Carcerati italiani all’estero detenuti «in condizioni disumane»
Più di tremila carcerati italiani all'estero sono detenuti in situazioni «spesso disumane, in termini di diritti umani, igiene, rapporti con altri detenuti e salute». I problemi sono enormi. «E il governo potrebbe fare tante cose, spesso a costo zero». Ecco l'analisi dell'avvocata Francesca Carnicelli della onlus Prigionieri del Silenzio
«Le condizioni carcerarie degli oltre tremila italiani detenuti all’estero sono spesso disumane in termini di diritti umani, igiene, rapporti con gli altri detenuti e salute». A parlare in esclusiva a Osservatorio Diritti è Francesca Carnicelli, avvocata della onlus Prigionieri del Silenzio che, dal febbraio 2008, si occupa di aiutare i nostri connazionali arrestati oltre confine.
«Ciò in cui troviamo spessissimo difficoltà è proprio l’invio di farmaci o la possibilità di effettuare visite specialistiche. Il carcere non ha determinati tipi di medicinali e non fa entrare quelli inviati dalla famiglia o addirittura quelli consegnati direttamente dal Consolato».
Quanti sono i carcerati italiani detenuti all’estero?
Il numero è costante negli anni e si aggira sempre intorno alle tremila persone, tra quelli in attesa di giudizio e i definitivi.
Carcerati in attesa di giudizio…
Come in Italia, in tutto il mondo, sono previste misure cautelari, cioè limitazioni della libertà personale per i soggetti che sono indagati/sospettati e che devono ancora essere processati, oppure sono in attesa del secondo o terzo grado di giudizio. È bene precisare in alcuni Stati, con la condanna di primo grado, si viene considerati già condannati.
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Queste limitazioni sono giustificate da esigenze quali il pericolo di fuga o di inquinamento probatorio. In molti Stati stranieri le garanzie per i destinatari della misura e i limiti di applicazione sono molto diversi rispetto alla legislazione italiana, indubbiamente molto garantista.
In che zone si trovano principalmente i detenuti?
Tra le i Paesi extraeuropei la zona più calda è il Sud America ma, numericamente, la maggior parte dei detenuti si trova in Europa. La nazione con più detenuti è la Germania – circa mille – e seconda è la Spagna.
Quali sono i reati più contestati ai carcerati italiani?
Le vicende riguardano tutti i tipi di reati. Statisticamente le violazioni in materia di stupefacenti sono le più numerose. Significativo anche il numero di reati contro la persona.
Ci sono trattati bilaterali per scontare la pena in Italia?
In realtà esiste la Convenzione di Strasburgo (1983) avente ad oggetto il trasferimento delle persone condannate, firmata da 70 nazioni, oltre ad alcune convenzioni bilaterali (Albania, Cuba, Hong Kong, India, Kazakhstan, Perù, Repubblica araba di Egitto, Repubblica dominicana, Romania e Thailandia). È già stata ratificata, ma non è entrata in vigore, quella con il Marocco. Purtroppo le procedure sono, comunque, complesse, lente e necessiterebbero di modifiche che limitino la discrezionalità nella concessione del beneficio.
I trattati e le convenzioni esistenti sono rispettati?
Lavorare sui rientri dei condannati è un’attività complessa perché l’iter non è esclusivamente giudiziario ma anche – direi principalmente – politico, in quanto le richieste e le autorizzazioni passano sempre dai ministeri e, purtroppo, subentrando la politica e la burocrazia i tempi si dilatano in modo davvero significativo.
Non direi che vi sia il mancato rispetto dei trattati o delle convenzioni, piuttosto ritengo che le tempistiche siano eccessivamente lunghe, soprattutto ove si consideri che trattasi di vicende relative a persone detenute, lontane dai propri cari e, sovente, ristrette in condizioni certamente peggiori rispetto a quelle che si trovano negli istituti penitenziari italiani.
C’è una malagestione da parte della nostra diplomazia?
La questione è estremamente complessa, in quanto gli elementi critici variano da nazione a nazione, da caso a caso. Nella mia esperienza posso dire di aver trovato sia uffici diplomatici efficientissimi sia inefficienti. Molte lentezze sono dovute al fatto che il personale è pochissimo e deve coprire territori e criticità enormi e la spending review (il taglio alla spesa pubblica, ndr) operata negli ultimi anni ha aggravato enormemente questo problema.
Cosa potrebbe fare il governo italiano per i carcerati?
Potrebbe fare moltissime cose, tante a costo zero. Ad esempio, potrebbe istituire una lista di interpreti volontari che si mettano al servizio dei concittadini che entrano in contatto con il circuito penale straniero. Oppure istituire liste di legali di riferimento: nei siti di molte ambasciate già si trovano ma, nella maggior parte dei casi, non si riesce a comprendere (né a sapere) quale sia la specializzazione degli avvocati e il livello di affidabilità, in quanto la procedura di accreditamento non è chiara.
Certamente il governo dovrebbe stabilire un obbligo per gli uffici in terra straniera di seguire, se richiesti, tutte le udienze e, in generale, i procedimenti penali che riguardano gli Italiani, perché la presenza in tribunale di un funzionario italiano significa che lo Stato italiano c’è.
Bisognerebbe cercare un sistema, simile al patrocinio per i non abbienti, per aiutare non soltanto il cittadino bisognoso ad usufruire di una difesa tecnica corretta e dignitosa, ma anche i familiari a mantenere i contatti con lui, per esempio facendoli usufruire di voli gratuiti o con tariffe speciali.
Lei è l’avvocata di Prigionieri del Silenzio. Di cosa si occupa l’associazione?
L’associazione, da oltre 10 anni, si occupa di italiani detenuti all’estero, supportando le famiglie in Italia, aiutando sia i detenuti che i loro cari ad interfacciarsi con il ministro degli Affari esteri e, se necessario, anche con gli avvocati locali. Ci occupiamo di segnalare la violazione di diritti umani anche sollecitando l’intervento della varie autorità consolari affinché intervengano per risolvere i problemi.
Abbiamo affrontato ogni tipo di questione: dalla mancanza di farmaci al diniego di consegna della corrispondenza dei familiari perché non tradotta in lingua locale, sino a vicende in cui abbiamo dovuto segnalare le gravi torture perpetrate come nel noto caso di Roberto Berardi.
Quanti detenuti italiani all’estero state seguendo?
Ne seguiamo sempre almeno qualche decina, alcuni in modo serrato e nei quali presto la mia opera come difensore, e altri in modo più blando, nel senso che ci attiviamo esclusivamente se il detenuto o la famiglia segnalano problemi.
Quali sono le maggiori difficoltà nel seguire questi casi?
Quella di conferire compiutamente con il detenuto, l’ostruzionismo della nazioni straniere, talvolta, come dicevo prima, le lentezze dei consolati o delle ambasciate.
Quali le difficoltà più diffuse per i carcerati?
Quando una persona è tratta in arresto o incarcerata ogni problematica si amplifica enormemente perché già essere privati della libertà personale è una pena e far valere i propri diritti da una condizione di “cattività” è molto complicato. Indubbiamente, però, il più grave è il problema della lingua, perché nella maggior parte dei casi il cittadino non conosce la lingua locale o, comunque, non in modo tale da potersi districare in questioni giudiziarie e in emergenza.
Spesso l’interprete non viene concesso e, anche quando è presente, non si ha mai certezza del livello di preparazione. Si pensi per esempio a un lavapiatti non scolarizzato che viene chiamato soltanto perché ha imparato la nostra lingua lavorando in Italia, è chiaro che non sarà in grado di comprendere appieno il significato delle parole neanche nella propria lingua, figuriamoci di tradurle.
Spesso gli arrestati sono convinti a firmare dichiarazioni confessorie illudendoli che saranno scarcerati, mentre in realtà decretano la morte della loro difesa. I difensori, spesso, approfittano della condizione di straniero e chiedono parcelle esorbitanti per difese inefficaci, se non addirittura dannose.
La distanza da un difensore con cui comunicare compiutamente, dai propri familiari e, spesso, dall’autorità italiana, sono elementi che complicano ogni aspetto di queste vicende, dalla elaborazione di una corretta difesa tecnica alla sofferenza per l’isolamento in cui si ritrovano a vivere, isolamento dovuto alle barriere linguistiche e culturali.
Vi è poi un altro aspetto da considerare: le famiglie dei detenuti non sanno come interfacciarsi con le autorità italiane e straniere e si trovano sempre in grandissima difficoltà per comprendere quale sia la situazione in cui si trova il loro congiunto, cosa si possa fare e chi si debba contattare.
Mio fratello è rimasto solo altro che aiuto, nessuno ha mosso un dito ed anche dopo la sua morte nessuna parola, lei può dire quello che vuole ma la verità è che non solo vivono in condizioni pietose ma vengono torturati perché non lo dite? Vergogna
Ho qualche dubbio che siano tutti in “in condizioni disumane”. Ben più di 2.000 sono in Europa e di questi 1.000 in Germania. Poi ci sono quelli nelle prigioni americane, canadesi, australiane, ecc.