Congo: elezioni 2018 in una situazione di «non guerra non pace»
Intervista al Premio Nobel per la Pace 2018 Denis Mukwege, insignito per il suo impegno a favore delle donne vittime di stupri di guerra nel suo ospedale di Bukavu, Sud Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo. Dove a dicembre sono previste elezioni presidenziali, già rinviate più volte da Joseph Kabila
Denis Mukwege, il medico congolese che ha dedicato la sua vita ad assistere le donne vittime di stupri di guerra, il 5 ottobre scorso è stato insignito, insieme all’attivista yazida Nadia Murad, del Premio Nobel per la Pace. Un riconoscimento per cui era candidato da anni, già da quando, nel 2014, il Parlamento euopeo gli aveva assegnato il Premio Sacharov come difensore dei diritti umani.
63 anni, figlio di un pastore pentecostale, Mukwege ha salvato oltre 40 mila donne vittime di violenza nel suo ospedale di Panzi, a Bukavu, nel Sud Kivu: non solo ha curato le loro ferite, ma le ha aiutate a reinserirsi nella comunità e a chiedere giustizia per gli abusi subiti. Che il medico ha sempre definito «non effetti collaterali di un conflitto, ma crimini di guerra veri e propri».
Personalità carismatica, Mukwege nel 2017 è stato chiamato da una parte dei movimenti popolari antigovernativi a candidarsi in un eventuale “governo di transizione” che permettesse la fine del dominio “fuorilegge” di Kabila (la cui presidenza è scaduta nel 2016) e preparasse le elezioni nella Repubblica Democratica del Congo, più volte rinviate e ora previste per il 23 dicembre 2018.
Formalmente ad agosto Kabila ha rinunciato a ricandidarsi (possibilità che, peraltro, gli era preclusa per legge, avendo già concluso due mandati) e al suo posto il Pprd, il Partito del Popolo per la ricostruzione e la democrazia, ha candidato il suo fedele delfino, Emmanuel Ramazani Shadary, conosciuto per aver represso nel sangue le manifestazioni contrarie al regime.
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A due mesi dalle presidenziali ancora non si sa se le elezioni potranno tenersi regolarmente. Non solo per l’alto livello di corruzione nelle istituzioni, ma anche per l’instabilità politica che permane in diverse regioni. Focolai di guerriglia, infatti, scoppiano continuamente, soprattutto nel Nord Kivu, dove gli sfollati, secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, sono ormai più di un milione.
L’ultimo episodio si è verificato a Beni a fine settembre, dove una trentina di persone sono state massacrate sotto gli occhi dell’esercito e della Monusco, il contingente di pace dell’Onu in una zona dove, tra l’altro, si registrando una pericolosa recrudescenza del virus ebola.
Tra i maggiori conoscitori della situazione locale, dunque, c’è il dottor Mukwege. Che Osservatorio Diritti aveva intervistato lo scorso novembre, quando era stato ospite a Torino del Centro Piemontese di Studi Africani proprio per denunciare l’impunità degli stupri di massa di fronte all’indifferenza del suo governo e della comunità internazionale. Un’intervista rimasta inedita fino a oggi.
Qual è la situazione dei diritti umani nella Repubblica Democratica del Congo?
Oggi possiamo dire che lo stato dei diritti umani si è molto deteriorato. Il governo attualmente in carica utilizza la strategia del caos per prolungare il suo potere: siamo di fronte al rinascere di nuovi gruppi armati ed equipaggiati per ricominciare la guerra, e sappiamo che quando c’è la guerra non solo i diritti delle donne e dei bambini vengono violati, ma anche i difensori dei diritti umani sono sotto inchiesta e i giornalisti vengono messi in prigione. In particolare le associazioni senza scopo di lucro sono sotto il mirino del governo e non abbiamo di fronte a noi prospettive di miglioramento in Congo. Siamo molto preoccupati.
Le elezioni in Congo del 2018 sono state rimandate a lungo da Kabila. Quali sono le prospettive future?
Il fatto di posticipare le elezioni è anticostituzionale e fa sì che tutte le istituzioni in Congo siano illegittime, dal presidente della Repubblica al Parlamento fino agli organismi provinciali. In questa situazione aspettare fino alla fine del 2018 vuole dire che tutti gli abusi sono autorizzati dal fatto che ci si muove fuori dalla Costituzione. Sono anche convinto che siamo di fronte a delle manovre di Kabila per rimandare le elezioni a tempo indeterminato e continuare a esercitare il potere illegalmente, contro il volere del popolo congolese. Temo che alla fine a dicembre 2018 non si terranno affatto.
Accetterebbe la leadership in un governo di transizione?
Ho sempre detto che bisogna essere pronti ad assumersi le proprie responsabilità e non ci si può sottrarre alle esigenze del popolo. Ma io vorrei che i congolesi capissero che un governo di transizione non è una finalità a cui tendere ma soltanto l’eventuale inizio di una ricostruzione. Subito dopo dovrebbero infatti tenersi elezioni libere, trasparenti e credibili per permettere al popolo di scegliere i propri rappresentanti e dirigenti futuri, che a loro volta dovrebbero agire non con i mezzi della corruzione, ma con la competenza e la volontà di servire il paese.
Oggi viviamo in un contesto in cui dirigere significa utilizzare il popolo per i propri interessi e invece dobbiamo costruire un sistema in cui chi comanda sia al servizio dei cittadini. Se non abbandoniamo l’uso della corruzione, dell’appropriazione indebita di fondi pubblici, dell’indifferenza verso lo sviluppo del paese, tutti questi antivalori che hanno distrutto lo stato congolese, allora le elezioni da sole non serviranno a niente.
Ci vuole un grande cambiamento di mentalità che ci permetta di recuperare la dignità del popolo congolese, che abbiamo perduto dopo vent’anni di umiliazioni. Se il popolo capisse che si tratta di trasformare alla radice un sistema che sta distruggendo il paese per andare invece verso un sistema totalmente diverso, che metta la persona al centro delle preoccupazioni politiche, questo per me sarebbe il successo più grande.
Come vivono le donne in Congo dopo le violenze in guerra?
Dopo la fine del conflitto armato la situazione delle donne non fa che peggiorare: sempre che la guerra possa dirsi finita, perché stiamo attraversando piuttosto una fase di “non guerra non pace”, in cui l’assenza dello stato di diritto e di leggi che le proteggano fa sì che le donne soffrano molto più di prima. Hanno la responsabilità dei figli che hanno avuto magari in seguito a una violenza sessuale, di cui non conoscono i padri e che vengono rifiutati dalla comunità. Inoltre gli stessi bambini che hanno visto con i loro occhi gli stupri durante la guerra, crescendo riproducono quel modello, perché nessuno li ha educati a rispettare le donne. Oggi le madri si devono battere da sole per mantenere la famiglia, in una situazione in cui gli uomini sono perlopiù assenti.
Credo che la condizione della donna sia diventata molto più difficile durante il conflitto per ogni tipo di abuso fisico, il peso economico della famiglia che devono caricarsi sulle spalle e le discriminazioni che continuano a subire. La rifondazione dello Stato dovrebbe restituire alla donna il posto nella società che ancora le è precluso. Un posto che merita pienamente, perché se non ci fossero state le donne la situazione in Congo sarebbe ormai collassata completamente.