Kenya, rapimento di Silvia Romano tra Al Shabaab e violenza di Stato
Quattordici persone sono state arrestate per il rapimento in Kenya di Silvia Romano, la giovane volontaria italiana di Africa Milele onlus. I primi a essere sospettati erano i terroristi di Al Shabaab, mentre ora la pista più accreditata è quella delle criminalità comune. In ogni caso, si tratta di una zona finora considerata sicura, anche se frequentata da milizie e terra di violenze di Stato
Silvia Costanza Romano, ragazza di Milano di 23 anni, è stata rapita a Galana Kulalu, villaggio di Chakama, area rurale nei pressi della foresta della contea di Kilifi, in Kenya. Era lì come volontaria della onlus Africa Milele in una zona ritenuta non pericolosa, per quanto conosciuta per infiltrazioni di milizie di fondamentalisti islamici e di reclutatori di terroristi.
Qui la popolazione vive in condizioni di difficoltà di accesso a cibo e acqua, anche a causa dell’inquinamento del fiume che attraversa la regione. Il principale progetto di Africa Milele di cui Romano è referente è la costruzione di un nuovo orfanotrofio per i bambini della zona.
Non si sa ancora con certezza chi abbia rapito la giovane. Nelle ultime ore sono state arrestate quattordici persone, con il sospetto che abbiano avuto qualche contatto coi i rapitori, anche se dalle prime informazioni pare non facessero parte del comando che ha eseguito l’azione.
In un primo momento, invece, i sospetti erano ricaduti soprattutto su Al Shabaab, milizia somala di terroristi islamici che si finanzia anche con il rapimento di turisti o cooperanti e che si è dichiarata affiliata ad Al Qaeda. Un’opzione ancora non accontonata del tutto, ma ritenuta adesso meno probabile rispetto a quella che si sia trattato di “criminalità comune”. Che, in ogni caso, ha già collaborato in passato anche con i terroristi.
VIDEO: Images of the guesthouse in a southeastern Kenyan village where an armed gang abducted an Italian woman late on Tuesday. The gang shot and wounded five residents in the raid, police say #Chakama pic.twitter.com/tp8Ptrbafk
— AFP news agency (@AFP) 21 novembre 2018
La dinamica del rapimento di Silvia Romano in Kenya
Il rapimento è avvenuto in modo molto violento. Testimoni dell’accaduto raccontano ai media locali scene di quella che appare come una vera e propria azione paramilitare. Almeno in otto hanno aperto il fuoco con degli AK47 sulla folla, ferendo cinque persone (tra i 10 e i 23 anni). Il luogo esatto dell’aggressione è un mercato, il Chakama Trading centre, molto affollato all’ora dell’aggressione di lunedì 19 novembre, le 19.30.
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I criminali si sono poi recati alla struttura d’ospitalità dell’associazione con cui Silvia Romano collabora e hanno chiesto della «ragazza bianca». Così spiega all’agenzia Associated Press (citata anche da Al Jazeera) Ronald Kazungu Ngala, 19 anni, l’ultimo a vedere Silvia. Ha provato a dire che se n’era andata, ma non è stato sufficiente a mandarli via. E il suo capo, Davide Ciarrapica, aggiunge al Corriere della Sera:
«Gli aggressori sono arrivato a bordo di un furgone, hanno fatto inginocchiare la gente e hanno iniziato a chiedere soldi, poi sono entrati nella casetta di Africa Milele e hanno preso Silvia, c’era solo lei con dei ragazzi del posto. Ora è in corso la caccia agli aggressori, ci sono elicotteri che stanno pattugliando la zona, non è chiaro se l’abbiano presa per uscire dal villaggio in sicurezza o per chiedere un riscatto»
La contea del Kenya divisa tra terrorismo e turismo
Sparatoria e rapimento, come detto, sono avvenuti a 80 chilometri da Malindi, città costiera frequentata dai turisti per le splendide spiagge nelle sue vicinanze. È una delle città principali della contea di Kilifi.
PRESS STATEMENT ON SECURITY INCIDENT IN #CHAKAMA, MALINDI IN KILIFI COUNTY. #SilviaRomano pic.twitter.com/vogaIa0qwk
— Tara Alen (@CappuccinoKap) 21 novembre 2018
La contea di Kilifi da anni sta affrontando diversi problemi di sicurezza interna, seppur non grave al punto da renderla una zona nella lista nera per turisti o cooperanti. Da un lato ci sono scontri tra gruppi etnici che si contendono il potere; dall’altro c’è il problema dell’infiltrazione di Al Shabaab e la radicalizzazione dei giovani emarginati dalla società. In mezzo, un governo che persegue – spesso senza nemmeno bisogno di accusa formale – le comunità musulmane, arrivando addirittura ad esecuzioni di presunti terroristi senza nemmeno un processo.
Il settore del turismo sta pagando in tutto il Kenya a causa di quest’ondata di insicurezza, anche solo percepita. Nel 2012, i primi a subire le conseguenze sono stati gli abitanti della contea di Lamu, arcipelago di isole di mangrovie che una volta ospitavano resort molto affollati. Da quando sono diventati uno dei luoghi di rifugio dei terroristi, è sconsigliato viaggiare da quelle parti.
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A Kilifi i terroristi di Al Shabaab sono una presenza più recente. Il gruppo di fondamentalisti islamici ha cominciato a penetrare in Kenya dal 2011, quando il governo di Nairobi ha cominciato a sostenere il governo di transizione somalo nella lotta interna al terrorismo.
Al Shabaab usa il riscatto dei rapimenti come principale fonte di sostentamento dell’organizzazione, famosa anche per atti di pirateria nella zona del Golfo di Aden (in diminuzione).
I returnees, i fuoriusciti di Al Shabaab
Nella contea, a febbraio 2018 hanno fatto ritorno 40 “returnees”, ossai giovani che si stavano formando nei campi di addestramento di Al Shabaab e che hanno deciso di costituirsi. Il premio è l’amnistia, a cui fa seguito un periodo di riabilitazione in centri di recupero nazionali (soprattutto a Mombasa, la città principale della contea confinante). Non sempre, però, questo processo di recupero avviene come previsto. Alcuni returnees, infatti, temono comunque di finire nelle mani della giustizia e si nascondono nella foresta.
Al di là del fiume Galana, dove sono fuggiti i rapitori di Silvia Romano, media locali riportano che ci siano nascondigli dei returnees e probabilmente anche di miliziani Al Shabaab. Spesso chi non riesce a rientrare nei programmi di recupero nel governo finisce a vivere in condizioni di marginalità. Il consumo di droga nell’area è consistente, vista la vicinanza con il porto di Mombasa, uno degli hub principali in Africa.
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Le violenze del governo del Kenya sui presunti terroristi
Se il tentativo di recupero dei giovani returnees è sulla carta molto valido, dall’altro non lo è la reazione puramente repressiva delle forze di polizia. Uno dei principali problemi del Kenya in termini di rispetto dei diritti umani fondamentali sono le “esecuzioni extragiudiziali”. Si tratta di omicidi di presunti terroristi o oppositori politici senza che nemmeno venga aperto un processo. C’era pure un’unità della polizia dedicata, la Death Squad, sulla quale Al Jazeera ha fatto un documentario nel 2014.
Paradossale è anche il fatto che le organizzazioni locali che cercano di prevenire il terrorismo o di recuperare i giovani returnees siano poi accusate di collaborare con Al Shabaab. I casi riportati di uccisioni senza processo sono numerosi. L’organizzazione per i diritti umani Haki Africa a dicembre 2016 riportava che nella sola area di Mombasa tra il 2012 e il 2016 ci sono state 81 esecuzioni. Questo inevitabilmente diventa uno degli argomenti con cui l’organizzazione recluta nuovi ragazzi, che vogliono combattere contro questa palese ingiustizia.