Centro America in movimento tra Carovana delle madri e bimbi migranti
Parte oggi la Carovana di madri centroamericane alla ricerca dei propri figli desaparecidos. Un viaggio che incrocerà l'incontro mondiale di madri di migranti scomparsi. Nel frattempo, l'Unicef denuncia la situazione dei bambini migranti in Centro America
Parte oggi, 23 ottobre 2018, la 14esima Carovana di madri centroamericane alla ricerca dei propri figli desaparecidos. Un percorso che comincia a Ciudad Hidalgo, una località al confine tra Messico e Guatemala, in Chiapas, e che si concluderà il 7 novembre. Dopo aver attraversato 12 Stati messicani e dopo aver percorso 4 mila chilometri. Uno sforzo che ha un obiettivo ben preciso: denunciare le politiche di gestione dei flussi migratori e chiedere risposte per i propri cari scomparsi. Il tema principale della carovana è infatti “il diritto alla verità e alla giustizia”.
Madri da diversi Paesi s’incontrano in Messico
A Città del Messico le madri centroamericane parteciperanno all’incontro mondiale di madri di migranti scomparsi, che è in programma dal 2 al 4 novembre nell’ambito del Forum sociale mondiale delle migrazioni. Per la prima volta, alcune madri in arrivo dai Paesi del Maghreb – Mauritania, Senegal, Algeria, Tunisia, oltre che da Spagna e Italia – incontreranno quelle che arrivano dai Paesi asiatici che si affacciano sull’Oceano Pacifico, quelle che vivono negli Stati Uniti e in Nicaragua, El Salvador, Guatemala e Messico.
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Il Movimento Migrante Mesoamericano in un comunicato chiarisce che l’incontro mira a «mettere in rete le organizzazioni tra i familiari (dei migranti desaparecidos, ndr), e in particolare le madri, soggetti che condividono una lotta per incontrare i propri cari e riunire le famiglie “rotte” dai fenomeni di allontanamento forzato, perché possano scambiarsi esperienze di ricerca e di cura, alimentare la speranza e riconoscere che il problema della scomparsa di persone in movimento è mondiale ed estremamente complesso».
Negli Stati del Centro America per “diritto alla verità”
La Convenzione americana sui diritti umani, firmata nel 1968 a San José, in Costa Rica, riconosce all’articolo 25 il diritto delle famiglie di conoscere la sorte dei propri cari. Sono troppi, però, quelli che scompaiono o muoiono cercando di raggiungere gli Stati Uniti d’America.
Lo ha denunciato, tra gli altri, Bartolo Fuentes, giornalista, attivista ed ex deputato in Honduras, tra i promotori della Carovana di oltre 2 mila migranti honduregni che il 13 ottobre scorso s’è messa in marcia da San Pedro Sula verso gli Usa.
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Dal 2013 nel Paese centroamericano sono rientrati 1.300 corpi, 200 nel solo 2018. Altri sono sepolti per sempre nel deserto. Gli Stati di attraversamento, e su tutti il Messico, dovrebbero garantire ai migranti condizioni sicure di attraversamento.
Unicef su bambini migranti in Messico e Centro America
Un rapporto dell’Unicef, Sradicati, ha acceso i riflettori su un’altra situazione drammatica, quella dei bambini che attraversano il Messico e il Centro America. In particolare, giovanissimi, ragazzi e famiglie migranti sono costrette ad affrontare sfide e pericoli nel difficile processo di migrazione e rimpatrio.
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Il Fondo Onu per l’infanzia mette in evidenza come «la decisione di abbandonare il proprio Paese è normalmente dolorosa e motivata dall’interazione tra più fattori, come la povertà assoluta, la minaccia costante di violenza, la presenza di scarse opportunità educative per i bambini e un profondo desiderio di riunirsi con familiari che sono già emigrati». Una sintesi sulle cause delle migrazioni che potrebbe essere applicata a tantissimi contesti e storie. I piccoli Sradicati, come spiega il titolo, spesso senza alcun sostegno di un adulto, affrontano situazioni di estremo pericolo.
Mappa dei bambini migranti in Centro America: i dati
Le statistiche ufficiali citate nel rapporto dell’Unicef rilevano che tra il 2016 e l’aprile 2018 ben «68.409 bambini migranti sono stati detenuti in Messico»: tra questi, il 91% sono stati espulsi verso l’America Centrale. Dei 96.216 migranti rimpatriati dal Messico e dagli Stati Uniti fra gennaio e giugno di quest’anno, invece, ben 24.189 sono donne e bambini: oltre il 90% è stato espulso dal Messico.
«Milioni di bambini nella regione sono vittime di povertà, indifferenza, violenza, migrazioni forzate e paura di essere espulsi. In molti casi, i bambini che sono rimandati nei loro Paesi d’origine non hanno nessuna casa in cui tornare e finiscono per essere sommersi dai debiti o sono presi di mira dalle gang criminali. Essere riportati a situazioni invivibili rende più probabile una nuova migrazione», ha detto Marita Perceval, direttore regionale dell’Unicef per l’America Latina e i Caraibi.
Honduras, Guatemala, Messico: Eric, migrante centroamericano a 9 anni
Eric, che oggi ha 18 anni, vive in Honduras con la sorella. È stato un bambino migrante, a 9 anni di età. Dopo esser stato espulso, oggi è rimasto a vivere nel Paese centro americano con la sorella più piccola. La madre è tornata ad attraversare la frontiera. «Mia madre era disperata perché non trovava lavoro», ha raccontato ai redattori del rapporto.
«Cercava il modo di poterci alimentare. Era senza speranze, però, e per questo decise che tutti insieme saremmo andati negli Stati Uniti per poter accedere a un’educazione migliore e avere una qualità di vita più alta: voleva il meglio per noi».
Dopo aver attraversato il Guatemala in autobus, la famiglia entrò in Messico e lì tutto cambiò. «A un posto di blocco un poliziotto, che aveva con sé una pistola, mi fece scendere dal veicolo su cui ci stavamo spostando. Disse: “Bambino, scendi dall’auto, per favore!”. Mi trattarono come un delinquente. Trattarono un bambino di nove anni come un delinquente, puntandomi la pistola alla testa. tremavo per la paura».
Quella di Eric (il nome è di fantasia), che ancora soffre i disagi psicologici di quell’esperienza, è una storia tra tante. Nove anni fa, nel 2009, in Honduras c’è stato un colpo di Stato e da allora la situazione non è più tornata alla normalità.
In viaggio dall’America Centrale al Nord America: cause delle migrazioni
L’Unicef ha invitato i governi di El Salvador, Guatemala e Honduras a lavorare insieme alla ricerca di soluzioni che aiutino a ridurre le cause scatenanti delle migrazioni irregolari e forzate e a tutelare il benessere dei bambini rifugiati e migranti durante il viaggio. Intanto, però, la povertà non risparmia nessuno di questi Paesi: in El Salvador, Guatemala e Honduras, rispettivamente, il 44, il 68 e il 74% dei bambini vive in povertà.
Si arriva a chiedere dei prestiti per migrare in maniera irregolare verso gli Stati Uniti e questo fa sì che ci si trovi spesso in una situazione finanziaria assolutamente precaria qualora vengano «fermati e rimandati indietro senza denaro», spiega l’Unicef. In questo modo, ci si ritrova «impossibilitati a ripagare i prestiti: questa pressione economica può lasciare i bambini e le famiglie senza casa o senza le risorse necessarie per pagare i beni di prima necessità».
Perché se ne devono andare: violenze sui bambini
Uno dei fenomeni da cui molti bambini fuggono è quello delle gang, una violenza pervasiva in molte comunità dell’America centrale e settentrionale, con bambini presi per reclutamento, abusi o persino omicidio. Il rapporto del Fondo Onu per i bambini, per esempio, cita il caso di Pilar, una ragazza di 15 anni originaria della citta di El Progreso, in Honduras. I ricercatori l’hanno incontrata in Guatemala, dove sta cercando di ottenere asilo politico con i genitori e un fratello di 7 anni. È stata minacciata di morte dalla “mara B18”, una gang, per aver rifiutato di prostituirsi.
Le statistiche evidenziano che fra il 2008 e il 2016 in Honduras è stato ucciso in media quasi un bambino ogni giorno. Analogamente, in El Salvador, 365 bambini sono stati uccisi nel 2017, mentre l’anno scorso in Guatemala sono stati segnalati 942 casi di morti violente di bambini.
«I bambini e le famiglie che migrano a causa di minacce di violenza possono essere esposti a un rischio ancora maggiore se sono costretti a ritornare, senza nessun supporto o protezione, nelle comunità in cui erano precedentemente in pericolo. Molti rimpatriati finiscono per diventare sfollati interni perché per loro è insicuro tornare a casa», spiega l’Unicef.
Rispediti ai Paesi d’origine da Stati Uniti o Centro America
Chi è forzato al rientro nel proprio Paese d’origine è posto nella condizione di affrontare problemi all’interno della propria comunità. I bambini e le famiglie rimpatriate vivono spesso una condizione di stigmatizzazione a causa del tentativo fallito di arrivare in Messico o negli Usa. Secondo l’Unicef, «questo può rendere ancora più difficile per i bambini rimpatriati reintegrarsi a scuola e per gli adulti trovare un lavoro».
Un’altra politica lesiva dei diritti umani – resa famosa negli ultimi mesi dalle foto di gabbie per bambini migranti negli Stati Uniti – è quella della separazione familiare. La detenzione dei minori da parte delle autorità competenti in materia di migrazione sono, scrive ancora l’Unicef, «esperienze fortemente traumatizzanti che possono pregiudicare lo sviluppo a lungo termine del bambino».
Secondo l’Onu, l’alternativa è tenere le famiglie unite e supportare alternative alla detenzione con «misure fondamentali per assicurare il superiore interesse dei bambini migranti e rifugiati». Tra queste sono prioritarie la protezione dei bambini in transito e quando raggiungono le loro destinazioni, la garanzia di accesso a servizi essenziali durante il percorso migratorio e la protezione e il supporto necessari per una reintegrazione efficace, qualora vengano espulsi nel Paese d’origine.