La difesa dell’ambiente uccide: il nuovo report di Global Witness
Nel 2017 sono stati ammazzati 207 attivisti in 22 Paesi, il dato più alto di sempre: la difesa dell'ambiente costa caro. Lo rivela il rapporto "A quale prezzo?". Il settore più pericoloso è quello dell'agroindustria, lo Stato più rischioso è il Brasile
Ventidue Stati coinvolti, 207 persone uccise, quattro omicidi la settimana, la maggior parte dei quali, il 60%, in America Latina. Sono i numeri del fronte dei difensori dell’ambiente. A stilare il bollettino di questa guerra sotto traccia è l’ultimo rapporto di Global Witness, secondo cui il 2017 è stato l’anno peggiore registrato finora (200 le vittime recensite nel 2016, 185 nel 2015, 116 nel 2014) e l’agroindustria il settore più pericoloso.
«Ma questi dati sono solo la punta dell’iceberg», commenta l’ong. Molto probabilmente la verità dei dati sarebbe ancora più drammatica se non fosse così complicato tracciare una mappa dei delitti a causa della mancanza di denunce o la dilagante impunità dei diretti responsabili.
Maria e l’associazione in difesa dell’ambiente contro le acciaierie in Amazzonia
«Li vedono tutti questi fantasmi, appaiono e scompaiono, in moto o in macchina. Lanciano pietre per rompere le finestre delle case di chi sta combattendo contro i crimini ambientali e rivendicando la proprietà della terra. Qui tutti hanno subìto delle minacce. L’anno scorso la mia casa è stata svaligiata quattro volte, dopo è successo a Clelia, poi a Carliani, poi a Ludmila. Quella di Josi due volte e sono entrati anche da Dona Maria».
A parlare è Maria do Socorro Costa da Silva, presidente di Cainquiama, un’associazione che raggruppa decine di migliaia di indigeni e comunità locali tra i più perseguitati dell’Amazzonia.
Le minacce contro di lei sono iniziate quando ha cominciato a contestare la presenza delle raffinerie di alluminio (tra cui una delle più grandi al mondo, la norvegese Hydro Alunorte), che nella città di Barcarena, nello Stato di Parà (Nordest del Brasile), hanno provocato gravi danni all’ambiente, tra cui l’inquinamento delle falde acquifere.
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Difesa dell’ambiente: Brasile Paese più pericoloso
Proprio il Brasile è in cima alla lista nera degli Stati più colpiti, con 57 attivisti uccisi. Al secondo posto ci sono le Filippine (48 morti), che è anche quello con il maggior numero di assassinii nella storia di un paese asiatico. Seguono, in doppia cifra, Colombia (24), Messico (15), Repubblica Democratica del Congo (13) e India (11).
A cadere sotto il fuoco incrociato di governi corrotti e multinazionali senza scrupoli sono persone comuni, contadini, attivisti ambientali che lottano per il diritto alla terra, la conservazione della biodiversità, la giustizia sociale e contro il cambiamento climatico. Parole che per loro significano sopravvivenza.
Governi e multinazionali, complici e mandanti
Anche se gli esecutori finali sono bande criminali o forze paramilitari, i soggetti critici «rimangono gli Stati e le imprese che non agiscono responsabilmente, eticamente e a volte neppure entro i confini della legalità», si legge nel documento pubblicato oggi, 24 luglio 2018.
Secondo Ben Leather, attivista senior di Global Witness, «gli attivisti locali sono uccisi perché i governi e le società fanno facili guadagni a scapito della vita umana».
«Molti dei prodotti che emergono da questo spargimento di sangue sono sugli scaffali dei nostri supermercati. Queste comunità coraggiose, che si oppongono a funzionari corrotti, industrie distruttive e devastazione ambientale, sono le stesse che vengono brutalmente messe a tacere. Enough is enough! Quando è troppo è troppo!».
Difensori dell’ambiente e agroindustria: il significato della lotta
Il titolo del rapporto è “A quale prezzo?”. Una domanda rivolta ai consumatori, perché la novità del 2017 riguarda il settore agroindustriale, che è diventato il più invadente e brutale nei confronti delle popolazioni autoctone, scalzando dal triste primato quello minerario.
Per capire la geografia di un conflitto dalle dimensioni globali e provare a ridurlo su scala locale, suggerisce Leather, basta andare nel supermercato sotto casa o in uno dei tanti centri commerciali che circondano le nostre città.
Che si tratti di cibo o di prodotti di bellezza, la probabilità che questi siano frutto di espropri, uccisioni e violazioni dei diritti umani è molto alta. Si pensi alle piantagioni di olio di palma, di caffè, di cacao, avocado, canna da zucchero e l’elenco sarebbe ancora molto lungo.
Problema della difesa dell’ambiente e popoli indigeni
Quest’anno gli attivisti ammazzati per essersi opposti alle forme di produzione intensiva sono stati 46, 40 quelli coinvolti in questioni legate all’apertura di nuove miniere. Seguono le vittime della lotta al bracconaggio (23), al disboscamento (23), alle dighe e allo sfruttamento dell’acqua per fini meramente industriali (4).
Se c’è un dato positivo, questo riguarda i popoli indigeni. Nel rapporto si sottolinea come il numero di omicidi relativo a queste comunità sia diminuito: nel 2016 del 40%, nel 2017 del 25 per cento. Tuttavia, se si considera che i gruppi indigeni rappresentano solo il 5% della popolazione mondiale, è evidente che la pressione nei loro confronti rimane ancora molto alta.
Colombia, la storia di Hernán Bedoya
Nel quadro dipinto da Global Witness non si parla però solo di omicidi, ma anche di chi sopravvive e porta avanti la propria battaglia nonostante le continue minacce. Come il giovane Ramòn, figlio del fondatore dell’associazione “Mi tierra” (La mia terra) Hernán Bedoya, ucciso a dicembre 2017 con 14 colpi di arma da fuoco da un gruppo di paramilitari, nel territorio collettivo di Pedeguita e Mancilla, in Colombia.
Quella della sua comunità è una storia che risale al 1997, quando una multinazionale li aveva cacciati per installare nelle loro terre delle piantagioni di olio di palma e di banane. Bedoya si è sempre opposto ai progetti agroindustriali finanziati dalla Agenzia nazionale della terra, denunciando azioni illegali, contratti fraudolenti e la presenza di gruppi armati. Per questo, alla fine, è stato ammazzato.
Ramòn, difensore di ambiente e comunità come il padre
Ramòn oggi è il degno erede di suo padre. Ma la madre non si rassegna all’idea che il figlio possa ancora cambiare vita, magari emigrando all’estero.
«Cosa credi figlio mio? Ho paura. Ho molta paura. Ho paura che ti facciano qualcosa, come hanno fatto a tuo padre. Che vi uccidano, a te e a Osman. Perché ti sei lasciato coinvolgere in tutto questo con queste persone. Sono terrorizzata. Non me ne starò seduta qui a dirti che sono felice. No figlio mio, ho paura, molta paura. Tu pensi che io sia tranquilla, ma no, non è così!».
La posizione di Global Witness sulla difesa dell’ambiente
Agroindustria, governi corrotti, multinazionali. Una triade apparentmente intoccabile rispetto alle umili armi della protesta e della contestazione di cui dispogno gli attivisti. Eppure, «nonostante le avversità che affronta, la comunità globale dei difensori della terra e dell’ambiente non sta battendo in ritirata: anzi, sta solo diventando più forte».
Ma serve l’aiuto di tutti. «L’invito è di unirsi alla campagna a fianco dei difensori, combattendo nei corridoi del potere e nei consigli di amministrazione delle multinazionali. Ci assicureremo che le loro voci siano ascoltate. E staremo attenti per garantire che i difensori, la loro terra e l’ambiente, da cui dipendiamo anche noi, siano protetti», conclude Leather.
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Oggi è la Giornata del WWF. Decidiamo di difendere le specie a riscio, inclusa la nostra e guardiamo più spesso canali televisivi come 50, 51,1, 43,2,3,4 per informarci e per rendere il nostro mondo mentale più tranquillo e quello corporale più attivo, anche se non ci muoviamo e siamo disabili!