Yazidi: persecuzioni e violenze sulle donne nel racconto di Lamiya
Gli yazidi sono perseguitati dai musulmani iracheni e dall'Isis da tantissimo tempo. Ma dal 2014 è in atto un inasprimento verso questo popolo vittima di genocidio. I morti sono migliaia, insieme a schiavi e donne che hanno subito violenza. Chiamati "adoratori del diavolo", sono colpevoli solo di rifiutare l’Islam. Il racconto della cugina della Nobel Nadia Murad
I segni della violenza, Lamiya Aji Bashar li porta in volto e negli occhi. O meglio, nell’unico occhio che le è rimasto dopo che le è esplosa una mina sotto ai piedi durante un tentativo di fuga dagli aguzzini dell’Isis. Zoppica, e il corpo esilissimo è pieno di segni e cicatrici a memoria delle violenze fisiche e sessuali subite da Daesh dopo 20 mesi di prigionia.
Lamiya parla con Osservatorio Diritti a Lugano, a margine del Film Festival Diritti Umani, dove tra le tante pellicole viene trasmesso On her shoulders, un documentario che racconta la storia di sua cugina, Nadia Murad, che quest’anno ha vinto il Nobel per la Pace insieme a Denis Mukwege, medico della Repubblica democratica del Congo. E che due anni fa, con la cugina Lamiya, aveva ritirato dal Parlamento europeo il Premio Sakharov «destinato a personalità e organizzazioni che difendono i diritti umani».
Yazidi: bambini soldato e donne violentate e vendute
Lamiya ha l’aria spaventata e stanca, ma non ha paura. Ha il volto irrimediabilmente tumefatto. Uno scricciolo che si fa fatica a capire come abbia potuto subire violenze indemoniate e passaggi da un uomo all’altro, come merce. Tuttavia il coraggio di scappare l’ha trovato. E la sua denuncia è chiara:
«Non ci sarà mai speranza per me e per la mia gente fino a quando l’esercito dello Stato Islamico continuerà ad uccidere i nostri uomini e a stuprare le nostre donne».
Era l’agosto 2014 quando Daesh attaccò la regione del Sinyar, Iraq. Facendo 10 mila morti e 4 mila dispersi, la gran parte perita di stenti nel tentativo di lasciare la zona. 6.500 tra donne e bambini vennero catturate e, di questi, ne mancano all’appello 3.100.
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«Era un giorno come tanti, a Kocho. Stavamo fuori a fare le solite cose, quando arrivarono», ricorda Lamiya. «Tutti hanno cominciato a scappare, gli uomini venivano uccisi e donne e bambini catturati per essere portati a Mosul». E così cominciò l’inferno:
«I bambini maschi finirono tra i militari che li addestravano. Noi donne tra i militari che ci violentavano giorno e notte per poi venderci ai civili. Sono passata di proprietà sette volte. Hanno stuprato davanti a me mia cugina di 9 anni».
L’Isis e gli yazidi: la cugina di Nadia Murad si racconta
Il progetto di pulizia etnica prosegue tuttora, anche dopo le denunce delle due cugine. Alla domanda se qualcuno – polizia, Onu, istituzioni – abbia mai riportato Lamiya sul posto per riconoscere almeno i luoghi del delitto piuttosto che gli aguzzini, la risposta è «No». Ma saprebbe riconoscere quei posti, portare la polizia e ricordare i volti di chi l’ha violentata? «Sì».
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È un sogno infranto, quello di Nadia. «Volevo fare l’estetista, volevo far belle le donne», 20enne che ora tenta di ricostruirsi volto e vita in Germania. La cugina di Nadia Murad ricorda così quel giorno di agosto:
«Ci hanno caricati tutti su un autobus e portati nella roccaforte di Mosul, in una specie di prigione. Eravamo centinaia tra donne e bambini, anche molto piccoli, che gli uomini si scambiavano come fossero cose. Una sera un uomo venne da me. Mi ha picchiata e portata in una stanza con altri soldati. Sono svenuta. Solo in Europa ho trovato ascolto. Nessuno prima me lo voleva dare».
Conclude Lamiya. «Noi ci battiamo affinchè il mondo si renda conto di quello che succede. Non vogliamo scatenare una guerra, ma vogliamo che qualcuno fermi questa guerra, la smetta di armare i musulmani che ci perseguitano».
La pubblicità del genocidio contro gli yazidi
Ancora più terrificante è la pubblicità che gli iracheni fanno del genocidio, alimentandolo e incitandolo attraverso i social media a fanfare spiegate. I carcerieri giustificano le violenze con un pretestuoso rimando all’Halal, ossia all’elenco di ciò che è permesso dalla religione islamica.
Addirittura via social trattano cifre dai 5 ai 10 mila euro con le famiglie per restituire le figlie che non servono più. “Sabaya” le chiamano, schiave. Del sesso in primis, ma anche di casa, dove sotto lo schiaffo della violenza sono costrette a fare i lavori più umili e a passare di mano in mano a prezzi sempre più bassi, come auto usate che negli anni perdono smalto. Fino a tornare a casa, ridotte in brandelli e dietro il pagamento di un riscatto.
Chi sono e dove vivono gli Yazidi, “adoratori del diavolo”
Da secoli gli yazidi subiscono violenze e persecuzioni perché ai vicini di casa e ai militanti dell’Isis la loro religione dà fastidio. Pacifisti, non armati, gli yaziri sono un popolo di circa 300 mila anime e il gruppo principale vive in Iraq.
La diaspora per fuggire alle persecuzioni islamiche li ha portati in Siria, Iran, Anatolia e nel corso dei secoli hanno subilto persecuzioni continue. Li chiamano “adoratori del diavolo” solo perché il principale simbolo della loro religione è l’Angelo Pavone che, purtroppo, assomiglia iconograficamente al Diavolo, l’angelo ribelle islamico.
Campo profughi in Siria ospita yazidi iracheni – Foto: Rachel Unkovic – International Rescue Committee (via Flickr)
Nei giorni scorsi un rapporto della Federazione Internazionale per i diritti umani e della Kinyat Organization for documentation ha lanciato l’allarme, intervistando appartenenti all’etnia che hanno raccontato quello che hanno subito durante la cattività.
Gli yazidi, ritenendosi unici veri discendenti di Adamo, non accettano matrimoni interreligiosi e conversioni. Praticano digiuno, monogamia e circoncisione e sono tendenzialmente miti e pacifisti. È una religione monoteista la cui origine è discussa in ragione anche dell’accentuato esoterismo delle sue dottrine che consentono solo agli iniziati di accedere al suo nucleo più autentico.
È diffusa nelle regioni del Sinyar iracheno da prima della comparsa dell’Islam. Faziosi islamici li chiamano “spegnitori di lampade”, in quanto sostengono che facciano uso sfrenato di libertinaggio e promiscuità. In realtà, però, gli yazidi sono convinti che il mondo sia stato creato da Dio grazie a sei angeli: «Dalla sua essenza e dalla sua luce, dopo aver creato sei angeli… come quando l’uomo accende una lampada da un’altra».
Sulle conversioni, però, sono intransigenti: nel 2007 Du’ a Khalil Asvad, una 17ettenne curda di fede yazida, è stata uccisa a calci e pietre solo per essere stata vista passeggiare con un ragazzo di un’altra etnia.
L’attacco di Saddam Hussein e l’accoglienza dei curdi
Tra il 1987 e il 1988 Saddam Hussein decise di classificarli come “arabi” in modo da falsare gli equilibri etnici della regione, salvo poi relegarli negli angoli piu reietti del Paese. Non contento, tentò di sopprimerli tutti, ma riuscì a farne fuori “solo” 10 mila, mentre gli altri si trasferirono in una colonia montuosa della Siria, finché, nel 2003, i curdi li accolsero tra il loro popolo.
Nel 2014 la persecuzione è ricominciata sotto Abu-Bakr Al-Baghdadi. Stime dell’Onu parlano di 50 mila yazidi che hanno abbandonato la loro terra negli ultimi 4 anni. E da lontano continuano a lottare sognando di tornarci.