Senza tutele e pagati pochi euro a consegna: chi sono i riders in Italia

Sulla carta lavoratori autonomi, di fatto soggetti a turni e valutati con un algoritmo: sono i riders italiani. Stanchi di essere considerati lavoratori autonomi, chiedono un "decreto rider" che risolva la situazione dal punto di vista politico. Dai 2 euro a consegna alla mancata copertura assicurativa passando per la manutenzione dei mezzi e il diritto alla "disconnessione"

Corrono da una parte all’altra della città, in bici o in motorino, incuranti di pioggia e vento perché è il solo modo per guadagnare di più e magari portare a casa la giornata. Per loro non ci sono differenze tra festivi, weekend, orari notturni o tutto quello che un lavoratore dipendente di solito ha, e questo perché sono lavoratori “autonomi”, sebbene non siano loro a concordare la paga né a decidere le modalità con cui devono svolgere l’attività.

Sono i riders, i fattorini, ragazzi, ma anche over 40 che tramutano un ordine su Internet – di cibo, ma non solo – in una consegna a domicilio. E se in qualche modo questo ricorda i fattorini che hanno sempre trasportato le pizze ordinate per telefono, la situazione è invece un po’ diversa: un rider va “dove lo porta l’ordine”, può essere un ristorante cinese, un fast food o una pizzeria e non è detto sia sempre lo stesso, anzi il più delle volte non è così.

Chi sono i riders e come lavorano

Il datore di lavoro non è infatti l’esercizio, ma una piattaforma online di food delivery, di consegna di cibo a domicilio. Deliveroo, Glovo, Uber Eats, Just Eat, solo per fare qualche nome di marchi che, grazie a questo esercito di lavoratori su due ruote, riescono a garantire in alcuni casi consegne 24 ore su 24, in altri fino alle 2 di notte.

Quel che conta per un rider è essere dotato di buone gambe, qualora si usi la bici, che è comunque di sua proprietà, o saper guidare un motorino (anche questo non in dotazione) nel traffico cittadino e avere uno smartphone.

Perché nell’era dell’app economy, tutto viene gestito appunto tramite un’applicazione e un pc. Da quando ci si candida fino a che si ottiene il lavoro. A volte viene fatto un colloquio telefonico, qualche volta dal vivo, ma la maggior parte delle volte è tutto virtuale.

Leggi anche: Rider alle prese con diritti violati e mancanza di sicurezza sul lavoro

riders

Colloqui virtuali e formazione volontaria

Si mette una firma digitale sul contratto e si è pronti a iniziare. «È tutto automatico», spiega Angelo Junior Avelli di Deliverance Milano, collettivo autonomo di fattorini e sindacato sociale autorganizzato, nato dopo i primi scioperi dei riders di Foodora a Torino. «Ti candidi su Internet e dopo massimo 24 ore hai la conferma. Il materiale, che consiste in cassone o valigia per le consegne, pettorina e in qualche caso anche power bank (batterie esterne per la ricarica veloce) e porta smartphone da polso, te lo spediscono a casa, in comodato d’uso gratuito, oppure con una cauzione di 65 euro da dare non appena si inizia.

Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Dirittinewsletter osservatorio diritti

E la formazione? «Prima facevi affiancamento, un paio d’ore, per strada. Adesso spesso è volontaria attraverso un manuale che include suggerimenti utili per la guida in moto sicuro.

«Ho appena portato un chilo di gelato al decimo piano e, ovviamente, ho dovuto pedalare di fretta perché non si sciogliesse. Per fortuna, stavolta la consegna era abbastanza vicina, ma non sempre è così. Io poi pedalo abbastanza veloce, a furia di fare consegne diventi quasi un furetto», dice Alex (il nome è di fantasia), calabrese, 32 anni, che parla così in una Milano a zero gradi alle 23 di un venerdì notte.

Leggi anche: Perdere il lavoro, smarrire il senso: il libro di Pietro Piro

riders

«Sì, qualcuno dice che così noi ci teniamo in allenamento e stiamo all’aria aperta, ma non sa cosa vuol dire pedalare con questo freddo. E qualche giorno fa mi sono pure dimenticato i guanti a casa e non mi sentivo più le mani. Sì, sarei potuto tornare a prenderli, ma questo avrebbe voluto dire perdere il turno e perdere “punteggio”».

Come spiega Avelli:

«Ogni rider ha un punteggio legato all’affidabilità e qualità. L’affidabilità è determinata da ristoratori e clienti che lasciano una recensione sul lavoro svolto, dipende anche dal fatto che hai preso un turno e lo rispetti o, se non puoi farlo, che almeno avvisi per tempo. Dipende anche dalla disponibilità: più sei disponibile più lavori».

Turni, punteggio, classifiche: l’identikit del rider moderno

Al pari di come capita per qualsiasi prodotto che si può comprare online, valutato con le classiche stelline, anche i riders hanno un ranking, una sorta di posizione in classifica che viene determinata da un algoritmo che «noi rider non sappiamo davvero come funziona», aggiunge Angelo, che fa il rider nei weekend, mentre negli altri giorni è un camieriere. «È vero, ci viene richiesto di lavorare 40 ore a settimana, ma quanto ci sei e soprattutto quanto ci sei nelle ore calde, per intenderci dalle 20 alle 22, determina anche la scelta dei turni».

Un lavoro autonomo, dunque, che però prevede «dei turni in fasce. Funziona così: apri il sistema nel giorno in cui pensi di lavorare e, se hai il punteggio più alto, hai la priorità nello scegliere i turni che vuoi per la settimana successiva, magari al mattino. Ma se il punteggio dipende anche dalla disponibilità che dai, va da sé che più lavori più vantaggi hai così come riesci a gestirti meglio».

D’altra parte “autonomo” e turni non sono proprio due parole che stanno sulla stessa riga anche se, come assicurano da Deliveroo, c’è la massima libertà: ogni rider può rifiutare le consegne anche all’ultimo secondo senza alcuna penalizzazione e da parte dell’azienda non c’è né direzione né coordinamento.

Leggi anche: Festa del Lavoro: a che punto siamo con i diritti in Italia

Quanto guadagna un rider: compensi a consegna a partire da 2 euro

Deliveroo, con base a Londra e oltre 6.500 rider – che, stando a un sondaggio pubblicato di recente, sono soddisfatti per il 90% di collaborare con la piattaforma – offre un contratto con collaborazione occasionale con un sistema che non è né a cottimo né orario. La paga, spiegano, prevede un incentivo minimo orario di una consegna e mezza equivalenti a 7,50 euro lordi che si applica ai rider che accettano di fare consegne, paga che viene garantita anche nel caso in cui non ci fossero offerte dalla piattaforma.

Un cosiddetto “minimo garantito” che però non piace ai rider. «Gli ordini minimi», spiega Avelli, «saranno se non offerti, mutuati con un garantito di 7,50 lordi, mentre il modello di prima prevedeva un fisso di 5,60 (7 euro lordi) per ora di lavoro. In questo modo si paga l’inattività, ma solo se non viene offerta nessuna corsa al rider. Il modello attuale infatti prevede 5 euro lorde a consegna, oppure, se si sceglie il dynamic fee, sono previsti 2 euro alla consegna più 1 euro al ritiro, più il differenziale chilometrico calcolato di volta in volta dalla società».

Come si legge sulla pagina Facebook di Deliverance, ai rider non piace affatto questo sistema: «Il corriere è più portato ad accettare la corsa perché il nuovo sistema non gli assicura un guadagno come faceva prima, ma incentiva il corriere ad accettare (più consegne) perché guadagnerà quanto consegnerà».

Di recente, poi, sono stati allungati i raggi di consegna e può capitare «che un rider, magari più vicino al ristorante, non venga chiamato per la consegna, ma che questa venga affidata a chi si trova più distante e ci mette più tempo», aggiunge Angelo. «L’allungamento dei raggi di consegna è anche un modo per far sì che ci si incontri meno e si faccia meno gruppo con gli altri».

Ci sono, poi, dei casi in cui, come per Glovoil collaboratore viene informato del compenso solo successivamente perché vengono erogati e comunicati bisettimanalmente. Si parla di parte fissa più una base aggiuntiva, non precisata. A chiarire come funziona è ancora Angelo: «Si viene pagati 2 euro a consegna più 63 centesimi a chilometro in linea d’aria, più si ha diritto a 5 centesimi per ogni minuti di ritardo da parte del ristorante», dice Avelli.

Anche se spesso il ritardo, per un rider che cerca di fare più consegne possibili, può arrivare anche da parte dei clienti stessi. Come succede a Ebo, originario del Ghana, in Italia da un paio d’anni:

«Mi capita di portare il pranzo a dipendenti di banche e di doverli chiamare per diversi minuti prima che scendano a ritirarlo. Spesso fanno più ordini insieme e, quando fai notare il ritardo e che non rispondono al telefono, con una scrollata di spalle mi dicono che il numero era del collega e che comunque loro erano in riunione».

UberEats, che fa un contratto di collaborazione occasionale con il ristorante, «propone 2 euro a consegna più 1 a chilometro, anche se si tratta di chilometri in linea d’aria (che non tengono conto né del percorso stradale né di eventuali ostacoli), il che porta il rider a pedalare spesso in controsenso».

E a volte si rischia la vita

Questo con tutti i rischi che ne conseguono: sono diversi i casi di rider morti sul lavoro, tra gli ultimi Alberto Piscopo Pillini, studente di Bari di 19 anni investito mentre stava facendo una consegna in scooter. Così come Maurizio Camillini di 29 anni di Pisa. Poi c’è chi come Amin (nome di fantasia), di origine iraniana, ha fatto un incidente in bici, è stato portato via in ambulanza, ha dovuto pagarsi le spese mediche e anche il desposito della sua bici rotta presso i vigili urbani.

«L’assicurazione», dice Avelli, «avrebbe pagato se ci fossero stati almeno quattro giorni di degenza in ospedale, ma non era questo il caso».

riders
Foto tratta dalla pagina Facebook di Deliverance Milano.

Danni contro terzi e manutenzione a carico dei riders

Quanto a tutele per se stessi e nei confronti di danni a terzi, la situazione non è la stessa per tutte le piattaforme.

Ci sono casi in cui, come con Deliveroo, che ha potenziato l’assicurazione nel maggio scorso: vengono coperti gli infortuni dal momento in cui il rider ha fatto login fino a quando è uscito dall’applicazione, calcolando anche l’eventuale ora di rientro a casa, prevedendo una copertura fino al 75% in caso di inattività temporanea, e sono aumentati i massimali per spese mediche e previsti danni a terzi.

In altri casi, ogni danno è a carico dei rider. Così come lo è, per tutte le piattaforme, la manutenzione del mezzo e anche l’eventuale costo di benzina e bollo.

«Il nostro è un lavoro subordinato, altro che imprenditori di noi stessi»

«Veniamo sempre definiti “imprenditori di noi stessi”, ma di fatto non è così», continua Avelli, originario della provincia di Bergamo e con una laurea triennale in Lettere.

«Come si può vedere a livello organizzativo, siamo dei veri lavoratori con dei turni, a tutti gli effetti subordinati. Per noi queste sono forme di neoschiavismo: non siamo riconosciuti come lavoratori e non beneficiamo delle plusvalenze e dei guadagni che sviluppano queste aziende. Basta vedere come a fronte di una consegna che viene pagata a partire da 2 euro all’ora, la società di food delivery chiede almeno 2,50 al cliente che la utilizza. Inoltre queste piattaforme, grazie agli ordini, sono in possesso di informazioni riguardo alle abitudini di una persona, di una determinata zona, sono capaci di influenzare aziende. Hanno pertanto una delle merci più preziose al giorno d’oggi: i dati».

La proposta dei fattorini: un decreto rider

Per i rider la situazione è diventata insostenibile, tant’è che a dicembre hanno presentato una loro proposta di decreto per i rider. Situazione che, come conferma Avelli, è al vaglio del ministero del Lavoro, che potrebbe inserirla insieme al reddito di cittadinanza.

«Visto che non c’è stata possibilità di accordo con le società (riunite in Assodelivery, associazione datoriale che si è ufficialmente costituita nel novembre scorso e presieduta da Matteo Sarzana, general manager di Deliveroo, ndr), abbiamo pensato di riportare tutto a livello politico. A giugno erano state fatte delle promesse che non erano state mantenute. Cosa chiediamo? Il riconoscimento del rapporto di subordinazione. Siamo lavoratori e come tali vogliamo essere riconosciuti. Il CCNL logistica sarebbe il più adatto al nostro caso perché è quello che somiglia di più al nostro lavoro di fattorini o eventualmente il contratto commercio».

«Ma non è tanto il tipo di contratto, quanto il fatto che chiediamo l’abolizione del cottimo, perché sarebbe più corretto parlare di paga oraria. Inoltre, vogliamo una tutela piena dal punto di vista previdenziale e assicurativo e non il minimo garantito perché vogliamo essere considerati dei lavoratori a pieno titolo e non dei lavoratori minori».

«Chiediamo ancora la regolamentazione degli algoritmi utilizzati per assegnare i turni e per valutare le nostre prestazioni che dovrebbero entrare a vigore dopo un periodo di sperimentazione». Nel decreto si chiede anche il diritto alla disconnessione, ossia al non essere contattati se non dopo 11 ore da quando è passato il turno.

2 Commenti
  1. Ferdinando dice

    Mai lette più bugie , inesattezze e forzature come in questo articolo. Capisco che come giornalisti non possiate che scrivere quanto vi viene chiesto di vista la precarietà e lo sfruttamento del vostro lavoro da parte dei vostri editori ma qui si esagera! Anelo il giorno in cui torniate a scrivere liberamente, con oggettività e senza usare il copia e incolla. Possibilmente pagati, senza le mie tasse, dalla vostra autorevolezza e affidabilità.

    1. Redazione dice

      Fernando, notiamo innanzitutto che non riesci a nominare neppura una di queste “inesattezze” e “forzature”, come le chiami tu. Inoltre, forse non ti sei accorto che l’articolo è di oltre due anni fa, quando tutte le cose che leggi erano vere e verificate, come è nostra abitudine controllare prima di pubblicare qualunque notizia. Adesso, come forse saprai, ci sono diverse novità in materia. Infine, possiamo ricevere qualunque critica, ma certamente non quella di non scrivere liberamente: siamo una testata non profit, non riceviamo pubblicità da nessuno, non riceviamo contributi statali o pubblici di alcun tipo (non ti preoccupare, delle tue tasse non abbiamo mai visto un centesimo) e gli unici che ci sostengono sono i nostri lettori… più liberi e indipendenti di così! Non è un caso che molte notizie, soprattutto quelle legate alle violazioni dei diritti da parte delle aziende, non sono pubblicate dalle altre testate

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.