Han che andava proprio allora costituendosi. Dal 1760, la dinastia Qing annesse ufficialmente il territorio all’impero e iniziò ad amministrarla in un’ottica già allora centralista, senza tener troppo in considerazione la volontà dei suoi secolari abitanti, del resto ancora incapaci di mettersi sul piano di concepire una vera e propria identità nazionale.

È solo dagli anni Novanta, inauguratisi con la disgregazione dell’Urss, che si è assistito al nascere di nuove sfide in Asia centrale, sia economiche sia etnico-religiose. Rilevante, a questo proposito, è l’affermarsi di nuove repubbliche indipendenti a maggioranza musulmana, di cui molte confinanti con lo Xinjiang.

Contemporaneamente si sono registrati i primi fenomeni di separatismo, il cui avvio è stato segnato il 5 aprile 1990, a Baren, piccola cittadina nella zona sud-orientale del Xinjiang, quando circa 200 militanti uiguri armati, guidati da Zeydin Yusup, leader del Partito islamico del Turkestan orientale, insorsero attaccando le forze dell’ordine cinesi e chiedendo che l’immigrazione Han verso la regione fosse fermata.

Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Dirittinewsletter osservatorio diritti

Ben presto le violenze si estesero a tutta la città, dove i promotori riuscirono a far leva sulla retorica religiosa, richiamando la popolazione al jihad e riuscendo così a resistere alcuni giorni, finché il governo cinese inviò l’esercito per sedare l’insurrezione.

Una seconda fase di scontri si è registrata tra il 1992 e il 1993, con numerosi attentati dinamitardi, per lo più nelle città del nord. Ad Urumqi, ad esempio, il 5 febbraio 1992 esplosero quattro bombe dirette contro edifici pubblici e due autobus che provocarono molte vittime.

Infine, una terza e ultima fase di disordini si ebbe tra l’inizio del 1996 e il 1997. In quel periodo furono molto numerose le operazioni di guerriglia, compresi sabotaggi e attacchi diretti alle caserme di polizia, nonché assassinii mirati ai danni di ufficiali governativi.

Pechino apre la strada alla repressione degli uiguri

È a questo punto che, in contrasto a questi avvenimenti, furono varate tre importanti iniziative politiche da parte del governo centrale cinese:

1. una direttiva segreta del Politburo del PCC109 che metteva in guardia da attività religiose illegali e infiltrazioni straniere nello Xinjiang;

2. la creazione del Gruppo dei Cinque, successivamente conosciuto come Shanghai Cooperation Organization (Sco), formato da Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, finalizzato a impedire ai musulmani uiguri provenienti da paesi vicini di raggiungere la Cina;

3. le campagne denominate “Strike Hard”, concepite come vere e proprie misure repressive di polizia, avviate nell’aprile 1996, consistenti in una serie di misure per annientare l’illegalità e il terrorismo, specificamente nella regione del Xinjiang.

Dopo queste tre fondamentali tappe dell’azione anti-separatista cinese, varie iniziative si sono ripetute nel tempo, caratterizzandosi sempre più con processi sommari, arresti illegali e sentenze spesso arbitrarie, conclusesi persino con pene capitali.

Leggi anche: Uiguri: la repressione della Cina contro i musulmani dello Xinjiang

uiguri
Un ufficiale all’inaugurazione di un nuovo campo di rieducazione politica a Bayingolin, Xinjiang

Uiguri: comunità internazionale, lotta al terrorismo e campi di concentramento

Ciò è avvenuto con una sorta di silenzio-assenso sul piano internazionale, favorito anche dalle conseguenze agli attentati che ebbero luogo negli Stati Uniti l’11 settembre 2001, che diedero avvio a nuove azioni di repressione contro realtà connesse in vario modo al mondo islamico. È infatti in quel periodo che la Cina, appoggiando gli Stati Uniti nella lotta al terrorismo, durante un incontro con il presidente americano Bush e il presidente russo Putin, raggiunse un tacito accordo sul suo modo di gestire le sue azioni anti-separatiste, semplicemente etichettandole come lotta al terrorismo interno.

In questo clima caratterizzato dalla diffusa paura per il terrorismo di natura islamica si è arrivati al 2017, quando una notizia sconcertante ha trovato spazio sui principali network d’informazione: in Cina, migliaia di uiguri, dopo il censimento, erano detenuti in campi formalmente denominati “scuole per l’educazione professionale” o “scuole di addestramento contro l’estremismo”, dove non si ha accesso ad avvocati e si è costretti quotidianamente a manipolazioni e deprivazioni.

I diritti violati degli uiguri in Cina

In realtà, man mano che le notizie filtrano e i contorni si fanno più chiari,  emerge che le restrizioni straordinarie alle libertà personali per i musulmani uiguri in Cina non si limitano ai campi di detenzione: accanto a un indottrinamento pervasivo non solo per i reclusi, ma per tutti, il governo impone una sorveglianza costante, che si inasprisce sempre di più, grazie anche al ricorso a un impiego massiccio della tecnologia: si prelevano a ogni individuo uiguro campioni di sangue e di Dna, per collegarli, oltre che alla carta di identità, a qualsiasi tipo di acquisto ritenuto sospetto (ad esempio armi da taglio).

Anche la libertà di pensiero risulta intaccata, poiché la maggior parte dei musulmani, anche al di fuori dai campi, è costretta a partecipare periodicamente a cerimonie di indottrinamento in onore del Pcc e, in un esercizio chiamato “Looking Back”, deve condannare pubblicamente come “fanatici” i propri familiari condannati per estremismo. Inoltre, con la scusa di far uscire le persone dal presunto stato di ignoranza e arretratezza in cui versano, vengono appositamente organizzati incontri per rieducare i membri della comunità islamica affinché si allontanino da quella fede e imparino i fondamenti del socialismo, nonché a parlare cinese mandarino.

Leggi anche: Tratta di esseri umani: donne Kachin schiave del sesso in Cina

Xinjiang, territorio di risorse energetiche

Considerando che gli uiguri oggi superano forse di poco i 10 milioni, rappresentando quindi circa lo 0,6% della popolazione in Cina, viene da chiedersi perché il governo di Pechino abbia deciso di accanirsi proprio su questa popolazione.

Una risposta sembra legata al sottosuolo dello Xinjiang. Infatti, le riserve di gas naturale (13.000 trilioni di m3), carbone (2,190 miliardi di tonnellate) e altre risorse fossili nella regione rappresentano oltre il 20% del potenziale energetico cinese. Anche le riserve petrolifere nello Xinjiang ammontano a 23,4 miliardi di tonnellate e rappresentano oltre un quinto dell’intera capacità estrattiva del gigante asiatico.

Si aggiunga che nel 2009 la più importante azienda petrolifera cinese, la PetroChina, insieme alla russa Gazprom e all’olandese Shell, firmarono un accordo per la costruzione di un gasdotto che, attraverso lo Xinjiang, raggiunge la parte orientale della Cina e aiuta a rafforzare la posizione geopolitica di quest’ultima, permettendole di fornire gas alla maggior parte dei paesi dell’Asia centrale.

Test nucleari nell’area degli uiguri

Oltre alle sue risorse, la zona uigura risulta d’importanza fondamentale anche perché al suo interno è situato l’unico sito cinese dove vengono svolti, dal 1959, test di armi nucleari. La zona è quella del Lop Nor, ampio circa 20.000 km2, che in precedenza era un lago salato e ora è un’area disabitata.

Secondo quanto pubblicato sul Digital Journal nel 2009 dal professor Jun Takada, un fisico giapponese, i  test nucleari cinesi condotti dal 1964 al 1996 avrebbero causato circa 190.000 morti per radiazioni nelle aree circostanti, cioè più che in ogni altra nazione.

D’altro canto, Enver Tohti, un medico attivista per l’indipendenza uigura, oggi esiliato a Londra, ha denunciato che le percentuali di malati di cancro nella provincia del Xinjiang risulterebbero essere di un terzo superiori rispetto alla media nazionale.

Leggi anche: Chernobyl: latte contaminato 32 anni dopo il disastro

uiguri cina
Xi Jinping – Foto: Kremlin.ru (via Wikimedia)

L’importanza dello Xinjiang nella nuova Via della seta

Lo Xinjiang sta svolgendo dunque un ruolo vitale e strategico nella sicurezza economica della Cina, sia come maggiore contributore all’autosufficienza cinese di gas naturale, petrolio e carbone, sia come hub per il commercio estero (a maggior ragione in luce della nuova Belt and Road Initiative lanciata da Xi Jinping come nuova Via della seta, che collega la Cina al resto del mondo), sia per i suoi vasti territori disabitati dove condurre esperimenti nel più assoluto silenzio.

L’emergere della questione dei diritti umani violati nello Xinjiang sembra quindi essere una sottocomponente della più generale questione della sicurezza economica e militare della nazione cinese. Ma a diversi poteri centrali, e non solo a quello di Pechino, può convenire confondere le acque continuando a mantenere in auge il binomio “terrorismo e Islam”, ormai sedimentato in molte culture, che continua a dimostrarsi un ottimo alibi per reprimere il dissenso.

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.