La lotta contro l’Aids si inceppa in Italia, Grecia e Usa

Nel nostro Paese è ancora troppo difficile riuscire a fare il test dell'Hiv in totale anonimato. Mentre la crisi economica ha causato una nuova esplosione di Aids in Grecia. E gli Stati Uniti hanno problemi di discriminazione. Mentre la Bielorussia fa un passo avanti. Ecco la situazione a 30 anni dalla prima Giornata mondiale contro l'Aids del 1° dicembre

Sono passati ormai 30 anni dalla prima Giornata mondiale contro l’Aids, istituita nel 1988 dall’Organizzazione mondiale delle sanità per il 1° dicembre. Eppure sotto molti punti di vista siamo ancora ai blocchi di partenza in diverse parti del mondo. Italia, Grecia e Stati Uniti compresi. Mentre qualche passo in avanti è stato fatto proprio nei giorni scorsi in Bielorussia.

Lotta all’Aids: a Milano niente anonimato per il test Hiv

Uno degli ostacoli maggiori a sottoporsi al test dell’Hiv è quello dello stigma sociale che ancora circonda questo virus. Anche se, almeno a livello teorico, perlomeno l’anonimato dovrebbe essere garantito a chiunque decida di sottoporsi al test. Così come previsto dall’articolo 5 della legge n. 135 del 1990 per la prevenzione e la lotta all’Aids, che prevede anche, appunto, l’anonimato del paziente. Eppure la realtà è ancora troppo lontana da quanto previsto dalla norma.

«A Milano, capoluogo della regione con più persone affette da Hiv, questa segretezza è possibile in un solo ambulatorio pubblico, a nord della città. Tutte le altre strutture statali in cui si può svolgere il test richiedono la tessera sanitaria, quindi un’identificazione. Per questo molte persone rimangono lontane dai controlli e, se infette, diventano un pericolo per la società».

A denunciarlo è Massimo Oldrini, presidente nazionale della Lega italiana per la lotta contro l’Aids, Lila. Una situazione, quella di Milano, che è piuttosto significativa: dei circa 3.500 nuovi casi di Hiv certificati ogni anno nel nostro Paese, il 30% riguarda la Lombardia, mentre il 20% il Lazio.

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Giornata mondiale contro l’Aids: l’Italia nei dati Lila 2018

«In Italia non è per niente facile accedere al test senza sentirsi stigmatizzati. Gli ambulatori hanno orari spesso solo mattutini e richiedono un ticket che varia da pochi centesimi a 35 euro. Tutto questo non aiuta a far emergere i malati», aggiunge Oldrini.

Circa 400 nuovi casi all’anno riguardano giovani al di sotto dei 24 anni, mentre la maggioranza sono persone che hanno contratto il virus già da anni e che al momento del test hanno un CD4 – la “glicoproteina” che inibisce il legame e l’ingresso del virus Hiv nella cellula – inferiore a 300.

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Una soglia così bassa di questa proteina dimostra come la malattia abbia abbassato le difese immunitarie del malato, logorando a lungo andare il fisico.

«Questo dato dimostra come ci sia una forte componente di timore nel rivolgersi alle strutture sanitarie preposte. Iniziare una terapia di antiretrovirali con un bassissimo numero di CD4 significa cominciare un percorso di cura con un fisico già fortemente compromesso e poco disponibile a reagire alle cure», spiega Oldrini.

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I costi della lotta all’Aids

Ogni malato conclamato in Italia ha diritto ad accedere a un sistema di cura statale, gratuito, che costa allo Stato circa 500 mila euro (si è calcolato un tempo di somministrazione delle medicine pari a 50 anni). Questa mancata lungimiranza di comunicazione e promozione dei test, denuncia il presidente Oldrini, comporta quindi un dispendio oneroso per le casse dello Stato, «perché prima si accerta la malattia, prima si può abbassare e annullare la viralità dell’Aids».

Hiv: l’Italia e gli obiettivi dell’Onu “90-90-90”

La Lila denuncia anche lo scarso impegno politico ed economico delle politiche statali rispetto al programma mondiale voluto dalle Nazioni Unite, denominato “90-90-90”. Nel dicembre 2013, al summit mondiale di Unaids convocato per dare delle linee guida a tutti i paesi per sconfiggere la malattia, si è deciso di puntare al 2020 per avere tre alte percentuali di vittoria contro l’Hiv: il 90% dei malati consapevoli del loro stato, il 90% di loro curati dalle terapie antiretrovirali e il 90% arrivati ad avere la soppressione virale totale.

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Gli obiettivi fissati dalla dichiarazione di Parigi

I dati del 2017 accertano che dei 37 milioni di malati di Hiv, il 75% sa di aver contratto l’Hiv, il 79% ha accesso alle cure antiretrovirali e l’84% ha raggiunto la soppressione virale.

«L’Italia è molto carente sul primo 90%, vive ancora con la paura della malattia e non si pubblicizzano a livello statale i test e le forme di prevenzione. Nessuna forza politica promuove un dialogo utile a togliere lo stigma e per questo denunciamo il mancato diritto alla salute».

Grecia: la crisi economica causa più contagi di Hiv

Se in Italia uno dei problemi è l’accesso ai test, in Grecia invece si è verificato un picco di nuovi casi causati dal taglio statale dovuto alla crisi economica. Uno studio presentato a metà novembre all’Università Bocconi di Milano e pubblicato da The Lancet, effettuato da ricercatori di sociologia ed epidemiologia delle Università di Oxford e Cambridge, registra un aumento dei sieropositivi nella fascia 15-34 anni nella parte di popolazione a rischio, con un +52% nel solo 2011.

La decisione del ministero della Salute di tagliare i finanziamenti del 50% per la prevenzione, la distribuzione dei preservativi e delle siringhe, infatti, ha portato una nuova ondata di contagi. E così tra il 2011 e il 2012 la Grecia è stata la prima nazione europea ad avere un ritorno della malattia.

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In un’intervista concessa al professor David Stuckler dell’università Bocconi dal ministro della Sanità greco, Andreas Loverdos, emerge come la troika voluta dall’Europa abbia obbligato la Grecia a non guardare più ai bisogni delle persone, ma solo all’economia.

«Normalmente i tagli vengono fatti con il bisturi, cercando di non danneggiare il benessere della società. Noi invece abbiamo dovuto affilare l’accetta e tagliare senza distinzioni», ha detto il ministro greco.

E così si è arrivati così ad avere un quintuplo di infezioni da siringa in più rispetto al 2008.

Trump e le discriminazioni sanitarie Usa: il caso Florida

Contrariamente a quanto si può pensare, anche gli Stati Uniti hanno i loro problemi nella lotta all’Aids. In Florida, in particolare, la fascia di popolazione composta dalle donne transgender è esclusa dalla terapia antiretrovirale a causa del mancato riconoscimento del loro status.

In un rapporto di Human Rights Watch pubblicato nel mese di novembre, infatti, si evidenzia come il tasso di sieropositivi nella comunità transgender afro americana della Florida sia in salita rispetto al resto degli Usa. Il sistema sanitario americano, spesso basato sul settore privato, infatti, esclude questo gruppo di persone.

Per questo motivo, Human Rights Watch denuncia una forte discriminazione e ghettizzazione delle donne transgender, sottolineando come i fondi dedicati alla somministrazione della giusta terapia per le sieropositive transgender non siano neppure stati richiesti dallo Stato della Florida. Malgrado il Ryan White, il sistema di prevenzione sanitario dedicato all’Aids, sia stato finanziato per un 15% in più negli ultimi 3 anni in Florida, non è stato ampliato il programma dedicato alle donne transgender.

Non da ultimo, ricorda ancora l’ong che si occupa di diritti umani, incide il taglio alle politiche di integrazione e assistenza voluto dall’amministrazione Trump, che dal momento dell’insediamento nel 2017 ha deciso di decurtare i finanziamenti per quel settore sanitario e sociale.

La Bielorussia sottoscrive la dichiarazione contro l’Hiv

Per quanto possa sembrare strano, in fatto di lotta all’Aids una buona notizia arriva dalla Bielorussia, Paese conosciuto per la repressione di libertà di espressione sessuale e dove è ancora in vigore la pena di morte. Ebbene, proprio la Bielorussia ha sottoscritto, durante un convegno mondiale promosso da Unaids a Minsk a fine novembre, la dichiarazione di Parigi, impegnandosi in questo modo a porre fine all’epidemia di Hiv.

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Insieme ad altre 300 città nel mondo, Minsk ha deciso quindi di implementare l’accesso ai farmaci antiretrovirali, abbassando i prezzi della terapia e sponsorizzando campagne di prevenzione e sensibilizzazione.

«La firma al trattato di Parigi dà una spinta concreta per frenare l’epidemia di Hiv nel nostro Paese, puntando a coinvolgere tutti gli uffici preposti, il personale sanitario dedicato e le associazioni dedite alla lotta contro l’Aids», ha dichiarato il ministro della Salute, Valery Malashko.

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