Nicaragua schiacciato tra le proteste di piazza e la repressione di Ortega

Oltre 30 mila persone in esilio e un migliaio tra prigionieri politici e morti ammazzati: il Nicaragua di Ortega è sempre più pericoloso e le ultime notizie mostrano una situazione politica e sociale in caduta libera. Ecco l'analisi di Ximena Antillón, difensore dei diritti umani nicaraguense dell'associazione messicana Fundar

da Città del Messico

In Nicaragua dalle proteste contro il governo di Daniel Ortega dell’aprile 2018 a oggi si contano più di 600 prigionieri politici, oltre 400 persone assassinate e più di 30 mila hanno scelto l’esilio in altri paesi.

Contro la repressione del governo, alcuni giorni fa sono scesi in piazza movimenti sociali, persone comuni e organizzazioni civili. E lo scontro è stato ancora più violento, facendo precipitare i già fragili tentativi di dialogo fra governo e opposizione.

Osservatorio Diritti ha intervistato Ximena Antillón, nicaraguense, difensore dei diritti umani. Ximena Antillón è una ricercatrice di Fundar, un centro di ricerca e analisi con sede in Messico che ha l’obiettivo di incidere nelle politiche pubbliche e nelle istituzioni attraverso la costruzione e socializzazione di ricerche altamente professionali.

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Ximena Antillón

Nella capitale del Nicaragua, Managua, le ultime notizie parlano di scontri violenti: cosa succede in quella che è già oggi una situazione politica critica?

Le persone non sono riuscite a raggiungere neanche il punto di incontro da dove avrebbe dovuto aver inizio la manifestazione e questo perché sono state fermate e disperse da un operativo di forze polizia e paramilitari messe in campo dal governo di Daniel Ortega e Rosario Murillo. Questo è il modus operandi che sta usando il governo per reprimere tutte le forme di protesta pacifica. Credo che non sia adeguato parlare di scontri con le forze di governo, ma di una vera e propria repressione contro la popolazione civile disarmata che ha cercato di protestare in maniera pacifica.

Ci sono registrazioni video, pubblicate nei social network, che mostrano con quanta violenza la polizia ha agito contro i manifestanti. Il risultato della repressione di sabato 16 marzo è stato oltre 100 persone imprigionate. Queste sono state liberate nello stesso giorno, ma quello che conta è il messaggio politico lanciato dal governo: proprio quando era ricominciato un dialogo con l’opposizione per raggiungere una soluzione pacifica al conflitto, si é dimostrato che non c’è reale volontà politica per arrivare a un compromesso e che il regime di Ortega è disposto a tutto pur di continuare ad essere al governo.

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Daniel Ortega

È urgente trovare una via pacifica per evitare una guerra civile: quali passi sono necessari?

Faccio un passo indietro. Dopo la prima, terribile repressione di aprile 2018, ci fu una risposta internazionale molto importante, in primo luogo dell’Organizzazione degli stati americani, il principale foro regionale latinoamericano per il dialogo,  e della Commissione interamericana sui diritti umani. Arrivarono durante i primi mesi dall’inizio delle proteste e documentarono la grave violazione dei diritti umani che era in corso. A partire da questa pressione internazionale si creò un meccanismo di vigilanza: il Meseni (Mecanismo Especial de Seguimiento para Nicaragua). Inoltre, si stabilirono una serie di raccomandazioni, tra queste c’era quella di trovare una via pacifica e politica al conflitto e proprio il Miseni stava accompagnando questi sforzi di dialogo.

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L’Ufficio dell’Alto commissariato Onu sui diritti umani ha lavorato dietro le quinte?

Si, ha scritto un report molto importante per dare visibilità alla violazione dei diritti umani, incluso torture e violazioni extragiudiziarie commesse dalla polizia. Lo scorso anno, la prima fase di dialogo terminò con una violenta repressione, denominata dallo stesso Governo: Operazión Limpieza (Operazione Pulizia). L’operazione consistette soprattutto nell’uso delle forze paramilitari e di polizia. Il dialogo si interruppe, le proteste nelle piazze vennero silenziate e fu espulsa dal paese non solo la Commissione Interamericana, ma anche la Onu.

In Nicaragua cosa è stato fatto per un dialogo?

A partire da quest’anno la società civile ha cercato di articolare meglio le sue richieste e riprendere il dialogo. Fra le richieste più urgenti: la liberazione dei prigionieri politici, la necessità di sciogliere i gruppi paramilitari e il ritorno degli organismi internazionali in difesa dei diritti umani.

Questo nuovo tentativo di dialogo aveva avuto come primo risultato quello di liberare prima 100 prigionieri politici, a cui è seguita la liberazione di altri 50, su un totale tuttavia significativo di più di 600 prigionieri politici. Il problema è che, in realtà, le persone liberate sono in attesa di un processo penale perché restano tutti i capi di accusa. Da parte del Governo non c’è la volontà di accettare le condizioni minime richieste dall’opposizione. Il governo di Ortega è disposto a tutto per mantenere il potere, anche violare costantemente i diritti umani.

Rispetto al 2018, il movimento sociale è più forte?

Questo è stato un movimento auto-convocato, molto disperso e disorganizzato. Frutto di una reazione spontanea della gente, che manifestò per strada dopo i primi eventi di repressione.

Oggi assistiamo a uno sforzo maggiore per organizzarsi. Per esempio, si sono creati due gruppi: Alianza Civica por la Paz (Alleanza Civica per la Pace), che ha gestito soprattutto gli spazi di dialogo con il governo; e da poco si è formata la Unidad Nacional Azul y Blanco (Unità Nazionale Azzurra e Bianca). Ci sono anche differenti movimenti, come la Articulación de Movimientos Sociales (Articolazione dei Movimenti Sociali), un fronte importante per organizzare le differenti correnti della protesta.

Il Nicaragua guidato da Ortega appare sempre più pericoloso: quali effetti sta generando la repressione?

In primo luogo ci sono moltissime persone che hanno scelto l’esilio: secondo gli ultimi e parziali dati, più di 30 mila. Si dirigono in Costa Rica o in Messico.

E poi più di 400 persone assassinate. Con questo il Governo ha già raggiunto, almeno in parte, il suo obiettivo: disarticolare l’opposizione e rompere la possibilità della gente di auto-organizzarsi. Per questo assume tanto valore la protesta di sabato 16 marzo, perché la cittadinanza si sta opponendo a una repressione quasi assoluta, al controllo totale dei mezzi di comunicazione, al problema che molte ong sono state private del loro status di persona giuridica, praticamente dichiarate illegali, e moltissimi giornalisti indipendenti hanno deciso di lasciare il paese per difendere la propria incolumità personale.

Per questo la manifestazione di sabato è stata fondamentale, di grande valore e resistenza da parte della popolazione civile in un contesto sociale in cui il governo sta facendo di tutto per dare una sensazione di assoluta normalità, di dire «qui non succede nulla», quando di fatto è un governo che si regge sulla repressione.

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Intravede una soluzione possibile?

Sì. In primo luogo, è urgente fortificare i meccanismi internazionali, attivare varie sanzioni. Ci sono anche altri strumenti, come la Carta democratica dell’Organizzazione degli stati americani che pensiamo possa aiutare ad esercitare una forte pressione perché ad Ortega interessano soprattutto le sanzioni dirette contro i suoi interessi economici.

La mappa: cartina del Nicaragua (capitale Managua)

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