Sud Sudan: diritti umani violati nel paese in guerra

Un report dell'Alto commissariato Onu per i Diritti umani fa luce sugli attacchi dell'esercito di liberazione popolare sudanese contro i civili in Sud Sudan. Colpiti almeno 28 villaggi, rapiti 887 civili, oltre 500 donne vittime di violenza sessuale e bambini soldato reclutati con la forza

Attacchi in almeno 28 villaggi; 887 civili rapiti, di cui 505 donne e 63 ragazze, molte delle quali con tutta probabilità vittime di violenza sessuale o ridotte in schiavitù; uomini e ragazzi reclutati con la forza per ingrossare le file dell’esercito e prendere parte alle ostilità. A documentare i drammatici numeri della guerra in Sud Sudan è l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, in un report  che fa luce sugli attacchi perpetrati dall’esercito di liberazione popolare sudanese contro i civili negli stati di Gbudwe e Tambura, solo tra aprile e agosto 2018.

Guerra civile in Sud Sudan: il contesto storico

L’esordio del conflitto in Sud Sudan si fa risalire al dicembre 2013, a Giuba, nella parte settentrionale del paese, per raggiungere l’Equatoria occidentale solo tra il primo e il terzo trimestre del 2015. Tra febbraio e giugno 2015, infatti, si è registrato un aumento dei conflitti tra gli agricoltori locali dell’Equatoria occidentale e allevatori di bestiame Dinka migranti provenienti da Jonglei.

Molti dei campi di bestiame erano sotto protezione delle forze pro-Machar e, a fine maggio 2015, queste dispute si sono intensificate e hanno portato a scontri tra questo fronte dell’esercito con i gruppi armati locali di difesa guidati da Alfred Fatuyo e il Movimento di liberazione nazionale del Sud Sudan guidato da Victor Wanga. Scontri che hanno causato numerose vittime civili, violenze sessuali e lo spostamento di quasi 40 mila civili nella città di Mundri e nell’area circostante.

La mappa del Sud Sudan (capitale Giuba)

Sud Sudan cartina
La cartina del Sud Sudan (via Wikipedia)

Sud Sudan 2018: da accordo di pace a attacchi ai civili

Per quanto non siano mancati i “tentativi” di pace – a novembre del 2015 e aprile del 2016 furono firmati due accordi di pace con il governo del Sud Sudan – la situazione è nuovamente cambiata quando Fatuyo e le sue forze si sono unite alle forze pro-Machar. Il periodo tra marzo e aprile 2018 è stato un momento spartiacque nel recente conflitto in Equatoria occidentale.

Il ritorno di alcuni comandanti dell’esercito pro-Machar dopo diversi mesi di assenza ha portato a uno spostamento tattico da parte delle forze armate. Questo ha portato all’intensificarsi degli attacchi contro i civili, in particolare negli stati di Gbudwe e Tambura, a causa del nuovo supporto logistico e della fornitura di armi.

Diritti umani in Sud Sudan: gli abusi delle forze armate

Ad aprile, con il ritorno di alcuni dei suoi comandanti e nuovi supporti logistici e la fornitura di armi, l’esercito di liberazione popolare sudanese pro-Machar ha intensificato gli attacchi, anche contro i civili, attraverso gli stati di Gbudwe e Tambura. Usando tattiche predatorie, gli attacchi erano caratterizzati principalmente da rapimento di adulti e bambini per reclutamento forzato e violenza sessuale, incluso lo stupro e schiavitù sessuale, saccheggio di proprietà civili e sfollamenti forzati. E non sono mancati, in alcuni casi, anche omicidi.

Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Dirittinewsletter osservatorio diritti

Gli attacchi contro i villaggi sono effettuati soprattutto di notte o alle prime luci dell’alba per sorprendere gli abitanti durante il sonno. I militari delle forze armate, spesso vestiti con divise di servizio di polizia, ma anche uniformi militari e abiti civili, si introducono nei villaggi con fucili, machete, mazze e bastoni di legno. Si parla di attacchi ad almeno 28 villaggi e un campo profughi.

Durante questi attacchi, l’esercito pro-Machar ha rapito oltre 887 civili, principalmente per aumentare il numero di combattenti attraverso il reclutamento forzato, mentre donne e ragazze sono state sottoposte a violenza sessuale. Si parla di 505 donne, 278 uomini, 63 ragazze e 41 ragazzi.

Reclutamento dei bambini soldato per alimentare il conflitto

Dopo il rapimento da parte delle forze armate, i civili sono stati costretti a diventare combattenti. Dopo l’addestramento e l’armamento, c’era solo una scelta per le reclute: obbedire e partecipare al conflitto. La divisione per i diritti umani della missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan ha documentato che almeno 26 dei 41 ragazzi rapiti sono stati reclutati come bambini soldato dall’esercito di liberazione popolare sudanese pro-Machar.

«Anche i ragazzi – raccontato un ex bambino soldato di 17 anni – sono diventati soldati. Gli è stato insegnato come cacciare e macellare una capra. Gli è stato detto che la macellazione della capra è simile all’uccisione di un uomo. Gli è stato detto che se sono riusciti a uccidere una capra, allora sono pronti a massacrare un uomo».

I bambini venivano usati per diverse funzioni. I ragazzi di età inferiore ai 15 anni, ad esempio, sono stati utilizzati come osservatori prima di effettuare il saccheggio o le imboscate stradali. In altre situazioni, i comandanti avrebbero usato ragazzi e ragazze come aiutanti nelle faccende domestiche, come cucinare e pulire.

Leggi anche: Sud Sudan: nuove sanzioni Usa, ma la guerra civile continua

Ex bambini soldato che sono stati arruolati per diversi anni ma che sono fuggiti, hanno confermato che i bambini venivano anche usati nelle ostilità, compresi gli attacchi contro i civili.

Sud Sudan
Bambini soldato a Yambio (Sud Sudan) – Foto: UNICEF/UN0202141/Rich

Uno di loro, rapito nel 2014 all’età di 14 anni, ha dichiarato di essere stato coinvolto nella conduzione di operazioni armate nei villaggi intorno a Li-rangu.

La situazione delle donne in Sud Sudan: notizie di stupri di gruppo e schiavitù sessuale

Oltre al reclutamento forzato, i comandanti dell’esercito di liberazione popolare sudanese pro-Machar hanno anche rapito donne e ragazze che hanno sottoposto a diverse forme di violenza sessuale. L’Alto commissariato Onu per i rifugiati ha documentato 43 casi di stupro/stupro di gruppo avvenuti durante gli ultimi attacchi.

Una 15enne sopravvissuta di Bazungua ha spiegato come sia stata legata a un albero e violentata da due combattenti fino a svenire a causa del dolore e del sanguinamento, per poi essere stata minacciata nuovamente di stupro quando ha ripreso conoscenza.

«Ero molto stanca e dolorante. Sono svenuta dopo essere stato stuprata. Quando ho ripreso conoscenza, uno di loro mi ha parlato Azande e mi ha detto: “Stai solo fingendo di sentire dolore. La prossima volta che fingi di svenire, ti stupreremo di nuovo”».

C’è poi la scelta delle “mogli”. Si parla di ragazze dell’età di 12 anni, allineate davanti ai combattenti per essere scelte in moglie e costrette a rimanere con lo stesso comandante per diverse settimane, prima di “passare” ad altri combattenti. Gli abusi sessuali cessano solo quanto le donne rapite diventano combattenti. In totale si parla di almeno 505 donne e 63 ragazze rapite tra aprile e agosto.

I crimini di guerra in Sud Sudan: maltrattamenti durante i saccheggi

Un’altra caratteristica delle tattiche utilizzate dalle forze armate è il saccheggio della proprietà civile. L’indagine dell’Unhcr ha stabilito che durante gli attacchi a villaggi e insediamenti, i combattenti radunerebbe i civili per il rapimento, per iniziare subito dopo a chiedere denaro e saccheggiare generi alimentari, oggetti di valore, vestiti e bestiame. Non sono mancati attacchi contro camion commerciali e ambulanze.

Leggi anche: In Sud Sudan si muore di fame

E non sono stati risparmiati i convogli umanitari. A maggio, ad esempio, in due agguati separati a Yangiri, nella contea di Ezo (stato di Tambura), operatori umanitari (compresa una donna) sono stati rapiti e portati a Nadiangere, dove sono stati tenuti prigionieri per quattro giorni e sottoposti a estorsione.

Anche i convogli di attori umanitari che trasportano assistenza sono caduti in un’imboscata stradale e sono stati saccheggiati, in particolare nelle aree intorno alla strada Tambura-Yambio. L’indagine ha documentato almeno due attacchi a veicoli umanitari, inclusa un’imboscata a un’ambulanza che trasportava una paziente e un bambino di sei mesi dal campo profughi di Makpandu all’ospedale di Yambio. La paziente è stato presumibilmente violentata per sei giorni consecutivi dai suoi rapitori prima di essere rilasciata. Mentre il bambino è morto prima di raggiungere l’ospedale di Yambio.

Sulle modalità con cui le forze armate danno seguito ai saccheggi, l’indagine mette in risalto le minacce e percosse ai danni dei civili a colpi di bastoni di legno e fruste per costringerli a dare via i loro possedimenti. Ma anche forme di maltrattamento più pesanti: nel villaggio di Bazungua, ad esempio, i combattenti avrebbero bruciato, a intervalli, un civile usando plastica fusa, per costringerlo a dare loro i soldi.

Violazioni dei diritti umani internazionali

Il report racconta come almeno 14 civili, tra cui tre donne, sarebbero stati uccisi durante la riconquista di Nagero. Secondo quanto riporta l’indagine, uno è stato giustiziato mentre gli altri tre, che erano anziani o persone con disabilità e quindi incapaci di fuggire, sono stati bruciati vivi nelle loro fattorie.

Leggi anche: In Sud Sudan è vietato informare

Durante la visita a Nagero il 27 luglio, la divisione Diritti umani della missione Onu in Sud Sudan ha documentato che un numero elevato di proprietà civili era stato completamente distrutto e bruciato e registrato il saccheggio di otto strutture sanitarie a conduzione umanitaria e cinque scuole primarie.

Gli sfollati: nel 2018 oltre 21 mila provenienti da Nagero

La natura predatoria degli attacchi ha costretto i civili, in particolare dei villaggi intorno alla città di Yambio (come Bazungua, Saura e Bazumburu) a lasciare o fuggire dai loro villaggi per andare verso luoghi considerati più sicuri, come i centri urbani o gli insediamenti di sfollati interni, principalmente Yambio, Makpandu e Rimenze. Lo spostamento forzato di civili è stato documentato principalmente a Nagero e Tambura. A metà giugno gli attori umanitari hanno stimato il loro numero a circa 18 mila.

Nel frattempo, più di 2 mila sfollati sono fuggiti a Bazia Payam nella contea di Wau. L’11 agosto, oltre 4 mila sfollati sono stati trasferiti a Mabia, seguiti alcuni giorni dopo da oltre 17 mila sfollati interni. Alla fine di agosto, Mabia ospitava ufficialmente 21.229 sfollati provenienti da Nagero.

La situazione politica: l’impegno della missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan

La missione Onu in Sud Sudan ha sostenuto molteplici iniziative di pace per porre fine alle ostilità tra i gruppi armati di opposizione e il governo nell’Equatoria occidentale. Secondo l’Unicef, questi sforzi hanno portato in particolare alla liberazione, nel 2018, di oltre 745 bambini.

A luglio il rappresentante speciale del segretario generale in Sud Sudan e il suo vice si recarono a Gbudue e Tambura per incontrare le autorità locali e affrontare la protezione e le preoccupazioni umanitarie di sfollati e rifugiati. All’inizio di settembre, il segretario generale ha avuto un incontro con il leader delle forze armate, Riek Machar, nel Khartoum, durante il quale ha espresso preoccupazione per gli abusi denunciati.

Sud Sudan guerra
Uno dei bambini soldato reclutati con la forza in Sud Sudan. Foto: UNICEF/NYHQ2015-0120/Mariantonietta Peru

Con l’escalation della violenza, l’Unhcr ha rafforzato la sua presenza nell’Equatoria occidentale attraverso il dispiegamento di funzionari dei diritti umani per indagare sulle accuse di violazioni e abusi dalle parti in conflitto e per difendere il rispetto dei loro diritti umani internazionali e obblighi di legge umanitaria. L’Unhcr ha sostenuto l’azione per fermare le molestie, le uccisioni, l’incendio di case civili e gli attacchi civili a Yambio.

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.