Ebola: Congo, la lotta al virus fa i conti con le elezioni
Il Congo non riesce a uscire da un'incerta fase elettorale, mentre l'epidemia di ebola continua a fare morti e il contagio del virus raggiunge nuove aree del Paese. Ecco cosa dovrà affrontare il presidente che prenderà il posto di Joseph Kabila
Mentre la situazione politica si ingarbuglia in seguito alle elezioni presidenziali dello scorso 30 dicembre, l’emergenza ebola continua a uccidere nella Repubblica democratica del Congo. Soprattutto nella regione al confine con Uganda e Rwanda, un’area già colpita duramente da anni di scontri tra ribelli e autorità statali.
Proprio a causa della malattia, che ha già provocato più di 350 morti, la Commissione elettorale nazionale (Ceni) aveva rimandato le elezioni a marzo 2019 nelle città di Beni e Butembo.
Un dossier, quello della lotta all’epidemia, che dovrà dunque essere affrontato con decisione e rapidità da chiunque assumerà la guida del Paese, una volta chiarito l’incerto esito elettorale.
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Elezioni 2018: Congo alle prese con il dopo Kabila
Nella notte tra il 9 e il 10 gennaio, la Commissione elettorale nazionale ha dichiarato la vittoria provvisoria di Felix Tshisekedi, figlio di uno storico rappresentante dell’opposizione al regime e candidato debole fuori dalla coalizione di opposizione. Tshisekedi, stando a quanto dichiarato, avrebbe vinto con 7 milioni di preferenze (38,5% voti), battendo anche Martin Fayulu (34,7% voti), il grande favorito contro il delfino di Kabila, Emmanuel Ramazani Shadary. Risultati che, però, vengono considerati da diversi analisti come «non plausibili».
Queste elezioni rappresentano la speranza di una prima transizione pacifica e democratica per il paese africano, dopo l’indipendenza dal Belgio ottenuta nel 1960. Anche se bisogna ancora aspettare per capire come andrà a finire. Da una parte, infatti, si sono registrate forte pressioni da parte dell’ex presidente Joseph Kabila, che non ha potuto ricandidarsi per il terzo mandato consecutivo e ha cercato un accordo con esponenti dell’opposizione, tra cui lo stesso Tshisekedi.
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Dall’altra, il leader dell’opposizione, Martin Fayulu, ha chiesto di ricontare i voti. La Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (Sadc) appoggia questa richiesta, oltre a suggerire la creazione di un governo di unità nazionale per ridare fiducia ai cittadini. E la Chiesa cattolica, che aveva inviato 40 mila osservatori, denuncia possibili brogli elettorali.
I risultati dovrebbero essere ufficializzati il 18 gennaio, ma nel frattempo la situazione di incertezza ha già portato a scontri e morti (se ne contano già più di 10).
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Ebola e guerra: aumenta il numero di morti in Congo
Se ad agosto 2018 si era provveduto a bloccare l’espandersi di un ceppo di ebola nel centro del Paese grazie alla somministrazione del vaccino, ora questo farmaco non basta più.
«La situazione di insicurezza nella regione del Nord Kivu ha un grosso impatto sulla gestione dell’epidemia di ebola. La popolazione, terrorizzata da anni di massacri regolari, da rapimenti, da stupri e altre violenze, vive in un clima di paura e di sfiducia nelle istituzioni che dovrebbero proteggerla».
A dichiararlo è Chiara Montaldo, infettivologa di Medici senza frontiere appena rientrata dalle zone colpite.
La guerra interna, che prosegue da oltre 20 anni malgrado la presenza dei 16 mila caschi blu dell’operazione Monusco, ostacola le operazioni di prevenzione e messa in sicurezza della popolazione da parte delle ong. Il problema principale è quello di ospedalizzare le persone infette e proteggere la cerchia di parenti e conoscenti che sono venuti a contatto con il malato. «In questo clima, ebola viene visto come un ennesimo massacro, forse voluto da uno dei gruppi armati o dal governo o dai bianchi. Questa paura, questa sfiducia e queste false credenze sulla malattia, rendono molto difficile informare correttamente le persone su come proteggersi e come gestire l’eventuale comparsa di sintomi», continua la dottoressa.
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In cerca di cura per il virus ebola: vaccino sperimentale
La prevenzione attraverso il vaccino, ancora in fase sperimentale e a rischio esaurimento scorte, è coordinata dal ministero della Salute congolese, che per la prima volta collabora con ong internazionali per curare la popolazione. «Il fatto che il ministero prenda la responsabilità della risposta all’epidemia è un fatto positivo. Per noi, abituati a lavorare in totale indipendenza, la collaborazione non è sempre facile, ma crediamo nella necessità di uno sforzo comune e sinergico per arrestare l’epidemia», dice Montaldo.
Il vaccino rVSV-ZEBOV, elaborato dalla ditta farmaceutica tedesca Merck e consegnato al ministero, è però di difficile somministrazione a causa della necessità di mantenerlo a temperature basse. La catena del freddo è infatti impossibile da mantenere nel caso di lunghi spostamenti tra piccoli villaggi isolati. E i centri costruiti appositamente dalle organizzazioni, come quelli di Butembo e Mangina di Medici senza frontiere, spesso sono difficili da raggiungere a causa della presenza di ribelli.
Ciononostante, negli ultimi tre mesi del 2018 circa 54 mila persone sono state vaccinate, riducendo così a circa 500 i contagiati, di cui i due terzi donne (dati dell’Organizzazione mondiale della sanità).
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Rischio contagio: trasmissione ebola verso Goma
La situazione è quindi molto critica. E le previsioni per un futuro senza ebola sono difficili da fare. Dice ancora Montaldo: «È difficile fare una previsione, ma sicuramente, dall’aspetto che l’epidemia sta assumendo, con focolai in diverse zone e con il coinvolgimento di grandi città, ci vorranno ancora almeno diversi mesi per arrestarla».
Ebola infatti si sta spostando verso Goma. «Il capoluogo della regione del Nord Kivu è l’incrocio tra le diverse vie di commercio che uniscono la Repubblica Democratica del Congo con Uganda e Rwanda. Significa che le persone, 8 milioni di residenti, sono costantemente in transito e la malattia rischia quindi di uscire dai nostri confini», sottolinea Tamba Emmanuel Danmbi-saa, responsabile di alcuni progetti Oxfam nell’area.
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Acqua potabile e contrasto alla malattia
Un altro modo per affrontare la situazione di pericolo sanitario è quello di portare acqua potabile nei villaggi. In un Paese in cui 6 milioni di bambini soffrono di malnutrizione e 7 milioni di donne hanno gravi sintomi di anemia, il sistema idrico è quasi assente e le malattie si propagano velocemente.

Sono 13 milioni i congolesi che non hanno un accesso diretto all’acqua pulita e negli ultimi 20 anni oltre 6 milioni di persone hanno perso la vita per problemi di salute e igiene. Il lavoro di molte organizzazioni internazionali è quello di portare pozzi nei villaggi vittime sia della violenza sia delle epidemie.
«Dobbiamo spiegare alle persone che lavarsi le mani e utilizzare acqua pulita è il solo modo per rompere la catena della trasmissione. Stiamo aiutando oltre 400 mila profughi costruendo latrine, installando cisterne e purificando l’acqua», dice Tamba Emmanuel Danmbi-saa, responsabile di diversi progetti Oxfam nel Nord Kivu.
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I piccoli villaggi sono il territorio perfetto perché le malattie si propaghino facilmente. Anche a causa dell’assenza delle istituzioni e dei ripetuti attacchi da parte dei ribelli: «Abbiamo imparato dalle scorse epidemie di ebola che si può combattere la malattia spiegando alle persone come comportarsi con i malati, cercando quindi di abbattere il muro di diffidenza nei confronti degli esterni al villaggio. Ma la situazione di guerra, che ha portato nelle scorse settimane a rapimenti di volontari nel Sud Kivu e all’uccisione di alcuni collaboratori nella regione di Tanganyika ci obbliga a ritirarci spesso nelle città, abbandonando così i nostri presidi», dice l’operatore di Oxfam.