Blasfemia: in Pakistan il reato colpisce musulmani, ahmadi e cristiani

Asia Bibi è il caso più noto tra le persone accusate per il reato di blasfemia in Pakistan. Alla fine la donna è stata liberata, ma altre centinaia rischiano la prigione a vita o la condanna a morte per aver profanato il Corano o offeso Maometto. La maggior parte delle vittime è musulmana

L’incubo di Asia Bibi non si è ancora concluso. La donna pakistana, sposata e madre di cinque figli, arrestata per blasfemia nel 2009, condannata a morte nel 2010, ora è libera, ma minacciata di morte dai fondamentalisti che non accettano la sua scarcerazione. Per lei e suo marito è previsto l’espatrio, probabilmente in Canada, dove potranno finalmente ricominciare la loro vita. Ma al momento la donna si trova ancora in Pakistan, in un luogo protetto per paura delle ritorsioni.

Il processo per blasfemia contro Asia Bibi

Le vicissitudini della donna, contadina del Punjab di fede cristiana, sono cominciate dieci anni fa quando, accusata ingiustamente di blasfemia da alcune donne musulmane che lavoravano con lei per una vicenda che riguardava l’acqua di un pozzo, è stata arrestata, chiusa in carcere, condannata alla pena capitale.

A ottobre del 2018 la Corte suprema ha deciso per la sua assoluzione, suscitando un mare di reazioni e violente proteste da parte dei fondamentalisti, che hanno invocato la revisione della sentenza. Il dramma giudiziario è arrivato a conclusione a gennaio, dopo otto anni di detenzione nel braccio della morte, con la sentenza definitiva della Corte suprema che ha annullato la condanna.

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Manifestazione in sostegno di Asia Bibi (via Flickr)

Blasfemia: quasi 200 cristiani accusati del reato

Lo scorso dicembre – poco tempo dopo la prima assoluzione di Asia Bibi – due fratelli pakistani cristiani, Qaiser e Amoon Ayub di Lahore, sono stati condannati a morte per blasfemia, accusati di aver insultato il profeta Maometto attraverso articoli e ritratti postati sui loro social network.

Di recente la National Commission for Justice and Peace, un organo fondato nel 1985 dalla Conferenza dei vescovi cattolici pakistani per monitorare le violazioni dei diritti umani in molteplici settori della società, ha rivelato ad Acs-Italia (Aiuto alla Chiesa che soffre) e all’agenzia Agensir che attualmente sono 187 i casi di cristiani accusati di aver profanato il Corano o offeso il profeta Maometto.

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Blasfemia: che cos’è, significato e contro chi è usata

Le leggi sulla blasfemia, di fatto, minacciano e indeboliscono i diritti dei cittadini pakistani, indipendentemente dalla loro religione. Il Pakistan, Paese a stragrande maggioranza musulmano (circa il 96% della popolazione), riconosce l’islam come religione di Stato. Sulla carta stabilisce la libertà di professare qualunque credo, ma nella pratica questo diritto è continuamente violato.

Le leggi sulla blasfemia risalgono al periodo fra il 1980 e il 1986, durante il regime del generale Zia ul-Haq. Nel 1982 una norma ha introdotto il carcere a vita per chi dissacra e offende il Corano. Nel 1986 il codice penale ha aggiunto la condanna alla pena di morte, o il carcere a vita, per chiunque insulti il profeta Maometto (anche attraverso i mezzi elettronici).

Esempi di blasfemia: uccisi ministro e governatore

La blasfemia rappresenta un tema estremamente sensibile tra i pakistani: la maggioranza dei cittadini sostiene la necessità che queste leggi siano applicate. E intavolare qualunque dibattito è estremamente difficile perché la sola messa in discussione dell’opportunità o equità di queste leggi infiamma gli animi e scatena reazioni anche violente.

Basti ricordare il caso di Salman Taseer: governatore del Punjab, musulmano, a gennaio del 2011 è stato assassinato da una delle sue guardie del corpo, Mumtaz Qadri, per aver cercato di difendere Asia Bibi mettendo in discussione la legge per la quale era stata condannata a morte.

Poco più di un mese dopo, Shahbaz Bhatti, ministro federale per le Minoranze, cattolico, ha subìto la stessa sorte per aver anche lui avanzato dubbi sulle leggi e sulla condanna della donna del Punjab. Dopo la morte di Bhatti, fra l’altro, in Pakistan il ministero per le Minoranze è rimasto vacante.

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Chiesa cristiana in Pakistan – Foto: Omer Wazir (via Wikimedia Commons)

Blasfemia: musulmani prime vittime dell’integralismo

In un contesto di forte integralismo, le leggi sulla blasfemia sono una evidente limitazione alla libertà religiosa e una forma di oppressione per le minoranze, che nel complesso rappresentano più o meno il 4-5% della popolazione (i cristiani sono circa l’1,5%). Ma, di fatto, queste norme colpiscono indistintamente tutte le confessioni, compreso l’islam.

Chiunque, a qualunque fede appartenga, è perseguibile se incorre nei reati fissati dal codice penale. Il reato di blasfemia non oppone necessariamente musulmani e non musulmani. A difendere Asia Bibi, ad esempio, è stato un avvocato musulmano, Saiful Malook, il quale, subito dopo l’assoluzione della donna, ha subìto serie minacce di morte e ha dovuto lasciare il Pakistan per poi rientrare a fine a gennaio per la sentenza definitiva della Corte suprema.

Secondo la Human Rights Commission of Pakistan – un’organizzazione non governativa indipendente con sede principale a Lahore e uffici in altre città, fondata nel 1987 con lo scopo di monitorare le violazioni dei diritti umani e promuovere lo sviluppo democratico del Paese in cooperazione con gruppi nazionali e associazioni internazionali – la grande maggioranza dei casi di blasfemia riguarda musulmani, seguiti a breve distanza dagli ahmadi. I dati forniti dalla National Commission for Justice and Peace indicano che dal 1987 al 2017 774 musulmani, 501 ahmadi, 219 cristiani, 29 induisti e 11 di altre fedi sono stati accusati e arrestati per blasfemia.

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Moschea di Lahore

Il Pakistan discrimina la minoranza ahmadi

Dopo i musulmani, dunque, il gruppo religioso preso più pesantemente di mira è quello dello ahmadi. La ahmadiyya costituisce una minoranza – circa il 2% della popolazione – considerata eretica dai sunniti (la maggioranza della popolazione) e quindi dichiarata non-musulmana dal Parlamento pakistano.

Fondata in India sotto l’impero britannico da Mirza Ghulam Ahmad, che si era definito come messia e nuovo profeta dopo Maometto, questa comunità è stata e continua ad essere oggetto di forte discriminazione, della quale le leggi sulla blasfemia rappresentano uno strumento diffuso ed efficace.

Rapporto Amnesty e blasfemia come vendetta

Denunciare un cittadino è un’azione basata su una forte discrezionalità: un dettagliato rapporto del 2016 di Amnesty International evidenzia i bassi standard di prove richiesti per procedere all’arresto di una persona accusata e il modo spesso acritico con cui la polizia, le autorità, i giudici stessi – spinti in certi casi da minacce e intimidazioni – prendono per buone le accuse. Molti vengono arrestati sulla base di prove del tutto inconsistenti.

È chiaro che questo reato diventa un’arma di vendetta, ritorsione, minaccia. Le accuse di blasfemia sono dunque usate proprio come mezzo di vendette personali e familiari, rivalse nei confronti di vicini di casa, compagni di lavoro, spesso per impossessarsi dei loro beni o delle loro terre.

È il caso, ad esempio, di Ayub Masih, un cristiano condannato a morte e assolto poi nel 2002 perché la difesa riuscì a dimostrare che l’uomo era stato vittima di un intrigo per sottrargli la terra. Le persone più fragili e vulnerabili, come quelle con disabilità psichica – sottolinea il rapporto di Amnesty International – sono obiettivi tremendamente facili: nel 2012 l’accusa di profanazione del Corano – poi decaduta per mancanza di prove – ha colpito addirittura una ragazzina di 14 anni, Rimsha Masih, affetta da sindrome di down. L’organizzazione ricorda che la Corte suprema pakistana stessa ha riconosciuto che la maggior parte delle accuse di blasfemia sono false.

Blasfemia oggi: il pericolo di azioni violente

Attualmente, come conferma la Human Rights Commission for Pakistan (Hrcp), almeno 40 persone si trovano in carcere in attesa della sentenza capitale o per scontare l’ergastolo per reati di blasfemia. Asia Bibi è stata la prima donna condannata a morte.

Fino ad oggi nessuna pena capitale per questo reato è stata eseguita. Ma molti casi non arrivano al processo perché gli accusati vengono giustiziati ancora prima dai fanatici: dal 1990 più di sessanta persone sono state assassinate perché ritenute blasfeme prima ancora di essere condotte alla giustizia.

In molto casi l’odio verso le persone ritenute blasfeme, specie se appartengono a una minoranza religiosa, degenera in azioni violente contro tutta la loro comunità. «Sia lo Sato che la società civile hanno bisogno di un’autoanalisi», ha sottolineato la Hrcp, a commento dell’assoluzione di Asia Bibi.

L’ong ha condannato le reazioni violente e le minacce di morte scatenate dai gruppi politico-religiosi estremisti a seguito del verdetto. E ha dato una raccomandazione: «Lo Stato deve pensare di riformare le leggi sulla blasfemia nell’interesse dell’applicazione della legge nei confronti di tutti i cittadini in modo equo, indipendentemente dalla loro fede».

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