Aiuti umanitari: l’antiterrosimo ostacola le ong in tutto il mondo
Uno studio commissionato dal Consiglio norvegese per i rifugiati denuncia i limiti imposti all'azione delle ong dalla legislazione antiterrorismo. In Africa, Siria e in altre parti del mondo - la ricerca si è concentrata soprattutto su Iraq, Nigeria e Somalia - gli aiuti umanitari fanno più fatica ad arrivare proprio a causa della guerra al terrore
Possono le misure antiterrorismo limitare gli aiuti umanitari? Secondo uno studio commissionato dal Consiglio norvegese per i rifugiati e pubblicato su ReliefWeb, sì. Grazie a numerose interviste condotte tra gennaio e aprile agli operatori di organizzazioni non governative – in particolare presenti in Iraq, Nigeria e Somalia – si delinea uno scenario che va dalla diminuzione dei finanziamenti, fino alla sospensione o blocco dei progetti umanitari. In particolare in aree dove i gruppi armati non statali controllano il territorio.
«Come operatori umanitari – sono le parole di Jan Egeland, segretario generale del Consiglio norvegese per i rifugiati – spesso assistiamo a come i terroristi attacchino spietatamente i civili. Abbiamo tutti bisogno di prevenire qualsiasi forma di terrorismo. Ma in questa guerra al terrore la legislazione tesa a contrastare il terrorismo, ha avuto spesso la conseguenza non intenzionale di rendere più difficile e pericoloso l’aiuto e la protezione delle vittime. L’azione umanitaria si base sui quattro principi di neutralità, indipendenza, imparzialità e umanità, messi sotto pressione dalle misure antiterrorismo».
Aiuti umanitari: problemi dall’Afghanistan alla Somalia
«Fattori politici, tra cui la legislazione antiterrorismo, continuano a porre dei dilemmi per l’azione umanitaria». È quanto si legge in uno studio del Consiglio norvegese per i rifugiati e dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, che conferma le evidenze emerse da uno studio pilota condotto nel 2017 dalla Harward Law School: oltre due terzi degli intervistati indicano le misure antiterrorismo come capaci di inibire la loro azione umanitaria. Problematicità che riguardano in particolare alcuni contesti come Iraq, Somalia, Yemen e Afghanistan.
La ricerca pone l’accento sul P/CVE (prevenire e contrastare l’estremismo violento), un approccio globale che si inserisce in un più ampio programma antiterrorismo. Questo approccio mira, attraverso una vasta gamma di attività per lo più non coercitive, ad affrontare le cause profonde che possono alla fine risultare di estremismo violento o sfociare in atti di terrorismo.
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Le organizzazioni umanitarie, tuttavia, hanno sollevato preoccupazioni riguardo all’agenda P/CVE. Mentre alcuni programmi umanitari, come quelli focalizzati sull’educazione o il lavoro giovanile, potrebbero sovrapporsi con l’attività dettata dal P/CVE, le motivazioni e gli obiettivi sono diversi. Le attività umanitarie sono guidate dai principi, mentre le attività P/CVE hanno un programma politico. Questo potrebbe portare le organizzazioni umanitarie a spostarsi dall’obiettivo di rispondere ai reali bisogni verso le comunità vulnerabili, per basarsi su criteri come la razza e la religione.
Aiuti umanitari in Africa e Siria: l’antiterrorismo frena
Il rapporto parla di tre livelli ai quali le misure antiterrorismo possono influenzare l’azione umanitaria, distinguendo tra impatti strutturali, operativi e interni. Gli impatti strutturali influenzano la struttura dell’azione umanitaria stessa, inclusa la capacità delle organizzazioni di aderire ai principi umanitari. In sostanza, le organizzazioni hanno difficoltà a sviluppare programmi di aiuto sulla base dei reali bisogni, obbligandole a evitare certe aree in cui potrebbero essere presenti gruppi armati. Alcune comunità, di conseguenza, possono non ottenere l’assistenza di cui hanno bisogno a causa della loro posizione geografica.
«Le misure contro il terrorismo sono una preoccupazione per le organizzazioni umanitarie e continuano a influenzare le decisioni di dove le organizzazioni opereranno e dove no», ha detto un intervistato con sede in Somalia.
Quasi la metà degli intervistati (il 46%) ha dichiarato che i regolamenti antiterrorismo non forniscono indicazioni chiare sul loro operato e obblighi. È quello che lo studio definisce come impatto operativo, conseguenza di una disinformazione che porta all’autocensura da parte degli attori umanitari stessi.
Sul fronte degli impatti interni, invece, lo studio rileva che il 78% degli intervistati ha dichiarato che i regolamenti antiterrorismo influenzano direttamente il loro lavoro. Di questi intervistati, il 71% ha segnalato, inoltre, il fardello amministrativo. Alcuni hanno indicato che il controllo e i requisiti di dovuta diligenza hanno causato ritardi nell’attuazione dei progetti e l’aumento dei costi di supporto.
In Siria, per esempio, ogni materia prima che superi il 10% di ciò che viene prodotto negli Stati Uniti ha bisogno di un’autorizzazione dal Bureau of Industry and Security per entrare nel paese. Anche semplicemente comprendere come funziona il processo è estremamente dispendioso in termini di tempo. «Ci sono voluti due anni per ottenere una comprensione dei nostri obblighi verso gli Stati Uniti sul controllo delle licenze», ha dichiarato un intervistato.
Aiuti umanitari internazionali dove regna Boko Haram
L’ostilità tra le forze di sicurezza e il gruppo islamista Boko Haram, nel nord-est della Nigeria, è entrata nel 9° anno. Solo nello stato del Borno, 4,3 milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari e assistenza.
Il governo ha limitato l’accesso umanitario alle aree sotto il controllo di Boko Haram. Di conseguenza, la risposta umanitaria nel nord-est si concentra sullo stato del Borno, nella capitale di Maiduguri.
Le organizzazioni non sono in grado di andare oltre la città senza permesso. Il governo usa un programma antiterrorismo per giustificare queste restrizioni, ma mantenendo questo programma non è in grado di garantire la sicurezza del personale che viaggia nelle aree controllate da Boko Haram, emerge dalle interviste riportate nel report.
Il governo, inoltre, ha accusato le organizzazioni che hanno tentato di accedere alle aree sotto il controllo del gruppo di deviare gli aiuti e di sostenere il terrorismo. Queste restrizioni hanno prodotto un grave danno sull’azione umanitaria in Nigeria. Poche organizzazioni si sono impegnate con Boko Haram per cercare l’accesso alle aree che controlla. Come risultato, sono costretti a escludere grandi gruppi di persone dalla loro programmazione solo per la loro posizione geografica.
Distribuire cibo nella Somalia di al-Shahaab
In Somalia la minaccia di carestia persiste, con una stima di quasi 2,5 milioni di persone in grave crisi sul fronte dell’insicurezza alimentare. Il gruppo terroristico di Al-Shahaab detiene il controllo di molte aree rurali meridionali e centrali del paese.
Alcuni intervistati hanno espressamente dichiarato di non essere in grado di rispondere ai bisogni umanitari nelle roccaforti di al-Shabaab. L’autocensura è il più grande vincolo in queste aree. Il gruppo ha un sistema consolidato di checkpoint e tassazione. E c’è la preoccupazione che anche un incidente isolato, in cui l’aiuto è deviato, potrebbe creare uno scandalo.
Gli intervistati hanno anche sottolineato l’irregolarità nella distribuzione dei finanziamenti. La maggior parte dei finanziamenti delle Nazioni Unite è spesa nelle aree sotto il controllo governativo, con poca disponibilità per i territori sotto il controllo di al-Shabaab.
Ong: aiuti umanitari alla prese col “de-risking” bancario
Le misure antiterrorismo aumentano la pressione sulla capacità delle ong di accedere ai servizi finanziari. Le banche hanno sempre meno inclinazione al rischio, mentre si confrontano con un ambiente normativo sempre più severo per quanto riguarda i regolamenti sull’antiterrorismo e il riciclaggio di denaro.
Il fenomeno del de-risking, per cui le banche rifiutano di offrire servizi, come conti o trasferimenti, al fine di minimizzare la propria esposizione alle accuse di facilitare il finanziamento del terrorismo, è diventando un limite importante. I trasferimenti possono essere soggetti a lunghi ritardi a causa dell’onere gravoso di rispettare i requisiti di diligenza che le banche impongono. Le banche comunemente richiedono grandi volumi di informazioni, compresi gli elenchi dei beneficiari o i dettagli di piccole donazioni private. Il de-risking colpisce in modo sproporzionato le organizzazioni con alcuni profili, come le organizzazioni più piccole, che potrebbero non avere le capacità di conformità di organizzazioni più grandi.
Gli effetti sono particolarmente gravosi tra le organizzazioni di fedeli musulmani. Un rappresentante di una di queste organizzazioni ha dichiarato: «La nostra banca non ci permette di trasferire fondi in molte delle nostre aree chiave, tra cui Siria, Iraq e Giordania. Ci viene chiesto di fornire i dettagli di tutti i nostri donatori, anche quelli che donano 5 dollari, persino importi minori». E ancora, un altro intervistato:
«Siamo costretti a fare transazioni irregolari, tenendo i soldi nei magazzini, aumentando i rischi di saccheggi e quindi aumentando il rischio reale di finanziamento al terrorismo».
Se la tendenza al de-risking continuerà, «le banche – si legge nel rapporto – determineranno effettivamente dove le organizzazioni umanitarie possono operare».
Aiuti umanitari nel mondo: le ong usano l’hawala
Mentre le banche si impegnano sempre di più nella riduzione del rischio, le organizzazioni umanitarie sono spinte a cercare meccanismi di trasferimento informali per ottenere denaro in paesi o aree in cui sono presenti gruppi terroristici.
Di conseguenza, l’uso di hawala, un sistema di trasferimento tradizionale che opera al di fuori di canali finanziari formali, è diventato sempre più comune tra le ong. I trasferimenti sono basati sulla fiducia e le connessioni familiari. Tuttavia, l’uso di un servizio finanziario non regolamentato in un ambiente di conflitto presenta dei rischi, rendendo difficile combattere il finanziamento al terrorismo.
Anche l’uso del contante è aumentato in risposta al de-risking. Spesso il personale delle organizzazioni umanitarie trasporta grandi quantità di denaro, mettendo a rischio la propria sicurezza. Un intervistato ha affermato di essere entrato in Siria portando con sé quasi 600 mila dollari nascosti sotto i vestiti. «Dopo aver fatto quel viaggio due volte – ha detto – mi sono rifiutato di farlo una terza volta».