Eni Nigeria: il processo sulle presunte tangenti e l’intermediario Obi

Nuova tappa per il processo sulla presunta maxi-tangente da 1,1 miliardi di dollari pagata per la licenza Opl 245 da Eni e Shell in Nigeria. Alle ultime udienze a Milano ascoltati dipendenti del Cane a sei zampe e un trader di petrolio collaboratore dell'ex ministro nigeriano Dan Etete. Tra gli aspetti più controversi, la presenza d'un intermediario nelle trattative

Da un lato, il «contesto competitivo» di Opl 245, una licenza sulla quale in molti avrebbero voluto mettere le mani. Dall’altro, una società, Malabu, il cui proprietario Dan Etete per tutta la negoziazione sembra sempre nascondersi, schermato da oscuri intermediari di cui non è semplice stabilire nemmeno la legittimità. In mezzo, Eni e Shell.

Il processo di Milano per la presunta tangente da circa 1,1 miliardi di dollari che le società petrolifere avrebbero pagato ad aprile 2011 al governo nigeriano per aggiudicarsi il blocco Opl 245 ha portato a testimoniare alcuni dipendenti della multinazionale italiana che hanno avuto un ruolo nella fase della trattativa.

Processo Eni Nigeria: la parola ai dipendenti

In due udienze diverse, i tre giudici della settima sezione della Corte d’Appello, presieduta da Marco Tremolada, hanno ascoltato le parole di Guido Zappalà (manager del dipartimento negoziazioni), Enrico Callgaris (ufficio legale) e Donatella Ranco (ufficio contratti internazionali).

Eni, secondo i testi, si è trovata a dover affrontare una situazione inusuale, fuori dagli standard del Cane a sei zampe: trattare con un intermediario invece che con il venditore. Un elemento che metteva a disagio e creava preoccupazioni ai funzionari del colosso di San Donato Milanese. Infatti la società nigeriana Malabu – che per «sentire comune», come spiega in aula Donatella Ranco, apparteneva all’ex ministro del Petrolio Dan Etete – aveva affidato la trattativa a un intermediario, Emeka Obi, e alla sua società, Energy Venture Partners (Evp). Addirittura Eni aveva siglato un accordo di confidenzialità con Obi, che di fatto era diventata «l’unica porta» per accedere alla licenza di Malabu.

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Opl 245: le stranezze dell’accordo di confidenzialità

La trattativa Eni-Malabu tramite Evp è cominciata nel dicembre 2009, quando il manager di Eni operativo in Nigeria, Roberto Casula (uno degli imputati), ha inviato a Londra, presso la sede di un’altra società, una «manifestazione d’interesse» per Opl 245.

A febbraio 2010 Donatella Ranco ha incontrato a Milano con il suo team Emeka Obi. La lettera di mandato per rappresentare Malabu che l’intermediario aveva con sé era piena di omissis e non è stata lasciata ad Eni, ricorda la teste. Un elemento che all’epoca delle trattative ha fatto molto innervosire Eni, che ha continuato a chiedere quel documento alla controparte, senza però riceverlo.

Il fatto che il mandato esistesse era però ormai assodato, anche per alti intermediari bancari coinvolti nella trattativa. Tutti trattavano Obi come l’intermediario di Malabu, che per tutti era la società di Etete.

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Fonte: Valigia Blu

A fugare ogni possibile dubbio a Eni è stata una lettera di chiarimento recapitata a maggio 2010 firmata dai rappresentanti di Malabu: il direttore Seidougha Munamuna e il segretario Rasky Gbinigie. Finalmente i nomi dei proprietari, su carta, di Malabu.

Gbinigie è un famoso avvocato nigeriano amico di Etete, che si definisce «amico di famiglia» di Etete. Ma chi è Munamuna? Nessuno lo ha mai saputo. La dipendente Eni Valentina Ferri aveva subito sollevato il dubbio sulla sua identità, caduto però nel vuoto. Quel che è certo è che la traduzione in italiano suonerebbe come “Pincopallino”. Il contratto è problematico anche perché Eni aveva già l’intenzione di proporsi per l’acquisto insieme a Shell, ma in quel momento non poteva ancora rivolgersi al colosso anglo-olandese a causa di vincoli contrattuali.

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Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni da maggio 2014 – Foto: Eni (via Flickr)

Eni e la due diligence senza fine di Malabu

Nel 2007 e nel 2010 Eni ha affidato alla società di consulenza The Risk advisory group (Trag) il compito di svolgere un’indagine sulla credibilità di Malabu. Trag aveva indicato come presunto proprietario l’ex ministro del petrolio nigeriano Dan Etete, ma non era riuscita a dare certezze. Donatella Ranco, durante la deposizione in aula, ricorda quanto entrambi i documenti non mettessero la parola “fine” intorno ai misteri di Malabu: citavano fonti stampa e «conoscenza comune» degli addetti ai lavori del settore petrolifero.

Trag evidenziava che Opl 245 era stato affidato a Malabu senza una gara pubblica, direttamente da Sani Abacha – l’ex dittatore nigeriano – al suo ministro del petrolio Etete e a suo figlio, altro membro della società. Si scriveva anche del processo per riciclaggio internazionale in cui Etete era coinvolto dal 2003 in Francia, poi chiuso nel 2007 con una sua condanna.

Ma quando Donatella Ranco ha incontrato l’intermediario Obi a Milano nel febbraio 2010, il mandato «della casa», come la manager ha definito Eni, era di andare avanti, salvo clamorosi impedimenti. Ma non era lei a poter stabilire se Malabu fosse inadatta, visto che tra le sue mansioni non c’era quella di svolgere gli accertamenti sull’azienda.

«La due diligence continuò per tutta la transazione, anche con una certa insistenza», chiarisce Enrico Calligaris dell’ufficio legale.

Infatti, a quella data, Eni non era ancora soddisfatta delle informazioni ottenute sulla controparte: l’approfondimento invece era «condizione sine qua non» per chiudere la trattativa. Per quanto a metà ottobre 2010 l’azienda stesse pensando di fare la prima proposta economica, ancora i documenti che era riuscita a ottenere sulla controparte non la soddisfacevano.

Ricorda in aula Calligaris che un altro momento di tensione c’è stato quando a dicembre di quell’anno scoprirono che in Nigeria era in corso un contenzioso con un vecchio azionista di Malabu, Mohamed Sani, figlio dell’ex presidente Sani Abacha, che reclamava il 50% delle azioni della società. Il processo andava a rilento e per Eni c’erano due rischi: uno reputazionale e l’altro di spendere soldi per comprare Opl 245 dall’acquirente sbagliato. Per questo la preoccupazione di Calligaris e dell’ufficio legale era permettere all’azienda di avere sempre una via d’uscita dall’investimento in caso di evidenze negative su Malabu.

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Opl 245, quando Emeka Obi scompare dalla trattativa

Alla fine di ottobre 2010, ormai, sembrava che l’accordo di confidenzialità con Obi fosse considerato superato dall’azienda. Tanto che la prima proposta d’acquisto da 1,26 miliardi di dollari, ritenuta troppo bassa da Malabu che ne voleva 2,2, fu presentata insieme dalle due compagnie petrolifere.

Che fine avevano fatto Emeka Obi e la sua Epv? La risposta, ad oggi, è ancora senza una vera risposta. E i misteri intorno all’uomo – già condannato con l’intermediario Gianluca Di Nardo nello stralcio del procedimento penale che è andato a giudizio con rito abbreviato a settembre 2018 – non si sono ancora diradati.

Il trader di petrolio e la consulenza da 6 milioni di dollari

Richard Granier-Deferre, broker del petrolio franco-svizzero ormai in pensione, è stato ascoltato come teste all’udienza del 6 marzo scorso. Amico di Etete dal 1994, è stato condannato con l’ex ministro del petrolio nigeriano per averlo aiutato nell’operazione di riciclaggio per la quale è stato condannato nel 2007. Gli era tanto vicino che tra il 2001 e il 2009, come ha raccontato nella deposizione rispondendo ai magistrati, ha pagato viaggi e aiutato economicamente Dan Etete, il quale stava passando un periodo di ristrettezze economiche.

Dal 2009 Etete gli aveva anche domandato aiuto per cercare un acquirente del famoso Opl 245. Il primo novembre di quell’anno ha per questo ricevuto «un bel bambino da 6 kg e 100 grammi», come scrive in una mail. Si tratta in realtà di una fattura da 6,1 milioni di dollari per le sue «consulenze a Etete».

Di Malabu però sapeva solo che non aveva nemmeno un amministratore. La deposizione di Granier-Deferre in alcuni punti è sembrata in contraddizione con i precedenti interrogatorio. Secondo Granier-Deferre Etete avrebbe voluto parlare direttamente con Eni, senza intermediari, visto la sua posizione di ex ministro.

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La richiesta di Mosca per il diplomatico russo

Mentre cercava un possibile acquirente per Opl 245, nel 2009, Granier-Deferre è stato contattato da un altro intermediario interessato al blocco, l’ex diplomatico russo Ednan Agaev, titolare della International Legal Consulting Ltd, anche lui imputato. A dicembre 2018 ai magistrati Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale, che rappresentano l’accusa, è pervenuta una lettera dal ministero degli Affari esteri russo in cui, in sostanza, veniva richiesta l’assoluzione dell’ex ambasciatore.

Durante l’udienza l’ex trader Granier-Deferre ha sostenuto che all’epoca non sapeva che Agaev rappresentasse la società anglo-olandese. Agaev alla fine, ricorda l’avvocato franco-svizzero in aula, è stato il tramite per far incontrare Etete e Obi. Sapeva che quest’ultimo aveva rapporti con Eni.

La relazione tra Etete e Obi si è conclusa malamente davati alla Commercial High Court di Londra, dove nel dicembre 2012, separatamente, Obi e Agaev hanno trascinato Etete. Hanno chiesto all’ex ministro nigeriano la parcella per le loro intermediazioni, che lui, colpevolmente, aveva ignorato. Etete è stato condannato nel 2013 a pagare 110,5 milioni di dollari a Obi e sono emersi particolari degli incontri tra Etete, Obi e Agaev, diventati materia anche del processo milanese. Il primo colpo di scena di questa saga, ancora lontana dal sipario finale.

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