Bangladesh, dove lavorare la pelle significa ammalarsi
Il 61% di chi lavora la pelle in Bangladesh ha problemi di salute. Lo rivela un nuovo report, che punta il dito contro il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori, che producono anche per famosi marchi di moda internazionali
da Chiang Mai, Thailandia
Un recente rapporto stilato da Occupational Safety, Health and Environment Foundation (Oshe), un’organizzazione per i diritti dei lavoratori in Bangladesh, ha denunciato che il 61% degli operai nel settore della pelle soffre di problemi di salute. Lo studio, pubblicato alla fine di gennaio, si è basato su oltre cento interviste fatte a lavoratori con un’esperienza di almeno otto anni nelle fabbriche del distretto di Savar.
Circa il 27% delle persone interpellate ha dichiarato di soffrire di mal di testa, il 19% di ustioni nel corpo, il 27% di dolori alle mani, alle gambe, al ginocchio e alla schiena e il 14% di varie allergie.
Leggi anche: Bangladesh: mobilitazione globale contro lo sfruttamento nel tessile
Bangladesh: le sostanze tossiche causano malattie
Le principali cause dei problemi di salute, si legge nel documento, sono l’esalazione di agenti chimici tossici, l’emissione di gas nocivi, l’illuminazione inadeguata, l’eccessiva polvere, il rumore continuo causato dai macchinari e un ambiente di lavoro troppo inquinato. «Queste situazioni non sono affatto nuove», ha spiegato Abul Kalam Azad, presidente della Bangladesh Tannery Workers Union.
«La maggior parte degli operai soffre di problemi di salute soprattutto perchè i proprietari trascurano i diritti dei lavoratori a vantaggio degli enormi profitti. Le persone all’interno delle fabbriche sono per lo più analfabeti e non hanno altre competenze lavorative. Quindi, nonostante queste condizioni, continuano a svolgere il loro lavoro anche se si trovano in un ambiente estremamente malsano, spesso pericoloso anche per la propria vita».
Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Diritti
Economia: prima il profitto, poi la salute dei lavoratori
Savar, a circa 25 chilometri a nord-ovest della capitale Dacca, è il maggior centro per la lavorazione della pelle del Paese. Conta oltre 150 concerie, per un totale di più di 30 mila lavoratori. Proprio in questa zona si lavora anche per le grandi multinazionali della moda. Tra queste troviamo Michael Kors, Coach, Burberry, Louis Vuitton e Hugo Boss. I maggiori importatori di pelli dal Bangladesh sono altri Paesi asiatici, come la Corea del Sud, Hong Kong e la Cina.
In Europa, invece, tra i compratori principali troviamo l’Italia, la Spagna e il Portogallo. Per mantenere alta la produzione, i proprietari delle industrie, non prestano attenzione alle condizioni in cui sono costretti a lavorare i propri operai.
«La maggior parte dei proprietari non ha simpatia per i lavoratori. Si preoccupano solo dei soldi. Le persone si ammalano e in alcuni casi sono addirittura morti. Fin dall’inizio questo settore è stato gestito male e ancora oggi è così».
A parlare a Ucanews è Muhammad Samsu, 45 anni, che ora ha aperto una piccola attività di pelletteria in proprio, ma dal 1991 al 2014 ha lavorato in una grande fabbrica del settore.
Leggi anche: Bangladesh: diritti umani violati nella lotta alla droga
Inquinamento in crescita in tutto il distretto della pelle
Prima di Savar, il distretto industriale si trovava a Hazaribagh, un’area che ha il triste primato per essere tra i posti più tossici del pianeta. Secondo un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità, i lavoratori erano destinati a morire prima dei 50 anni a causa delle esalazioni di agenti chimici altamente nocive per l’uomo.
Dopo molte pressioni ricevute, tra gli altri dall’Onu e dalla Commissione europea, la Corte suprema del Bangladesh ha emesso una sentenza imponendo l’immediato trasferimento delle fabbriche in un’altra area. Ma non è stato facile. Il governo, lo scorso aprile, per far adempiere gli obblighi della sentenza, è stato costretto a chiudere le forniture delle corrente elettrica per costringere le industrie a trasferirsi.
Nonostante il trasferimento del distretto industriale, il problema dell’inquinamento non è stato risolto. E Savar potrebbe fare la stessa fine di Hazaribagh. Due settimane fa, infatti, Md Shahab Uddin, il ministro dell’Ambiente, delle foreste e del cambiamento climatico del Bangladesh, allarmato dalla situazione, ha espresso la volontà di intraprendere al più presto «azioni contro l’inquinamento prodotto dalle concerie che lavorano nel distretto di Savar».