Stefano Cucchi: un film sugli ultimi sette giorni di vita
Viene proiettato stasera a Milano "Sulla mia pelle", il film che racconta la storia degli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi, morto in carcere nel 2009 senza aver potuto incontrare nessuno. Ecco recensione e trailer della pellicola, insieme alla ricostruzione della biografia e del processo seguito alla sua morte
Sulla mia pelle, il film sugli ultimi sette giorni di vita di Stefano Cucchi diretto da Alessio Cremonini, viene proposto stasera dal Festival dei Diritti Umani di Milano, alle 20, al cinema Anteo (ingresso gratuito, prenotazione obbligatoria). E nell’occasione saranno presenti, tra gli altri, anche la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi e l’avvocato Fabio Anselmo.
Il film è già uscito su Netflix, dopo esser stato presentato in anteprima lo scorso 29 agosto al Festival di Venezia, nella sezione Orizzonti, raccogliendo sette minuti di applausi, da una parte, e furenti reazioni da parte dei sindacati di polizia, dall’altra.
Sulla mia pelle può essere visualizzato ora in 190 Paesi attraverso la piattaforma streaming e sarà anche proiettato da Lucky Red in oltre 60 sale in Italia.
Sulla mia pelle: le proiezioni del film su Stefano Cucchi
La storia degli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi
Alessandro Borghi interpreta il ruolo di Stefano Cucchi, o meglio si trasforma in Cucchi (l’attore ha perso 18 chili per interpretare il ruolo) immergendo lo spettatore in una routine fatta di corsa, pugilato, messa, lavoro da geometra e dinamiche familiari nei rapporti con la madre Rita (Milvia Marigliano), il padre Giovanni (Max Tortora) e la sorella Ilaria (Jasmine Trinca).
Nel momento in cui fu fermato dai carabinieri la sera del 15 ottobre 2009 in possesso di 21 grammi di hashish, tre confezioni di cocaina e una pasticca inerte (rivotril, un medicinale per l’ epilessia, di cui soffriva) ebbe inizio il suo calvario.
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Dopo esser stato accompagnato a casa dei genitori dagli agenti per controllare la presenza di altri stupefacenti, fu decisa la custodia cautelare e il 16 ottobre, il giorno dopo, ebbe il luogo il processo per direttissima.
Nel film, come nella realtà, Stefano Cucchi, scortato da quattro carabinieri, si presentò al processo col volto gonfio, evidenti ematomi sotto gli occhi e riuscendo a parlare e camminare con fatica.
Sulla mia pelle: il trailer del film su Stefano Cucchi
Custodia cautelare: inizia il calvario di Stefano Cucchi
L’inizio della custodia cautelare segnò l’inizio del calvario del protagonista, presso il carcere di Regina Coeli, fino alla nuova udienza, nonostante il suo stato fisico.
Gli sforzi dei genitori e della sorella Ilaria per vedere Stefano, alla fine visto solo dal padre nell’udienza del 16 ottobre, furono scoraggiati e frustrati da una costante “difesa” del regolamento da parte delle autorità.
140 indifferenti: non solo carabinieri nella sua biografia
Le condizioni di Cucchi peggiorarono progressivamente e dopo la visita all’ospedale Fatebenefratelli vennero messe a referto lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso, all’addome e al torace.
Negli ultimi sette giorni di vita di Cucchi, il personale medico ed infermieristico ignorò e trascurò i pestaggi subiti dai carabinieri come le vere cause dei traumi fisici, abbandonandolo in una lunga e dolorosa spirale tra Regina Coeli, l’ospedale Fatebenefratelli e l’ospedale Sandro Pertini.
L’isolamento e la solitudine lacerante vissuta dal protagonista rievoca quella dei fatti, quasi a testimoniare che l’indifferenza di tutte le 140 persone – tra medici, infermieri, agenti di polizia penitenziaria, carabinieri e giudici – con le quali Cucchi ha interagito negli ultimi sette giorni, finì per essergli fatale.
Il 148esimo detenuto morto in carcere nel 2009
Il tutto è raccontato attraverso il trascorso di Cucchi, in modo vivido, dalla brutalità delle forze dell’ordine e dall’indifferenza del personale medico ed infermieristico, in una progressiva discesa verso la fine, giovedì 22 ottobre, all’ospedale Sandro Pertini di Roma. In quei sette giorni Cucchi non ebbe modo di parlare con il suo avvocato o di vedere la sua famiglia.
Nel 2009 Stefano Cucchi fu il 148esimo detenuto morto in carcere in Italia. A fine anno i morti nelle carceri italiane furono 176.
Morte di Stefano Cucchi: il processo di primo grado
Dopo la morte di Cucchi, la famiglia iniziò una lunga lotta per ottenere verità e giustizia, attraversando oltre quaranta udienze, perizie, maxi perizie e testimonianze.
Nel marzo del 2011 cominciò il processo di primo grado, con la richiesta di rinvio a giudizio per tredici persone: tre infermieri, sei medici, tre agenti di polizia penitenziaria, oltre a Claudio Marchiandi, direttore dell’ufficio detenuti. Le accuse per i poliziotti furono quelle di lesioni aggravate e abuso di autorità.
La sentenza di primo grado, ufficializzata il 5 giugno del 2013, vide sei assoluzioni, per gli agenti penitenziari e gli infermieri coinvolti, e la condanna dei sei medici dell’ospedale Sandro Pertini per omicidio colposo. Per tutti i condannati fu disposta la sospensione condizionale della pena, oltre alla condanna al risarcimento delle parti civili, la famiglia di Cucchi, per 320 mila euro.
In appello e Cassazione tra condanne e assoluzioni
In seguito al processo d’appello, però, tutti gli imputati vennero assolti per insufficienza di prove il 31 ottobre del 2014. Nel gennaio 2015, poi, i giudici della Corte d’appello di Roma depositarono le motivazioni della loro sentenza, lasciando però aperta la possibilità di nuove indagini.
La Cassazione accolse infine il ricorso della procura di Roma e della famiglia Cucchi nel dicembre 2015, annullando le assoluzioni dei medici, ma confermando quelle per i tre agenti di polizia penitenziaria.
La sorella Ilaria Cucchi e il reato di tortura
Nell’aprile del 2016 la ricerca di giustizia della famiglia Cucchi si incrociò con la campagna per l’inserimento nell’ordinamento italiano del reato di tortura, poi introdotto a luglio 2017. Fu proprio Ilaria Cucchi a lanciare la petizione, che divenne poi l’obiettivo centrale della Stefano Cucchi Onlus.
La legge sul reato di tortura fu tuttavia definita debole e, nel dicembre 2017, il Comitato Onu contro la tortura ne ha richiesto la modifica in quanto non conforme alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla Tortura.
La sentenza dell’ottobre 2016 e le ultime notizie
A ottobre i periti nominati dal gip Elvira Tamburelli stabilirono che la morte di Cucchi fu «causata da un’epilessia in un uomo con patologia epilettica di durata pluriennale, in trattamento con farmaci anti epilettici».
La valutazione dei periti, tuttavia, non fermò la richiesta, da parte della procura di Roma, di riaprire il processo, questa volta con nuovi capi d’accusa a carico dei tre carabinieri (Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco) per omicidio preterintenzionale pluriaggravato dai futili motivi e dalla minorata difesa della vittima, abuso di autorità contro arrestati e falso ideologico in atto pubblico e calunnia per altri due imputati, incluso il maresciallo Roberto Mandolini.
La riapertura del processo è stata possibile anche grazie all’intervento dell’appuntato scelto Riccardo Casamassima, il quale raccontò all’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, e al pm Giovanni Musarò, il 30 giugno 2015, le responsabilità del maresciallo Roberto Mandolini nella vicenda. Il 15 ottobre del 2009, ha detto l’appuntato, Mandolini era a capo della stazione Appia dalla quale partirono i carabinieri che arrestarono Cucchi.
Casamassima ha testimoniato poi anche in tribunale, segnalando pressioni e mancanza di tutele per aver denunciato i colleghi, uno dei quali operativo nel suo stesso reparto. L’appuntato ha poi dichiarato il 19 giugno, in una diretta Facebook, in un appello al presidente del Consiglio Conte e ai ministri e vice presidenti Salvini e Di Maio, di essere stato allontanato e demansionato per aver compiuto il suo dovere.
L’ultima udienza si è svolta il 27 settembre scorso alla III Corte d’Assise di Roma.