Professione veterinario: chi certifica la carne rischia grosso
Medici veterinari vittime di minacce e aggressioni in tutta Italia. Il motivo? Osano mettere il naso nella redditizia filiera della carne, con lo scopo di certificare la salute dei capi e l'igiene della lavorazione. I professionisti denunciano che la situazione non migliora da ormai un decennio
Da quasi un decennio i medici veterinari sono vittime di minacce e aggressioni da parte di allevatori strozzati dai debiti, grandi commercianti di carni che non vogliono bloccare la “catena di montaggio” a causa di capi malati e camorra. Il fenomeno è diffuso in tutta Italia, da Mantova a Messina, senza che il ministero della Salute riesca ad arginare la violenza. E la paura. E così a rimetterci sono i professionisti e i consumatori, che potrebbero rischiare di ritrovarsi nel piatto carne infetta.
Veterinari pubblici, soli contro tutti: minacce nelle Marche, in Campania, Sicilia, Sardegna, Emilia Romagna e Lombardia
La filiera della carne, dal suino al bovino, è organizzata in una lunga catena, dall’allevatore al macellatore, passando da chi acquista l’animale vivo per trasportarlo fino al macello, per arrivare infine a chi lo compra già macellato per poi lavorarlo. In ciascuna fase dev’essere presente un medico veterinario, dirigente Asl o sotto contratto nel servizio territoriale come ufficiale pubblico, garante della salute del capo e dell’igiene della lavorazione.
La Società italiana di medicina veterinaria preventiva (Simevep) dal 2009 denuncia come in tutti questi passaggi ci siano soprusi, minacce e aggressioni fisiche a danno dei veterinari, che spesso si muovono da soli e in zone rurali poco adatte ai controlli. Antonio Sorice, presidente dell’organizzazione, denuncia una mancata attenzione da parte del ministero della Salute: «Malgrado nel 2012 sia stato attivato un osservatorio nazionale sulla sicurezza degli operatori sanitari (poi sospeso, ndr), i ministeri della Salute e dell’Interno non hanno dato molto peso ai casi d’intimidazione e violenza. Il 13 marzo 2018 il ministro Lorenzin ha riattivato l’osservatorio, includendo i carabinieri del Nas, gli assessori regionali e tutti gli ordini dei medici, ma non è bastato, perché solo nell’ultimo anno sono stati segnalati almeno una decina di casi gravi nelle Marche, in Campania, Emilia Romagna, Sicilia e Sardegna. Oltre a quelli che hanno coinvolto colleghi in Lombardia».
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Nonostante l’osservatorio non sia diventato ancora uno strumento politico funzionale, sono diversi i parlamentari ed ex parlamentari che si occupano del tema. «Io ho presentato almeno tre interrogazioni in Parlamento, a seguito delle aggressioni nel Mantovano del 2016, ma non ho mai ricevuto risposte esaustive», lamenta Paolo Cova, veterinario e parlamentare Pd nella passata legislatura.
«La politica non sta rispondendo ai professionisti, che frequentemente si trovano da soli in zone rurali e senza la possibilità di proteggersi. Molto spesso le aggressioni o intimidazioni non vengono nemmeno denunciate perché le stesse vittime si sentono demoralizzate».
Marcello Di Franco, veterinario a Caserta
Il dottor Marcello Di Franco non si demoralizza, malgrado abbia ricevuto diverse minacce e aggressioni negli ultimi tre anni: «Sono passato dalle semplici intimidazioni verbali ad aggressioni fisiche, con forconi».
Il veterinario, sindacalista del Sindacato italiano veterinari di medicina pubblica (Sivemp) in servizio all’Asl Caserta, lavora normalmente in una zona tranquilla dell’alto Casertano, certificando la buona salute delle bufale. In questa zona la tubercolosi bufalina è endemica, una zoonosi che si può trasmettere da bestia a uomo con un semplice sternuto dell’animale.
«La situazione non è mai stata curata seriamente: solo a inizio 2017 il governatore De Luca ha voluto una task force dedicata all’eradicazione di questa malattia, per tutelare noi professionisti e, chiaramente, il benessere di animali e consumatori».
La tubercolosi ha un tempo di contagio rapidissimo e vanno quindi monitorati continuamente territorio e bestiame. «I capi sono molti – continua Di Franco – si deve tornare spesso a controllarli e ho ricevuto gravi minacce mentre certificavo all’allevatore prescrizioni o disposizioni di sequestro dell’intero allevamento a causa del ritrovamento di animali risultati positivi per la diagnosi della tubercolosi bovina».
L’ultima aggressione il veterinario l’ha subita a marzo 2018, insieme a un collega, dopo aver chiesto accertamenti sulla presenza di un allevatore titolare dell’azienda. Ma cosa vuol dire lottare tutti i giorni per certificare la salute degli animali?
«Significa innanzitutto essere dotati di una buona dose di coraggio. Il territorio, come tutti sanno, è abbastanza difficile. Sarebbe sbagliato generalizzare, ma di fatto parliamo anche di un territorio che, spesso e volentieri, ci presenta uno spaccato surreale, fatto di un mondo poco incline alle regole, al riconoscimento delle istituzioni, dello Stato».
Veterinari e salute: i rischi per i consumatori
Se il rischio è percepito da chi si occupa di segnalare i capi malati, i consumatori finali, invece, ne sono del tutto ignari. «Uno dei problemi sanitari maggiori si evidenzia in Campania, dove le difficoltà di eradicazione della tubercolosi, solo per fare un esempio, non solo mettono a rischio la salute pubblica, ma vanno a minare il livello di eccellenza di tutto il settore agroalimentare italiano», denuncia Sorice.
Lotta alla tubercolosi bovina
La tubercolosi bovina è una malattia che si può trasmettere facilmente dall’animale all’uomo, attraverso l’espirato, come spiega Di Franco:
«Si pensi a un allevatore o a un veterinario che riceve un sbruffo in faccia da parte di una bufala infetta. Milioni di batteri, e anche il micobatterio della tubercolosi, infetterebbero il soggetto esposto, che potrebbe a sua volta diffondere la malattia per via aerogena».
Il Global tuberculosis report 2017 conferma che la tbc è una delle prime cause di morte nel mondo (nel 2016 si collocava al 9° posto). E la Campania è la regione a maggior rischio, con 100 casi nel 2017, gli ultimi registrati all’ospedale di Castel Volturno a metà luglio 2018, quattro membri della stessa famiglia residenti nella provincia di Caserta. Un allarme che dura da vent’anni, sia per gli operatori sanitari sia per la popolazione, a causa della mala politica e della criminalità organizzata.
Veterinari contro la peste suina
Nell’agosto 2017 Vincenzo De Luca ha deciso di commissariare le due Asl di Caserta e Salerno, per il settore della sanità veterinaria, mettendole sotto il coordinamento dell’Istituto zooprofilattico sperimentale per il Mezzogiorno e, a oggi, i risultati dei controlli 2018 sono incoraggianti.
E mentre in Campania si ricorre al commissariamento, «negli ultimi anni in Sardegna è stata effettuata una poderosa campagna di eradicazione della peste suina – una malattia che ha limitato la commercializzazione dei prodotti con ricadute economiche importanti per tutto il settore – grazie all’impegno profuso quotidianamente dalle istituzioni e dai veterinari delle Asl, che anche lì hanno subito atti intimidatori importanti», aggiunge Sorice.