Yanomami: il popolo dell’Amazzonia nel libro dello sciamano Davi

"La caduta del cielo" è un libro-denuncia. Ma anche il racconto di un popolo, quello Yanomami, delle sue tradizioni, di riti e cultura, religione, lingua. E a scriverlo non è uno studioso qualunque, ma lo sciamano Davi Kopenawa, portavoce degli Yanomami e principale leader in Brasile della popolazione indigena dell'Amazzonia

La polvere rossa estratta dalla pianta di urucum con cui si dipinge il volto fa da cornice alla faccia di Davi Kopenawa e ne mette in risalto gli occhi neri. Questo sciamano, portavoce degli Yanomami e principale leader della popolazione indigena brasiliana, ha girato mezza Italia nelle scorse settimane per presentare il suo libro La caduta del cielo (ed. Nottetempo). Una biografia un po’ particolare, scritta a quattro mani con l’antropologo francese Bruce Albert e che vede protagonista il suo popolo, che dopo anni di lotta continua a essere sterminato dall’uomo bianco brasiliano.

Il gruppo indigeno di Davi Kopenawa vive vicino al confine brasiliano con il Venezuela, tra gli Stati di Amazzonia e Roraima. Il suo mondo è lì, nella foresta. “La caduta del cielo” è un documento inedito sulla cosmologia del suo popolo. È stato scritto per catturare l’attenzione degli uomini bianchi che vivono in città, perché questi non conoscono la realtà dell’altro Brasile, quello della terra degli Yanomami.

Lo sciamano parte dalla narrazione della sua storia di dolore – ha visto il suo popolo essere decimato a causa di malattie venute dal contatto con i non-indigeni – per parlare della tradizione e della saggezza della sua gente.

«L’uomo della città doveva capire che abbiamo la nostra lingua, la nostra tradizione, che siamo pensatori e sognatori».

Lo sciamano visse anni tra i bianchi della città e tornò nella sua terra per combattere in difesa del suo popolo. È diventato interprete della Fondazione nazionale dell’Indio (Funai) e presidente dell’associazione Hutukara Yanomami. È stato il principale responsabile della demarcazione della terra degli Yanomami, che occupa un territorio più grande del Portogallo.

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Un libro per raccontare le parole degli Yanomami

Da narratore convinto qual è, Davi Kopenawa ha intuito che per far capire all’uomo bianco la vita degli Yanomami, le parole narrate e tramandate di generazione in generazione, avrebbe dovuto riempire le pagine vuote di un libro. Così decise di registrare i suoi pensieri nella lingua degli Yanomami e diede a Bruce Albert la possibilità di tradurli.

«L’uomo bianco se non vede l’informazione scritta sulla carta non capisce, ignora. Attraverso il libro presento il popolo Yanomami al mondo. Nessuno sente le comunità che stanno piangendo, nessuno consulta i leader per sapere cosa pensiamo e cosa vogliamo per il nostro popolo. Il governo vuole l’oro dalle nostre terre e noi vogliamo che siano salvate dai cercatori di oro».

Morbillo, riti e cultura sconvolti: arriva l’uomo bianco

Lo Yanomami ama la foresta e l’arrivo dell’uomo bianco ha destabilizzato l’equilibrio della terra e del cielo, portando un cambiamento negativo a causa della crescita delle città, la deforestazione e l’inquinamento dell’area e dei fiumi prodotti dalle grandi aziende minerali coinvolte con i politici locali. L’invasione dei cercatori di oro nelle terre degli Yanomami è vista da Kopenawa come una delle cause del recente focolaio di morbillo. Secondo lo sciamano, almeno 14 Yanomami sono morti a causa della malattia che ha colpito il confine con il Venezuela.

«La malattia dell’uomo della città è arrivata nella foresta e alcuni Yanomami sono morti. Ma i dati non sono esatti perché gli Yanomami che vivono nel Venezuela non sono vaccinati e alcuni isolati vivono nascosti nella foresta»

Per lui, sono stati i minatori a portare la malattia nella riserva. Tuttavia, non è solo il morbillo a uccidere il popolo indigeno. Il clima di intolleranza e odio che si è diffuso in Brasile negli ultimi tempi ha permesso che il massacro continuasse. Solo quest’anno c’è stato l’attacco contro un gruppo di 80 Yanomami isolato nello Stato di Roraima (due di loro sono stati uccisi) e l’omicidio di un capo guajajara nello Stato del Maranhão.

Yanomami: tradizioni e diritti a rischio

«Ha detto che non avrebbe lasciato neanche un centimetro di terra al nostro popolo», dice Kopenawa citando il discorso di Jair Bolsonaro, il candidato della estrema destra brasiliana alle elezioni presidenziali di ottobre. «Questo discorso di Jair lo conoscono tutti, perché il nostro mondo è piccolo e provoca in noi molta rabbia. Mostra il suo pregiudizio contro il mio popolo».

Per lo sciamano, l’attuale governo del presidente Michel Temer non ha fatto molto per il suo popolo. Oltre a non delimitare la loro terra, ha messo sul tavolo una serie di progetti che potrebbero annientare i diritti acquisiti dopo anni di lotta dei popoli indigeni.

Secondo il Consiglio missionario indigeno (Cimi), ci sono 33 progetti di revisione costituzionale (Pec) che devono essere votati tra Congresso e Senato che minacciano le conquiste giuridiche di questo popolo per far posto a un progetto di sviluppo con gravi conseguenze per le nazioni indigene e l’ambiente. La Pec 215/2000, ad esempio, toglie all’esecutivo la prerogativa di delimitare i territori indigeni e rende impossibile espanderli.

Yanomami candidati alle prossime elezioni in Brasile

Per affrontare i politici legati al gruppo dei grossi proprietari terrieri, i cosiddetti fazenderos che sostengono i 33 progetti, le popolazioni indigene si sono organizzate e hanno lanciato 130 candidature in quasi tutto il paese. La discesa in campo di questa squadra è molto significativa: fino a oggi il primo e unico indio a entrare nel Congresso è stato il capo Xavante Mario Juruna, nel 1982. Eletto deputato federale a Rio de Janeiro, visto non si fidava dall’uomo bianco registrava tutte le conversazioni con i politici per poter poi chiedere conto di ciò che avevano promesso.

Per Kopenawa «sarebbe molto bello avere rappresentanti al Congresso Nazionale, c’è una mancanza di indigeni nella casa in cui lavorano i politici». E tra i candidati annunciati spunta il nome di Sônia Guajajara, che fa parte del popolo Guajajara e vive nella terra indigena di Arariboia, nel Maranhão (Nordest del Brasile). Conosciuta per le lotte in difesa del suo popolo, Sônia è la vicepresidente del Partito Socialismo e Libertà – Psol, con Guilherme Boulos candidato alla presidenza. «La conosco, lei è la nostra identità», dice Kopenawa. Che aggiunge: «Sônia parla con il cuore».

Nonostante dia il suo sostegno ai compagni, lo sciamano non crede che saranno eletti «perché gli indigeni delle foreste non votano», sostenendo che il voto tra la gente della foresta è praticamente nullo. Esistono molte difficoltà per portare nelle foreste gli agenti governativi per farli partecipare alle elezioni.

Serve pressione per salvare il popolo dell’Amazzonia

Per il futuro, Kopenawa vede molta incertezza. «Nessuno sa cosa succederà agli Yanomami. Il mio sogno, i miei pensieri, non sono stati ascoltati, stanno distruggendo la foresta, i fiumi contaminati, non vediamo nessuno che preservi la nostra terra. Se l’uomo bianco non si unisce a quello indigeno, il futuro non ci sarà», spiega lo sciamano.

«In Europa potete fare pressione sul governo brasiliano che si sta organizzando per distruggerci e distruggere la nostra storia, i nostri diritti. Non fanno nulla per fermare l’invasione delle nostre terre da parte dei cercatori di materie prime».

L’estrazione mineraria è la principale causa di sofferenza per gli Yanomami. L’estrazione illegale porta alla guerra nella foresta, uccide le acque cristalline per trasformale in deposito fetido di mercurio e pesci morti e stermina gli Yanomami.

Per Kopenawa, se i governi europei facessero pressione sul Brasile questa guerra potrebbe finire. Basta ricordare l’agosto del 2017, quando il governo del presidente Temer ha dato il via libera allo sfruttamento minerario della riserva forestale amazzonica di Renca, un’area grande quanto la Danimarca (leggi “Indios dell’Amazzonia in pericolo“). La notizia ha scatenato tante polemiche dentro e fuori il Brasile che alla fine Temer ha dovuto fare marcia indietro, apportando delle modifiche al decreto.

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