Emergenza abitativa: a Milano va in scena la lotta tra Aldo e Salvini
Nel capoluogo della regione Lombardia è emergenza abitativa per le 184 persone del progetto "Aldo dice 26x1" sgomberate a inizio settembre. E anche se gli assessori competenti cercano soluzioni adeguate per le famiglie, bisogna fare i conti anche con la nuova direttiva nazionale sugli sgomberi di Salvini
Il 1° settembre il ministero dell’Interno ha emanato una direttiva nazionale per velocizzare la pratica degli sgomberi di edifici occupati, sia pubblici sia privati. Negli stessi giorni, a Milano, 184 persone hanno dovuto sgomberare dopo due anni uno stabile di otto piani nel quartiere Corvetto, a sud della città, per migrare di notte in una delle tre Torri di via Stephenson, a Milano, costruite da Ligresti negli anni ’80 e mai terminate, visibili dalla tangenziale est di Milano e simbolo dell’architettura di quel periodo.
Emergenza abitativa e il progetto di “Aldo dice 26×1”
Quelle sgomberate sono persone che fanno parte di un progetto sociale: un residence aperto a chi è sfrattato nell’hinterland milanese, realizzato dal Collettivo “Aldo dice 26×1” (il nome fa riferimento alla frase in codice che i partigiani usarono per lanciare l’insurrezione finale tra il 25 e 26 aprile 1945). Una scelta di progetto forte che, dal 2014, ha portato a occupare alcuni immobili abbandonati per rispondere all’emergenza abitativa.
La prima occupazione del Collettivo aveva riguardato, dal 2014 all’estate del 2016, un’ex sede Alitalia a Sesto San Giovanni e si era poi spostata in uno stabile di otto piani, progettato come dormitorio universitario e mai finito, in via Oglio 8, a Milano. Questa seconda iniziativa ha dovuto però chiudere i battenti la sera del 6 settembre a seguito della vendita dello stabile tramite asta, riuscendo a trovare in poco tempo una ulteriore collocazione per quasi tutti i nuclei.
Allo studio soluzioni per l’emergenza abitativa di Milano
«Abbiamo aperto un dialogo fin da subito con l’assessore alla Casa, Gabriele Rabaiotti, e con l’assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino, per denunciare la situazione di emergenza di queste persone. Stiamo lavorando insieme, ma i tavoli tecnici non hanno ad oggi velocizzato le pratiche e noi non lasciamo in strada nessuno», afferma Laura Boy, sindacalista di Unione inquilini Milano e responsabile dell’intero progetto.
Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Diritti
Non lasciare per strada nessuno ha significato far migrare di notte circa 130 persone, inclusi disabili e bambini, verso la terza occupazione nella periferia nord di Milano. «Sapevamo bene che queste Torri non erano state finite né mai utilizzate, qui lo spazio è tanto e possiamo sperare di aprire un dialogo con la proprietà», prosegue la Boy.
Si cercano alloggi per assegnazione a sgomberati
La risposta da parte dei due assessorati interessati c’è stata, con la ferma condanna all’occupazione come strumento per risolvere l’emergenza, ma con una promessa di ricollocazione per quasi tutti i nuclei presenti. «Da inizio agosto stiamo lavorando per dare un tetto a tutte queste persone, proponendo diverse possibilità, come alloggi in deroga o in affitto concordato. Ma gli spazi sono pochi e loro sono tanti. Non ce la faremo sicuramente entro le prossime settimane, ma non ci fermeremo», rispondono i tecnici dello staff dell’assessorato alla Casa del Comune di Milano.
Il numero di occupanti, infatti, si era abbassato di poche unità, passando da 57 nuclei a 43: «Siamo ancora nella fase di colloquio con gli assistenti sociali, i tempi sono lunghi e queste 130 persone ci hanno seguito sapendo bene che avrebbero dovuto rimboccarsi le maniche per avere una stanza», specifica Laura Boy. Nella nuova sistemazione infatti non ci sono più mini appartamenti con bagni interni e spazi cucina, ma zone divise per uffici che gli occupanti devono ripulire e mettere a posto.
Cos’è l’emergenza abitativa per i diretti interessati
«Ho perso il lavoro da agente di sicurezza circa un anno fa e in pochi mesi abbiamo dovuto lasciare casa nostra per lo sfratto. Io, mia moglie e mia figlia saremmo in mezzo alla strada senza questa iniziativa sociale».
M. ha 50 anni, ha lavorato fin da ragazzino e da alcuni anni segue la terapia per il diabete. «Ricevo la pensione di invalidità, ma non basta per pagare un affitto per una casa di tre persone. Appena sono stato licenziato mi sono rivolto al sindacato Unione inquilini, che mi ha trovato una stanza nello stabile di via Oglio e ha iniziato la pratica per la casa popolare. Ora siamo arrivati qui, non ci spaventa ricominciare da capo perché qui abbiamo la nostra dignità».
Come lui, sono tante le persone che entrano ed escono dal cancello delle torri di via Val Formazza. A metà pomeriggio c’è il rientro a casa di chi lavora e dei bimbi da scuola. «Noi abitavamo qui a nord, ci hanno sfrattato e siamo stati accolti in via Oglio. Nostra figlia ha continuato la scuola primaria e poter tornare in questa zona è più semplice. Lo sgombero da via Oglio non ci ha spaventati, questo progetto ci dà forza e sicurezza, e nostra figlia è sempre serena», conferma una madre che ci fa entrare nel suo nuovo appartamento al terzo piano della Torre.
Come per le altre occupazioni, anche qui il canone settimanale per le spese è di 15 euro a nucleo, necessario a pagare la bolletta della luce e la manutenzione. «Vogliamo proporre alla società Unipol, che ha la Torre, un pagamento mensile di 1.500 euro come affitto, ci offriamo come custodi sociali e siamo pronti a tagliare noi l’erba del giardino. Per 25 anni la proprietà ha voluto tenere pulita la zona, adesso può risparmiarsi i soldi e lasciarci stare qui come custodi», spiega Wainer Molteni, che insieme a Laura e al Collettivo ha costruito il progetto sociale.
Mentre in Comune si cerca di sfoltire le graduatorie per le case popolari, proponendo affitti a canone concordato o residenze temporanee in via Aldini, vicino a via Stephenson si riaccendono i frigoriferi per ciascun piano e si pensa a come accogliere i prossimi ospiti.