Stranieri in Italia: gli irregolari nel report del Naga
Aumentano i cittadini stranieri irregolari, impiegati spesso in lavori non qualificati e in nero, con un precario quadro sanitario, spesso determinato dalla mancanza di una dimora. È la fotografia scattata dalla onlus milanese Naga, relativa ai cittadini stranieri irregolari che sono andati negli ambulatori medici dell'associazione
«Una popolazione minacciata, non minacciosa». La onlus milanese Naga definisce così il popolo degli immigrati. Si parla di cittadini stranieri privi di regolare permesso di soggiorno, fotografati dall’associazione di volontariato nel suo nuovo rapporto Cittadini senza diritti, giunto quest’anno alla sua quarta edizione.
Il campione considerato è di quasi 8 mila persone, che tra il 2014 e il 2017 sono andate per la prima volta in un ambulatorio medico del Naga. Il quadro che ne esce ha i colori di un aumento dei cittadini stranieri irregolari arrivati da meno di un anno, con un livello di istruzione medio pari a quello degli italiani, che garantisce loro maggiori possibilità di lavoro, per quanto si parli sempre di lavoro in nero.
Il rapporto rappresenta la più vasta banca dati sulle condizioni mediche dei cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno non ospedalizzati. Ed è qui che emergono i dati più drammatici: aumentano le persone senza fissa dimora, condizione che determina le loro precarie condizioni mediche, con frequenti patologie legate alle vie respiratorie e dermatologiche. Senza dimenticare l’elevata frequenza di disturbi psichici e comportamentali.
Stranieri in Italia: dati su presenza e nazionalità
Il rapporto – curato da Carlo Devillanova (Università Bocconi), Francesco Fasani (Queen Mary University London) e Tommaso Frattini (Università degli Studi di Milano) – fotografa i dati relativi a 7.955 cittadini stranieri privi di regolare permesso di soggiorno. I cittadini irregolari arrivati da meno di un anno aumentano, toccando quota 37% nel 2017, mentre si parlava del 28% nel 2014.
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I pazienti provenienti dal Nord Africa hanno rappresentato il gruppo etnico più numeroso, anche se la loro percentuale sul totale delle visite è lievemente scesa nel corso del tempo (dal 29,7% del 2014 al 26,5% nel 2017).
La percentuale dei pazienti provenienti dall’Europa orientale è passata dal 25,1% del 2014 al 16,1% nel 2017, mentre quella dei pazienti latinoamericani è costantemente cresciuta per passare dal 15,4% nel 2014 al 26,0% nel 2017.
La percentuale dei pazienti dell’Africa Sub Sahariana è aumentata dal 10,5% del 2014 al 15,6% del 2017, mentre quella dei pazienti provenienti dall’Asia si è ridotta progressivamente, passando dal 19,2% al 15,7 per cento.
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Istruzione e lavoro: qualche numero su stranieri irregolari
Leggendo il rapporto, al capitolo istruzione, si osserva come venga sfatato «uno dei luoghi comuni del discorso pubblico e mediatico sull’immigrazione irregolare: i cittadini stranieri irregolari non sono poco istruiti». Quasi un quarto del campione, infatti, nel 2017 riporta un livello di istruzione nullo o elementare, ma i gruppi più corposi sono quelli che hanno dichiarato di avere un livello di istruzione assimilabile alle scuole medie italiane (31,5%) ed alle superiori (36,4%). Circa il 9%, infine, ha conseguito un diploma universitario o, almeno, ha frequentato l’università per qualche anno.
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«Anche in questo rapporto – affermano i ricercatori – si conferma un livello di istruzione paragonabile a quello degli italiani. Tuttavia, si assiste a una progressiva riduzione della percentuale di cittadini stranieri irregolari con livelli di istruzione superiore, dal 43% del 2000 al 36% del 2017».
E avere un’istruzione superiore diventa un fattore importante nella possibilità di trovare un lavoro. È del 41%, infatti, la percentuale di occupati tra coloro che hanno un’istruzione superiore, per quanto – tiene a precisare il Naga – ci si riferisca al mercato del lavoro nero.
«L’altro fattore determinante – spiegano dal Naga – per la condizione lavorativa è l’anzianità migratoria: mentre la percentuale di occupati fra chi è in Italia da meno di un anno non raggiunge il 20%, dopo due anni di permanenza la percentuale sale a circa il 42% e al 49% per gli individui con 3-4 anni di permanenza».
Ma anche in questo caso bisogna fare alcune precisazioni: si parla di impieghi non qualificati – quasi la metà è collaboratore domestico – mentre la quasi totalità dei migranti nel paese di origine era impiegata in occupazioni con elevato livello di specializzazione.
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Più in generale, la situazione lavorativa degli immigrati irregolari è migliorata nel tempo. Nel 2017 il 35% degli utenti che si sono recato per la prima volta al Naga aveva un lavoro, mentre nel 2014 gli occupati rappresentavano il 28,5%.
«Nonostante questo incremento dei livelli di occupazione – proseguono i ricercatori – solo il 23% degli occupati ha un’occupazione che considera permanente, mentre la grande maggioranza ha un’occupazione percepita come saltuaria o sono lavoratori ambulanti».
Condizioni abitative: più stranieri irregolari senza casa
Un capito del rapporto Naga è dedicato alle condizioni abitative, indicatore fondamentale per comprendere il livello di integrazione degli immigrati nel tessuto socio-economico milanese. Esaminando le tre categorie – in affitto, presso il datore di lavoro, senza fissa dimora – il rapporto mette in evidenza un generale peggioramento delle condizioni abitative.
Le persone senza fissa dimora – ovvero chi dorme per strada, in edifici abbandonati, baracche o dormitori – sono aumentate dal 19% del 2014 al 22% nel 2017. Rispetto al precedente rapporto, la percentuale di utenti in affitto si è ridotta di quasi 10 punti percentuali (da 85 a 75%), così come quella di coloro che risiedono presso il datore di lavoro (dal 5,5% al 2,1%).
E anche nei casi in cui si abbia un tetto sulla testa non mancano i problemi. Ne è un chiaro segnale il cosiddetto indice di affollamento, pari al 2,1, che tradotto significa che «l’utenza Naga vive in condizioni di affollamento delle loro abitazioni che sono più di tre volte superiori a quelle dei cittadini italiani».
Stranieri in Italia: dati sanitari e percentuale nel report 2018
In questa quarta edizione dello studio, per la prima volta, si prende in considerazione l’incidenza delle patologie dei cittadini stranieri irregolari, considerando quelli che si sono presentati per la prima volta all’ambulatorio Naga nel 2017. Dati che rappresentano la più vasta banca dati sulle condizioni mediche dei cittadini stranieri senza permesso di soggiorno non ospedalizzati.
«I dati mostrano che almeno il 10% di questi pazienti presenta condizioni cliniche, come quelle croniche, ad esempio diabete e ipertensione, che necessitano di un intervento in ambito ospedaliero – afferma la dottoressa Anna Spada, volontaria del Naga – È quindi lecito supporre che, in assenza della visita presso il Naga, questi pazienti avrebbero continuato a gestire in maniera inappropriata le proprie patologie, fino al ricovero in pronto soccorso».
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E la condizione abitativa incide prepotentemente sullo stato di salute dei cittadini stranieri che si sono recati al Naga. I pazienti senza fissa dimora, infatti, hanno con maggiore frequenza patologie legate alle vie respiratorie e dermatologiche a causa della prolungata esposizione al freddo e dall’assenza di buone condizioni igieniche. Alle patologie fisiche, si associano quelle psichiche e comportamentali, più frequenti (nel 10% del campione) per i senza fissa dimora rispetto agli immigrati in affitto (il 5,5%).«Anche la tipologia occupazionale – prosegue la dottoressa Spada – si associa a una diversa frequenza di patologie. Ad esempio, le malattie del sistema respiratorio sono molto più comuni fra i lavoratori ambulanti (22%) che fra quelli con un’occupazione temporanea (11%) e permanente (5,5%)». Comune a tutti i gruppi è l’estrema rarità di malattie infettive (0,016% del campione) e, in particolare, della tubercolosi.
«Per un principio di uguaglianza – afferma la dottoressa Spada – come Naga crediamo che la possibilità di accedere, anche per i cittadini stranieri irregolari, al medico di base sarebbe la soluzione più adeguata e facilmente realizzabile».
Quanti sono ad aver subito torture
Il Naga offre anche un particolare servizio legato alla cura delle ferite invisibili lasciate dalla tortura e persecuzione. Il rapporto parla, per il 2017, di 64 pazienti (il 3,1% del campione) che si sono recati per la prima volta al Naga per ricevere assistenza sanitaria in quanto vittime di tortura.
Si tratta di persone generalmente più giovani rispetto al resto del campione: il 50% di loro ha un’eta compresa tra i 15 e i 24 anni. E a circa un terzo delle vittime sono stati diagnosticati disturbi mentali o comportamentali, in particolare disturbi d’ansia e post-traumatico da stress.
«I cittadini che incontriamo non sono un problema per la sicurezza di questo Paese, in pericolo c’è la loro di sicurezza: quella di veder garantito il riconoscimento di diritti fondamentali e di poter vivere dignitosamente», dice la presidente del Naga, Sabina Alasia.