Sea Watch: diritti dei migranti violati al largo del Mediterraneo

Dopo 19 giorni in mare, Malta e Ue trovano un accordo per i 49 migranti a bordo delle navi Sea Watch 3 e Sea Eye: sbarcati a Malta, saranno redistribuiti in otto paesi, tra cui Italia, Spagna e Germania. Il commento dell'esperta di politiche europee di immigrazione e professoressa dell'Università di Firenze, Chiara Favilli

Diritto di ricerca e soccorso, compreso il diritto alla vita, diritto alla salute, tutela dei minori. Sono i diritti umani violati in queste settimane con la vicenda dei 49 migranti bloccati al largo del Mediterraneo a bordo delle navi umanitarie Sea Watch 3 e Sea Eye. A pensarla così è Chiara Favilli, professoressa di diritto dell’Unione europea all’Università di Firenze, esperta di politiche europee di immigrazione e asilo, che commenta per Osservatorio Diritti la vicenda che si è conclusa con un accordo che vedrà i migranti redistribuiti in otto paesi europei, Italia compresa.

«Si parla di principi cardine indiscussi, di portata secolare – afferma la Favilli – che non possono essere ignorati. E non si tratta solo di trattati internazionali, nel caso dell’Italia si parla anche di diritti costituzionalmente riconosciuti».

Accordo Malta-Ue: migranti distribuiti in otto paesi, tra cui Italia, Germania, Spagna e Francia

Dopo 19 giorni di stallo, l’accordo europeo per risolvere la vicenda, che ha come protagonisti i 49 migranti a bordo delle navi umanitarie Sea Watch e Sea Eye, è stato trovato. Ad annunciarlo il premier maltese Joseph Muscat. La Valletta ha deciso di trasferire sulle proprie navi militari gli immigrati, che saranno poi redistribuiti in otto paesi europei: Italia, Germania, Francia, Portogallo, Irlanda, Romania, Lussemburgo e Olanda.

«L’Ue ha deciso di rilasciare i loro 49 ostaggi – si legge sul profilo twitter della Sea Watch – Dopo 19 giorni in mare, i nostri ospiti potranno finalmente raggiungere un porto sicuro. È un fallimento dello stato, la politica non deve essere fatta a scapito delle persone in difficoltà. Grazie a tutti quelli che erano con noi in questi giorni».

L’annuncio della ong su Twitter

Sea Watch 3 – Sea Eye: alle navi sbarco impedito per settimane

La vicenda Sea Watch ha avuto il suo esordio il 22 dicembre scorso, quando la nave della ong tedesca Sea Watch 3 ha prestato soccorso a 32 migranti al largo delle coste libiche. Pochi giorni più tardi, il 29 dicembre, un’altra nave umanitaria tedesca, la Sea Eye, ha soccorso altre 17 persone al largo della Libia, rifiutandosi di consegnarle alla Guardia costiera libica, per non violare – ad espressa dichiarazione della ong – le leggi internazionali, considerando le numerose indagini e inchieste sui centri di detenzione libici, dove i migranti subiscono spesso violenze e torture.

Leggi anche: Immigrazione: viaggio tra verità e bufale sui migranti in Italia

Sea Watch
Foto: ©Pablo Tosco/Oxfam

È da allora, non lontani dalle coste di Malta, che i volontari hanno cominciato a lanciare i loro appelli affinché i 49 migranti potessero sbarcare in un porto sicuro.

Migranti sulla Sea Watch durante lo scontro Italia-Malta

È dunque dal 22 dicembre che è cominciato il braccio di ferro tra gli Stati. L’approdo è stato negato da Italia, Spagna, Grecia, Tunisia, Olanda e Malta. E con Malta sono iniziati gli scontri con il nostro paese. La Valletta rifiutava di far sbarcare i migranti che «altri paesi non voglio accogliere, mostrando quanto siano duri, chiudendo i propri porti», sono state le dichiarazioni del premier Muscat, con un chiaro riferimento all’Italia.

Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Dirittinewsletter osservatorio diritti

E mentre gli Stati si facevano la guerra a botta di dichiarazioni, le condizioni meteorologiche peggioravano e la vita dei 49 migranti era sempre più a rischio, tra freddo, rifiuto del cibo e persino un migrante che si è tuffato in mare per la disperazione. Da qui l’interessamento dell’Europa, che ha invitato gli stati a farsi carico della situazione.

Il 3 gennaio scorso, un portavoce dell’esecutivo Ue ha spiegato che il commissario europeo agli Affari interni, Dimitris Avramopoulos, è intervenuto chiedendo agli stati membri di fornire il loro sostegno per far sbarcare i migranti a bordo in modo sicuro e il prima possibile.

Leggi anche: Migranti, porti chiusi alle ong: ecco perché Salvini può farlo

sea watch
Irish Defense Forces (licenza CC BY 2.0)

E l’accordo è arrivato, ma dopo 19 giorni. Muscat tiene a precisare che la soluzione «alla fine non è stata trovata dall’Europa», ma dall’intesa tra gli stati che hanno deciso di farsi carico delle persone, benché venga riconosciuto all’Ue il ruolo di mediatrice.

Diritti umani violati su Sea Watch e Sea Eye

Non è solo la legislazione marittima, ma anche quella legata alle convenzioni sui diritti umani a dirlo: chiunque si trovi in una situazione di pericolo e necessita di assistenza in mare, ha diritto di essere ricercato e soccorso e di essere portato nel porto sicuro più vicino.

A ricordarlo è Chiara Favilli, professoressa di diritto dell’Unione europea all’Università di Firenze, esperta di politiche europee di immigrazione e asilo. Che afferma: «Si tratta di principi indiscussi, di portata secolare. Il diritto di ricerca e soccorso, se violato, mette in discussione anche il rispetto del diritto alla vita». Ma non è solo questo.

«Si consideri la presenza dei minori: la mancanza di soccorso viola la convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia. Poi pensiamo alla presenza di donne gravide, o persone malate, è in discussione anche il diritto all’assistenza medica».

Le leggi in Italia per lo sbarco dei migranti

«Per quanto riguarda il nostro paese, oltre ai trattati e convenzioni internazionali, in casi come quello della Sea Watch, si dovrebbe parlare anche del rispetto di diritti sanciti dalla Costituzione italiana». Sono ancora le parole della professoressa Favilli, ricordando l’articolo 10, comma 3, della Costituzione:

«Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese, l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».

Leggi anche: Confine Italia-Francia: torna lo spettro dei “reati di solidarietà”

Sea Watch
Foto: Federica Mameli/SOS Méditerranée/Luz

Il che non significa necessariamente accesso al diritto di protezione internazionale, ma sicuramente diritto di chiederlo. «Questa – prosegue la professoressa – è l’enorme differenza tra il nostro paese e gli altri paesi, la presenza di un diritto soggettivo di accesso al territorio per richiedere diritto di asilo. Mi sembra chiaro che queste persone si vedano negate questo diritto».

Poi c’è il nodo dei procedimenti penali, fa notare la Favilli. «In Italia c’è un sistema tale per cui la procura può attivare un’inchiesta per facilitazione di ingresso irregolare di migranti. Inchieste che sempre sono sfociate in un’assoluzione, ma non dobbiamo dimenticare che l’avvio del processo penale blocca la nave anche per anni. Il problema è che non esiste l’esclusione della rilevanza penale nella facilitazione di ingresso irregolare a fini di solidarietà e non per scopo di lucro».

Migranti: il nodo del Regolamento di Dublino

«Sono felice che i nostri sforzi abbiano prodotto risultati», è il commento del commissario europeo agli Affari interni, Dimitris Avramopoulos, che tuttavia pone l’accento sulle soluzioni disorganizzate riguardo a situazioni simili a quella della Sea Watch. «Siamo pronti – aggiunge – a lavorare per mettere in piedi disposizioni temporanee per gli sbarchi finché non verrà adottato il nuovo regolamento di Dublino».

E sul regolamento di Dublino si ferma anche il ragionamento della professoressa Favilli. «Credo che in casi come questo la soluzione migliore sia quella di svincolare gli ingressi di migranti ricercati e soccorsi in mare dall’applicazione del Regolamento di Dublino, che vincola il paese di ingresso ad esaminare le domande di asilo».

Leggi anche: Migranti Grecia: la crisi immigrazione travolge l’isola di Lesbo

Sea Watch
Migranti in mare – Foto: @Francesco Floris

Se si applicano le norme di Dublino, nella maggior parte dei casi il paese di primo ingresso nel territorio dell’Ue è considerato il paese responsabile della domanda di asilo. Considerando che la maggioranza degli arrivi è registrata in un numero ristretto di Stati membri (come Grecia, Italia e, più di recente, Spagna), la ripartizione delle responsabilità non risulterebbe equa, costringendo una ristretta parte di stati membri a gestire la maggior parte delle domande d’asilo. Da qui le proposte per una modifica del Regolamento.

Il Parlamento europeo ha votato a favore di una radicale riforma del regolamento di Dublino, invitando ad adottare un meccanismo vincolante che assicuri che tutti gli stati membri accolgano la loro equa parte di persone in fuga dalla violenza e dalla persecuzione. Riforma che tuttavia è ferma da tempo.

«L’antagonismo è tra i diversi governi europei. Non si dimentichi – conclude la professoressa Favilli – che l’intesa sulla riforma del regolamento di Dublino è stata trovata nel 2017. Eppure esiste un muro di gomma. Ognuno rincorre il proprio individualismo. Si gioca una partita politica, ma sulla pelle delle persone».

1 Commento
  1. Monica Bruni dice

    Io, come persona che s’informa e legge molto, credo nell’ “integration act” e penso- in poche parole- che il ministro dell’Interno e quello degli Affari esteri dovrebbero discutere sulle “persone da aiutare nel loro paese”. Tale argomento veniva espresso già ai tempi di Confucio. Allora perchè non aiutare i veramente bisognosi con un patto ad hoc da nominare “Sicurezza oltre la guerra, la povertà e l’emarginazione”? Poi continuare così: “Chi studia, lavora e vive in… deve… e ha diritto di… esercitando appieno creatività, intelligenza, credenza e solidarietà”. Un suggerimento da una persona comune

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.