Fashion Victims: le vittime della moda nel documentario di Brasile e Cattaneo

Al 29° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina (Fescaal), il documentario Fashion Victims di Alessandro Brasile e Chiara Cattaneo racconta le storie di sfruttamento nascoste dietro al mercato della moda internazionale

Turni che arrivano fino a diciotto ore consecutive, dormitori-prigione, infortuni e violenze: le storie delle lavoratrici dell’industria tessile nell’India meridionale sono al centro del documentario Fashion Victims di Alessandro Brasile e Chiara Cattaneo, presentato al 29° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina (Fescaal) in corso in questi giorni a Milano.

Dal Tamil Nadu, India del sud, arriva la maggior parte del filato che serve il mercato internazionale della moda, dal fast fashion ai grandi brand del lusso. In questa industria sono impiegate milioni di donne, spesso giovanissime, che vivono e lavorano in condizioni drammatiche.

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Dal documentario Fashion Victims

Fashion Victims: documentario sulle vittime della moda

Dalle esperienze comuni di Alessandro Brasile, fotografo, e Chiara Cattaneo, cooperante, nasce Fashion Victims, un documentario che racconta nomi, volti e storie nascoste dietro al mercato della moda internazionale.

L’industria tessile è fonte primaria di lavoro nella regione rurale del Tamil Nadu: le operaie provengono da zone poverissime e vengono “arruolate” da intermediari che le vanno a prendere a casa per condurle alle fabbriche. In cambio dei loro servizi, gli intermediari ricevono una percentule, che le aziende trattengono dal salario delle lavoratrici.

Le ragazze lavorano e vivono negli stabilimenti: svolgono turni estenuanti (compresi tra 12 e 18 ore), mangiano e dormono in ostelli annessi alle fabbriche. Non possono uscire né fare visita alle famiglie. A fine mese, non ricevono lo stipendio: i genitori vanno a ritirare il denaro e alle lavoratrici rimane solo il minimo necessario per sopravvivere quotidianamente.

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Alessandro Brasile e Chiara Cattaneo raccontano le operaie della moda

Le giovani operaie della moda sono una manodopera inesauribile e volenterosa. Il lavoro nelle fabbriche, soprattutto per le più giovani, che spesso abbandonano la scuola da bambine, è una speranza di emancipazione. Un modo per prendersi cura dei genitori o dei fratelli. Spesso, le lavoratrici sognano di poter usare il denaro guadagnato per il proprio matrimonio.

Nel sud dell’India, infatti, è ancora in vigore il sistema della dote. La consuetudine vuole che quando una ragazza si sposa porti via dalla casa paterna ogni oggetto che le servirà per fare la moglie: gioielli, abiti ma anche utensili e arredi. Il matrimonio è per le famiglie un evento molto costoso. Accade quindi che le ragazze finiscano nelle filande per “guadagnarsi” la dote, lavorando per ottenere il denaro per sposarsi: questo sistema è chiamato, con amarissima ironia, Sumangali, che vuol dire “sposa felice”.

Donne senza futuro: lo sfruttamento in Fashion Victims

Come testimoniato nel film dal prezioso contributo di Social Awareness and Voluntary Education (Save), le ricerche dicono che l’85% delle operaie non migliora affatto la propria condizione.

Se conoscessimo i nomi e le storie di chi ha fatto i nostri vestiti, cambierebbe il modo in cui li produciamo e indossiamo?

È questa la domanda che chiude il film e che sta anche al centro delle intenzioni dei due autori. Il documentario Fashion Victims racconta inganni quotidiani, pagamenti mai avvenuti, cibo scadente, ferite fisiche e psicologiche.

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Una scena del documentario Fashion Victims

Dalle ricerche di Save emerge che, quasi sempre, le lavoratrici ricevono un salario inferiore a quello pattuito all’inizio. Spesso ritornano alle loro case affette da malattie contratte sul lavoro o infortuni che ne condizionano per sempre la vita. Ancora peggio, capita che non tornino mai: le ragazze sono continuamente vittime di violenze sessuali, omicidi e suicidi.

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