Mutilazioni Genitali Femminili: ecco perché vanno fermate
In occasione della Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze, Osservatorio Diritti propone un approfondimento sulle mutilazioni genitali femminili: cosa sono, qual è il loro significato, cosa dicono Oms e diritto internazionale, perché e in quali paesi del mondo sono praticate. E con quali conseguenze
di Fabiana Fuschi
Oggi è la Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze. E affinché possa davvero servire a qualcosa, Osservatorio Diritti ha deciso di pubblicare proprio in questa occasione un articolo di approfondimento sulle mutilazioni genitali femminili. Una pratica che fino ad appena 25 anni fa, ossia fino alla Conferenza di Vienna del 1993, non era ancora riconosciuta universalmente come una violazione dei diritti umani. Mutilazioni, quelle di cui si tratta in questo articolo, di cui sono ancora vittima tante bambine in tutto il mondo.
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Significato di mutilazioni genitali femminili: cosa sono e in cosa consistono
Per mutilazioni genitali femminili si intendono tutte quelle pratiche volte alla parziale o totale rimozione della parte esteriore dei genitali femminili. Esse sono praticate per ragioni culturali, religiose o di altra natura, che non siano però di carattere terapeutico.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha diviso questo genere di pratiche in quattro diversi tipi, classificandoli a seconda del livello di gravità. Essi sono la clitoridectomia (tipo I), l’asportazione (tipo II), l’infibulazione (tipo III) e, infine, altre pratiche di mutilazione genitale non classificate come l’uso di piercing, la cauterizzazione e taglio della vulva e l’uso di acidi, le quali rientrano tutte nel tipo IV.
Le mutilazioni genitali sono generalmente praticate attraverso l’uso di oggetti rudimentali, quali coltelli, forbici, lamette da barba e, di solito, senza l’uso di alcun tipo di anestetico. La maggior parte delle volte, le mutilazioni sono effettuate senza prendere in considerazione le basilari norme di igiene.
Le conseguenze su donne e bambine
Per questi motivi, le donne, le ragazze e, purtroppo, le bambine che sono sottoposte a mutilazioni riscontrano gravi problemi di salute e psicologici. Esse hanno un tasso di mortalità più alto e possono avere gravi problemi durante il parto.
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Inoltre, queste pratiche risultano in contrasto con i diritti basilari delle donne, sanciti nei vari trattati internazionali, e attentano all’integrità fisica e alla salute mentale e fisica delle donne. Contrastano anche con il principio fondamentale di non-discriminazione sancito nella Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (Cedaw) e nella Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (Crc).
Tra le maggiori conseguenze negative connesse alla pratica della circoncisione femminile, come accennato, ci sono le alte probabilità di riscontrare complicazioni durante il parto che, in casi estremi, possono portare alla morte sia della madre sia del bambino/a.
Tra le conseguenze a breve termine si possono riscontrare emorragie ed infezioni, mentre tra quelle a lungo termine è importante menzionare sterilità, danni agli organi interni e in casi estremi, morte.
Dati Oms e paesi delle mutilazioni genitali femminili
I dati riguardanti la diffusione di queste pratiche sono allarmanti. L’Organizzazione mondiale della sanità stima che più di 125 milioni di donne attualmente in vita hanno subito una qualche forma di mutilazione genitale.
Le percentuali più ampie di mutilazioni genitali si possono riscontrare nell’Africa Subsahariana e nella Penisola Arabica. Alcune statistiche dimostrano che più del 90% delle donne tra i 15 e i 49 anni che vivono in queste due zone hanno subito una qualche forma di mutilazione.
Mgf nel mondo: Somalia, Egitto, Sudan. Ma anche Nigeria e Kenya. E pure Asia, America Latina, Europa
Inoltre, diversi studi documentano l’esistenza di queste pratiche in più di 29 paesi. In alcuni, come la Somalia, l’Egitto e il Sudan, la percentuale di donne, ragazze e bambine mutilate supera l’80 per cento. In Kenya e Nigeria siamo tra il 26% e il 50%, mentre in Camerun, Niger e Iraq i numeri scendono fino al 10 per cento.
Le mutilazioni genitali femminili sono praticate anche da alcuni gruppi etnici in Asia e America Latina e, a causa dell’elevato numero di immigrati che si spostano verso l’Europa e il Nord America, anche in queste zone sono stati riscontrati casi di mutilazioni genitali. Nella sola zona dell’Unione europea si stima che circa 500.000 donne abbiano subito mutilazioni genitali.
Mgf: perché si praticano
Purtroppo esiste ancora molta ignoranza nei confronti di queste pratiche, che generalmente sono associate a motivi di carattere religioso. Le ragioni che stanno dietro alla perpetuazione delle mutilazioni, invece, possono essere varie e non necessariamente legate alla religione.
Esse, infatti, sono spesso giustificate da motivi di carattere culturale, come il mantenimento delle tradizioni, il miglioramento della fertilità, la promozione di una coesione sociale e culturale all’interno delle comunità, la prevenzione della promiscuità, la promozione dell’igiene femminile e la preservazione della verginità.
Infine, a volte, anche il movente religioso e l’adempimento di obblighi relativi alla propria religione possono essere motivi alla base della diffusione di queste pratiche. Nella religione musulmana, in particolare, è usanza etichettare le donne non circoncise come “cattive musulmane”, mentre quelle che accettano la pratica vengono ammirate e lodate all’interno della loro comunità (Little, C.M. “Female Genital Circumcision: Medical and Cultural Considerations“, Journal of Cultural Diversity 10.1 (2003): 30-4. Print).
Inoltre, è usanza associare la circoncisione con la purificazione e la pulizia, due requisiti fondamentali dell’Islam, conosciuti con il nome di Tahara. Tuttavia, è importante sottolineare che all’interno del Corano non c’è alcun riferimento alla necessità di praticare la circoncisione alle bambine e ragazze.
È importante evidenziare che le mutilazioni genitali femminili sono praticate soprattutto in paesi prevalentemente dominati dagli uomini, dove le donne faticano a raggiungere posizioni di spicco e sono generalmente relegate in casa. In questi paesi, il movente religioso e/o culturale si associa alla pressione sociale riguardante la pratica di questa forma di circoncisione femminile. Infatti, a causa soprattutto di motivi religiosi, le donne devono arrivare vergini al matrimonio e quindi, per preservare e proteggere la verginità, sono sottoposte alle pratiche di mutilazione genitale.
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In alcuni paesi, infatti, è usanza comune credere che le ragazze che non vengono sottoposte alle mutilazioni non sono in grado di contenere il loro desiderio sessuale e cerchino perciò di avere rapporti sessuali con chiunque. Il paradosso sta nel fatto che, in genere, gli uomini sanno veramente poco di questi rituali, i quali vengono incentivati e portati avanti dalle donne, le quali credono che, una volta circoncise, le loro figlie diventino più belle e rispettabili.
Escluso il motivo religioso, dunque, alcuni studiosi sono propensi a interpretare l’esistenza di queste pratiche come una forma di controllo sociale di donne e ragazze che vivono all’interno di società prevalentemente patriarcali, dove il loro ruolo si riduce a quello di mogli e madri.
Mgf in punto di legge: cosa dice il diritto internazionale
Le mutilazioni genitali femminili sono considerate una violazione dei diritti umani dal 1993, quando, durante la Conferenza mondiale sui diritti umani svoltasi a Vienna, diverse nazioni hanno preso atto dell’esistenza del problema e, di conseguenza, hanno iniziato a legiferare in merito, proibendo queste pratiche.
Prima del 1993, la risposta delle varie nazioni circa l’urgenza di far fronte al problema era stata quella di “medicalizzare” le circoncisioni facendole praticare da medici specializzati, in modo da ridurre il numero di vittime. Solo a partire dalla Conferenza di Vienna, le mutilazioni genitali femminili sono stata definite come una violazione dei diritti umani.
Esse, infatti, violano il diritto alla vita, il diritto all’uguaglianza e alla non-discriminazione sulla base del genere e sono considerate una forma di tortura e di trattamento inumano e degradante.
Durante la Conferenza di Vienna, le mutilazioni genitali femminili sono state classificate come una forma di violenza contro le donne (violence against women, Vaw), la quale, per la prima volta, veniva riconosciuta come una violazione di diritti umani da proteggere attraverso le norme di diritto internazionale.
Purtroppo, come tutte le pratiche radicate all’interno delle società, le mutilazioni genitali femminili non sono facili da abolire e la semplice creazione di norme e leggi, sia a livello nazionale che internazionale, non è sufficiente. Delle solide leggi sono necessarie per punire coloro che continuano a praticare la circoncisione femminile su bambine e ragazze, ma, allo stesso tempo, c’è urgenza di affiancare la creazione di leggi a processi educativi e a cambiamenti socio-economici e attitudinali.
Infatti, spesso queste pratiche vengono giustificate dietro il cosiddetto “relativismo culturale”, secondo il quale è sbagliato imporre idee occidentali volte all’abolizione di queste pratiche strettamente legate alla cultura e alle tradizioni delle popolazioni che le praticano e che solo dai paesi “occidentali” sono definite come violazioni di diritti umani.
Testimonianze di mutilazioni genitali: il caso Dirie Waris
Per tutti questi motivi, le leggi volte all’abolizione delle mutilazioni genitali sono necessarie ed urgenti, ma devono essere accompagnate da processi dal basso verso l’alto, che possano davvero provocare un cambiamento nelle attitudini delle popolazioni. Ciò di cui hanno urgente bisogno gli Stati sono campagne educative, volte al cambiamento di atteggiamento da parte di coloro che ne sono direttamente interessate: le donne.
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Campagne informative da parte delle organizzazioni internazionali e non governative sono la chiave per permettere alle donne di esaminare le varie opzioni e le conseguenze delle scelte che andranno a fare, in modo da permettere loro di scegliere consapevolmente se essere sottoposte e/o sottoporre le loro figlie alle mutilazioni.
La buona notizia, in ogni caso, è che c’è un alto margine di miglioramento: tanti Stati hanno adottato leggi che proibiscono le mutilazioni e tanti attivisti e persone influenti si sono schierati contro queste pratiche, facendo campagne educative nelle scuole e nei villaggi per educare e creare consapevolezza nelle bambine, ma anche nei bambini.
Un importante esempio è quello di Dirie Waris, una modella somala che da bambina è stata costretta alla mutilazione dalla mamma e dalla nonna. Scappata a Londra all’età di 13 anni, oggi Dierie è la portavoce della campagna delle Nazioni Unite contro le mutilazioni genitali femminili e denuncia costantemente queste pratiche. Il suo libro, Fiore Del Deserto, in cui racconta la sua storia, è diventato simbolo della sua lotta e della lotta di tante altre donne che non accettano la società patriarcale in cui vivono e decidono di combattere. Non sono per loro, ma per dare un futuro migliore a tutte coloro che verranno dopo.
“Il paradosso sta nel fatto che, in genere, gli uomini sanno veramente poco di questi rituali, i quali vengono incentivati e portati avanti dalle donne”
Cosa vuol dire questo discorso, forse le donne che abitano la fascia subsahariana non appartengono alla razza umana e per futili motivi si sottopongono a torture? Mi pare evidente che queste poverette sono costrette a queste pratiche con una violenza che noi neanche immaginiamo. È probabile che la scelta sia muorire a suon di botte o tentare di sopravvivere sottoponendosi a queste mutilazioni, non mi sfugge neppure l’orrore che queste poverette debbano essere sia torturate che torturatrici. É di tutta evidenza che i colpevoli sono gli uomini di quelle società ultrapatriarcali che molto e tutto sanno e molto e tutto impongono con una violenza superiore alle mutilazioni stesse.
Vorrei chiarire una cosa, la religione musulmana non prevede per niente la circoncisione femminile, che in alcuni stati è solo una tradizione e non ha nulla a che fare con l’islam.
È sbagliato parlare di un certo culto o religione senza conoscerne i vari aspetti.
Gentile Lily, grazie per il commento. Ha ragione, lo abbiamo scritto più volte: la religione musulmana non approva in generale la circoncisione femminile. Detto questo, è innegabile che in alcuni Paesi la religione venga “sfruttata” per giustificare questa violazione dei diritti delle donne per altri fini. Grazie ancora!
Buongiorno.
Ho letto con attenzione ed apprezzato il vostro articolo di approfondimento sulle mutilazioni genitali femminili – MGF, molto articolato e focalizzato sulle diverse problematiche collegate alla pratica.
Ho trovato però una inesattezza per quanto riguarda i dati statistici. Attualmente i dati più aggiornati risultano essere quelli pubblicati da UNICEF che valuta il numero delle donne che nel mondo hanno subito una qualche forma di MGF a 200 milioni. Per completezza, unisco qui il link alla pubblicazione UNICEF
https://www.unicef.org/media/files/FGMC_2016_brochure_final_UNICEF_SPREAD.pdf
Cordialmente
Giovanna Ermini
Grazie per la sua integrazione, sarà sicuramente utile ai lettori!