Beyond the border: 18 scatti per la Giornata internazionale dei migranti

Ecco 18 fofografie sui migranti a Ventimiglia che abbiamo deciso di pubblicare in occasione della Giornata internazionale per i diritti dei migranti. Un lavoro realizzato da Luca Prestia, non ancora terminato, che ritrae volti e oggetti delle persone che cercano ogni giorno di raggiungere la Francia o la Gran Bretagna

Osservatorio Diritti pubblica oggi, 18 dicembre, in occasione della Giornata internazionale per i diritti dei migranti, una serie di diciotto fotografie di Luca Prestia che ritraggono proprio volti e oggetti che i migranti portano con sé nel loro viaggio (basta cliccare sulla foto in basso per poterle vedere in sequenza; in caso di problemi, clicca qui). Un modo per celebrare con le immagini – che spesso parlano più di lunghi testi scritti – la vita di chi è costretto a fuggire dal proprio Paese e dai propri affetti.

Per capire meglio il senso che sta dietro a questo lavoro, inoltre, segue un articolo del curatore della mostra “Beyond the border”, Federico Faloppa, che racconta come è nato e come, ancora oggi, sta crescendo questo progetto.

 

Oltre il confine. Nel senso di «di là dal confine», superato il confine. Ma anche di «in più», «non limitatamente a». Su questa sottile ambivalenza di significato gioca il titolo della mostra di Luca Prestia, Beyond the border, che sarà inaugurata a Bolzano venerdì 21 dicembre, alle ore 18, presso il Centro Culturale Trevi.

Prodotta dall’Università di Reading (Inghilterra) nell’ambito del progetto ProLanguage – The protective role of languages in migrant and refugee settings e richiesta da molte città italiane (Trento, Palermo, Torino, Cuneo, Roma), la mostra offre uno sguardo non stereotipato sul confine, anzi, su un confine in particolare: quello di Ventimiglia, tra Italia e Francia.

Da Ventimiglia in direzione Francia o Gran Bretagna

Del confine di Ventimiglia si è parlato e si parla molto: da alcuni anni è infatti diventato un punto nevralgico della mobilità di migliaia di persone che – a partire dal 2011 – cercano di arrivare in Francia o in Gran Bretagna. Qui sono stati bloccati migliaia di individui a seguito dei grandi esodi causati dalle primavere arabe. Qui, dopo la refugee crisis del 2015, il governo francese ha chiuso unilateralmente la frontiera sospendendo, di fatto, il trattato di Schengen. Qui associazioni e organizzazioni non governative, tra cui l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), hanno tentato negli ultimi anni di intervenire per lenire la durezza delle politiche di controllo e di repressione della gendermerie d’oltralpe, per verificare il rispetto dei diritti umani, per portare soccorso materiale e psicologico alle persone espulse o bloccate.

In questo contesto si è mosso il fotografo Luca Prestia, che anche grazie al suo ruolo di addetto stampa di Emmaus Italia conosce bene, da tempo, i problemi di quel confine e delle persone che cercavano di attraversarlo o di aiutare chi lo attraversava. Sia da solo, sia Insieme al collettivo di giornalisti, attivisti, video reporter Seedspictures, Luca Prestia si è recato spesso, nell’arco degli ultimi quattro anni, a Ventimiglia e in tutta la zona di frontiera, per fare interviste, servizi di reportage, documentare quello che stava succedendo.

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luca prestia fotografo
Luca Prestia

Migranti: un reportage di volti e oggetti

Ha così potuto conoscere molti migranti e molti volontari che cercavano di prestare loro aiuto. E ha potuto osservare non soltanto l’immobilità diurna del confine costiero dei Balzi Rossi, bloccato dalle forze dell’ordine, ma anche la mobilità notturna lungo i sentieri di montagna del cosiddetto Passo della morte, l’unico praticabile – seppur molto pericoloso – con l’aiuto dei passeur.

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Ne è nato un reportage unico, sganciato dai cliché e dall’immediatezza della cronaca. Un reportage che ha raccolto non solo luoghi e volti, ma anche gli oggetti spesso inadeguati che le persone si portavano appresso lungo quel sentiero impervio, per tentare di superare la recinzione di confine su cui qualcuno, forse dopo avercela fatta, aveva affisso un cartello con la scritta Hope, speranza.

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Ha registrato così, con le sue fotografie, la fragilità di corpi, indumenti, oggetti. E la condizione di instabilità, insicurezza, indeterminatezza in cui per giorni, se non per settimane, vivevano le persone che stazionavano sotto i cavalcavia autostradali aspettando il momento migliore per attraversare il confine: non potendo prevedere se ce l’avrebbero fatta o se, una volta fermati dalle forze di polizia, sarebbero stati rispediti in qualche hotspot o centro di espulsione.

Grazie a una desaturazione dei colori, al taglio e all’angolatura di ripresa, questa indeterminatezza passa dall’oggetto inquadrato al suo osservatore, che è costretto a interrogarsi sul senso di quel confine e delle sue dinamiche di respingimento. Ma anche – in direzione «ostinata e contraria» – sulle possibilità che pure si materializzano lungo il confine, e sulle vite che malgrado tutto ogni giorno cercano di superarlo, tentando e ritentando – con i loro sforzi e il loro desiderio di futuro – di renderlo poroso, fluido, spazio d’azione.

Narrare i migranti per immagini: il progetto continua

Proprio intorno a questa fluidità si concentra non solo la mostra, ma il suo prossimo sviluppo. Il tentativo sarà infatti quello di problematizzare – a partire dal racconto fotografico – la frontiera come spazio sia di conflitto sia di interazione umana, sociale e linguistica, di negoziazione dei codici e dei significati, della mescolanza delle lingue e dei messaggi di cui sono portatori i migranti, come tutti quelli che intorno al confine vivono e agiscono.

Questo sviluppo – finanziato dall’Università di Reading – prevede la raccolta di materiali lungo la frontiera bosniaca di Bihač, altro confine drammatico della Fortezza Europa, e in altre zone lungo le rotte del Mediterraneo. L’obiettivo è quello di offrire uno sguardo nuovo e spiazzante all’osservatore, e una prospettiva di ricerca interdisciplinare che rimetta in discussione l’agenda politica e dell’informazione. Che spinga “oltre”, appunto, da tanti punti di vista.

1 Commento
  1. Ornella Mereghetti dice

    Il senso del Natale

    (Perché non sia una Festa sterile,
    colma di doni vuoti)

    Vorrei una Ninna Nanna
    per accogliere Gesù di Nazareth,
    invece è un ululato.
    Pensiamo di trovarlo
    su una tavola imbandita,
    dentro un negozio super accessoriato.
    Lo cerchiamo dentro un panettone,
    nell’anatra farcita.

    Dov’è nato?
    Egli è venuto per salvarci tutti:
    quelli che vivono ancora in capanne,
    quelli che attraversano mari,
    nelle Città dove continua la Guerra.
    Egli è venuto per gli ultimi.

    Si può venire al mondo
    in una notte di tempesta,
    senza un Padre,
    sotto le macerie;
    da un grande amore
    o da un amore maldestro.
    Si può nascere da genitori devoti
    o alcolizzati, ma
    Egli è nato da Maria.
    Lui è il Figlio di Dio.

    Lo cerco in una baracca, e poi,
    dentro le mani stanche di mia Madre,
    in un paziente terminale, in un carcerato.
    Egli ancora piange, così io
    mi faccio piccola:
    mi faccio pastore e pecora,
    culla, fieno e paglia.
    Come i Re Magi gli porto doni.

    OH, tanto stupidi noi
    da regalargli ancora Crocil
    Vorrei una Ninna Nanna ,
    per Gesù di Nazareth.

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