Maldive: le isole cacciano il dittatore e torna la musica dei diritti
Fuori Yameen, dentro Solih: le ultime elezioni alle isole Maldive decretano, a sorpresa, la sconfitta del dittatore. E Malé torna a sperare in un'alternativa basata su una nuova stagione di rispetto dei diritti umani, trasparenza e lotta alla corruzione. Sullo sfondo, ferite profonde a cui non sarà semplice rimediare
Nonostante i tentativi di annullare i risultati delle elezioni, il presidente-dittatore Abdullah Yameen si è dovuto arrendere: dopo 5 anni di governo il popolo delle Maldive non ne vuole più sapere di lui e dei suoi uomini. L’esito del voto era apparso subito chiaro: 16% di voti di distacco e un afflusso alle urne del 90% degli aventi diritto. Ma la legge stabiliva che dovessero passare sette giorni prima della proclamazione della vittoria definitiva.
Domenica 30 settembre le porte del carcere si sono aperte per alcuni detenuti politici, tra i quali l’ultraottantenne fratellastro del presidente uscente, Abdhul Gayoom, e suo figlio, pretestuosamente accusati da Yameen di alto tradimento e corruzione. Un segnale immediato che qualcosa sta cambiando.
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Solih: il nuovo presidente delle isole Maldive
Il nuovo presidente dell’arcipelago è Ibrahim Mohamed Solih, già parlamentare e membro del Partito democratico. Cinquantaquattro anni, sorriso schietto e sguardo rassicurante, Solih ha conquistato la fiducia dei cittadini nei pochi mesi di questa difficile campagna elettorale. E grazie anche all’aiuto dei tanti esiliati, primo fra tutti l’ex presidente Mohammed Nasheed, noto al mondo come il Mandela delle Maldive per le sue visioni liberali e democratiche e per l’attenzione maniacale verso ambiente e cambiamenti climatici.
Nasheed nel 2012 era stato destituito, arrestato ed escluso dal potere dopo elezioni dubbie e risicate, che nel 2013 avevano portato Yameen alla guida del paese. È stato Nasheed a fondare il Partito democratico e a indicare Solih come nuovo candidato alla presidenza.
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Solih, in attesa di insediarsi definitivamente a novembre, tramite la sua portavoce Mariya Didi dichiara a Osservatorio Diritti:
«La priorità è assicurare un passaggio dolce nel trasferimento di poteri. Esultiamo per la conferma definitiva della vittoria e per l’appoggio che abbiamo avuto dalla comunità internazionale».
A Malé una campagna elettorale spregiudicata
A Yameen non è servito vietare l’ingresso alle Maldive a tutta la stampa straniera. Non è servito tappezzare la capitale di cartelloni elettorali rosa con il suo volto, e neppure fare centinaia di comizi, soprattutto nelle isole minori, alla ricerca di quel consenso che a Malé ormai da mesi non c’era più.
Inutili anche tutti i tentativi di oscurare l’opposizione composta da una coalizione di tre partiti: quello Democratico guidato dall’ex presidente Nasheed, quello religioso Adalaath e il Jumhooree Party, fondato da un imprenditore poi costretto all’esilio in Germania.
Gli avversari denunciano di aver avuto la possibilità di organizzare un solo comizio, mentre Yameen, negli ultimi mesi, ha cercato di costruirsi un fortino mediatico inattaccabile. E alcuni giornalisti vicini all’opposizione sono stati fatti scomparire o incarcerati da quando ha preso il potere 5 anni fa.
Ormai con l’acqua alla gola, fonti locali raccontano che il presidente uscente ha addirittura spacciato per suo un grosso progetto voluto ai tempi dal predecessore democratico Nasheed. Centinaia di case popolari e reti fognarie terminate anni fa e mai pagate alla società europea Noomadi, che le aveva costruite senza margini di profitto, nell’ottica di un progetto a lungo termine per dare dignità a una popolazione che non esiste se non per servire i turisti milionari dei resort di lusso. Ebbene, queste case sono rimaste disabitate per cinque anni e, pochi mesi fa, Yameen ha deciso di assegnarle ai senzatetto, attribuendosi il falso merito di averle edificate.
Nasheed pronto ad andare di nuovo alle Maldive
Mohammed Nasheed è a Londra e parla al telefono con Osservatorio Diritti mentre si prepara al rientro nelle isole Maldive con la moglie Layla. È felice e sorpreso per il risultato delle elezioni. A Londra resteranno le due figlie, che nel frattempo sono cresciute e frequentano la scuola.
«Non vedo l’ora di rientrare. Il mio popolo ha scelto la democrazia e il pluripartitismo. Alle isole Maldive sono stati anni terribili, violenti e corrotti. Ma è arrivato il momento di far ripartire il processo democratico».
Dalla capitale inglese in questi anni Nasheed non si è perso d’animo. Viaggiando spesso a Colombo, in Sri Lanka, ha messo in piedi una campagna elettorale silenziosa ed efficace. Ha dato forza e speranza a una causa che sembrava persa.
Yameen: danni per tutti gli abitanti delle Maldive
«La mia gente non ne poteva più di abusi, arresti, corruzione e violazioni dei diritti umani fondamentali, giudici e giornalisti in carcere. Yameen ha reintrodotto la pena di morte e la tortura», dice Nasheed.
Ma non solo. Al servizio dell’ex dittatore giravano per Malé gang armate e imbottite di droga, giustizieri sommari che agivano contro chiunque manifestasse dissenso. Come denunciato anche in un Stealing Paradise, un video di Al Jazeera che ha scoperchiato la realtà di un paese che ha ben poco del “Paradiso dei turisti”.
In una nazione dove gran parte degli abitanti è musulmana moderata, Yameen è tornato a imporre il velo e un’osservanza sempre più stretta della religione islamica, condannando alla lapidazione le donne accusate di adulterio e raccontando al popolo che lo tsunami del 2006 era un messaggio divino contro il malcostume femminile.
Cina, la nuova amica del Paradiso dei turisti
Sotto la guida di Yameen, le isole Maldive hanno costruito intense relazioni con la Cina, che nel Paese del turismo ha individuato l’avamposto perfetto dal punto di vista geopolitico. Tanto che Pechino oggi è il maggiore creditore dell’arcipelago.
Dove le nuove gigantesche opere s’interfacciano con villaggi senza fognature. E dove il ponte che collega Malé all’aeroporto è stato finanziato e costruito da imprese cinesi con 200 milioni di dollari. In tutto, è stato calcolato che i lavori previsti dal gigante asiatico valgono circa 1,1 miliardi di dollari, pari a un quarto del pil dell’arcipelago.
Maldive: i prezzi della gestione Yameen
Nel frattempo il tesoro personale di Yameen, collocato in banche estere, è cresciuto a dismisura. A questo proposito, il presidente entrante Solih ha dichiarato:
«Verificheremo nei dettagli l’enorme debito che ci viene lasciato. Nessuno di noi sa nulla, c’è stata pochissima trasparenza e molti degli accordi firmati dal presidente Yameen in nome del governo sono stati firmati in segreto. Non conosciamo né i termini degli accordi, né i costi effettivi dei progetti, e neanche la portata reale delle cifre che si sono mosse intorno alla corruzione».
Maldive: le alternative al vecchio regime
Le prossime mosse della nuova dirigenza dell’arcipelago diranno se la colazione vincitrice è in grado di guidare il paese con uno stile diverso da quello tenuto dall’ex presidente.
Spiega Nasheed: «Adesso è il momento di trovare dei compromessi e lavorare su un fronte comune. Abbiamo un Manifesto e sono necessari emendamenti alla Costituzione e riforme nella magistratura in modo da rendere i tribunali indipendenti».
Indagherete su Yameen, cercherete di arrestarlo? «Faremo tutto il possibile per far rientrare i capitali del Paese. Indagheremo e lotteremo per la trasparenza». A parlare è Aslam Mohammed, ministro delle Infrastrutture ai tempi di Nasheed presidente.
Aslam ha ricoperto il ruolo chiave di coordinatore della coalizione all’interno del paese. Uno dei pochi sfuggiti a carcere ed esilio, ha girato tra isole e pescatori, borghesia e popolo maldiviano per convincere tutti a votare contro il dittatore. E da Malé racconta a Osservatorio Diritti:
«Non so ancora se ricoprirò cariche ufficiali. Ma tra le nostre priorità c’è quella di riaprire le porte delle carceri e porre fine alle ingiuste detenzioni, così come riformare il sistema giudiziario».
Maldive-Cina: rapporti da chiarire
Aslam vuole indagare e capire soprattutto la reale consistenza del debito verso la Cina: «Hanno cercato di vendere il paese alla superpotenza che aveva anche in mente di costruire delle basi militari nelle isole disabitate. Sono stati finanziati progetti colossali mai realizzati, e pare che proprio questa settimana grosse somme di denaro siano finite nei conti personali dell’ex presidente all’Islamic Bank. Le nostre isole sono diventate “money laundries” e non parliamo di sospetti, ci sono le prove e le mostreremo».
Le dichiarazioni del “nuovo che torna” hanno irritato non poco la Cina. Come ha riportato il quotidiano online Maldives Independent: «La Cina ha definito false e irresponsabili le dichiarazioni di Nasheed rilasciate al quotidiano The Hindu, secondo cui i progetti commerciali della superpotenza nell’arcipelago erano senza senso e dove sono transitate enormi somme di denaro per progetti inutili e inesistenti».
Il portavoce del ministro degli esteri cinese, Geng Shuang, ha affermato che «la cooperazione tra Cina e Maldive è fondata sull’eguaglianza, il volontariato e la mutua cooperazione, segue le necessità del mercato e rispetta leggi e regolamenti. Intendiamo proteggere fino in fondo gli interessi e i legittimi diritti delle nostre imprese all’estero».
Da una parte rivogliono i soldi, dall’altra si sono affrettati a congratularsi col nuovo leader delle Maldive, lasciando per il momento Yameen al suo destino.
Dove sono gli ultimi fedelissimi di Yameen
Nessuno nasconde il desiderio che a finire in carcere sia proprio lui, Yameen, la cui parabola sembrerebbe ormai conclusa. Anche se, a detta di chi lo conosce, il dittatore non è uno che si scoraggia.
Nonostante il basso consenso popolare, fonti locali raccontano che è ancora sostenuto da un manipolo di fedelissimi, tra i quali una grossa fetta dell’esercito e qualche magistrato corrotto, tutti pronti ad armarsi e a scatenare una guerra civile per tornare al potere.