Peacekeeping: servono più donne nelle operazioni Onu per la pace
Ancora poche donne partecipano alle operazioni di pace dell'Onu. Eppure le Nazioni Unite hanno promosso l'Agenda delle Donne, Pace e Sicurezza, otto risoluzioni che prevedono, tra l'altro, un ruolo maggiore nel peacekeeping, peacemaking, peacebulding e peace enforcement. Ecco perché è così importante che questo avvenga davvero
di Barbara Lorusso e Francesca Romana Partipilo
La prima operazione di peacekeeping delle Nazioni Unite risale al 1948 e da allora le missioni di pace sono cambiate parecchio in termini di composizione e di compiti. Queste missioni sono volte al mantenimento della pace e sono effettuate in Stati nei quali la gravità della situazione interna potrebbe minacciare la pace e la sicurezza internazionale.
Peacekeeping: significato e scopo di queste operazioni
Le operazioni possono limitarsi a monitorare il cessate il fuoco o svolgere attività quali l’assistenza umanitaria, il monitoraggio del rispetto diritti umani, il disarmo e la reintegrazione di ex combattenti. Oltre che dalle Nazioni Unite, possono essere condotte da organizzazioni regionali, sub-regionali, da coalizioni di stati o da singoli stati.
Le operazioni di peacekeeping dell’Onu, non previste espressamente dalla Carta delle Nazioni Unite, sono state ideate con lo scopo di bypassare la parziale attuazione del Capitolo VII della Carta e, in particolare, la mancata conclusione degli accordi bilaterali tra Nazioni Unite e Stati Membri, come previsto dall’articolo 43 della Carta, relativi alla fornitura di truppe nazionali da parte degli stati.
Peacekeeping, peacemaking, peacebulding e peace enforcement: le donne nelle missioni Onu
La partecipazione delle donne nelle operazioni di peacekeeping in qualità di personale militare, o di membro delle forze di polizia o dello staff dei civili, rimane piuttosto marginale. A fronte della continua pressione da parte della società civile, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato otto risoluzioni, che, insieme, compongono l’Agenda delle Donne, Pace e Sicurezza.
UN Photo / Christopher Herwig (via Flickr)
Di particolare importanza è la prima risoluzione, la numero 1325, che riconosce esplicitamente l’importanza del ruolo delle donne nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, nei negoziati di pace, nelle operazioni di peace-building, peacekeeping e nella ricostruzione post-conflitto.
Inoltre, la risoluzione sottolinea l’importanza di un’equa partecipazione e pieno coinvolgimento delle donne nel mantenimento e promozione della pace e della sicurezza. Tale risoluzione sollecita tutti gli attori della fase post-conflittuale ad incrementare la partecipazione delle donne nelle operazioni di peacekeeping, a incorporare una prospettiva di genere in tutti gli sforzi delle Nazioni Unite in materia di pace e sicurezza e ad assicurare, dove appropriato, che le operazioni sul campo includano una componente femminile.
Tali obiettivi sono stati ulteriormente confermati e rafforzati nelle successive risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, ma, nonostante si siano registrati dei passi avanti, l’attuazione di tali principi non è ancora sufficiente.
Il Peacekeeping delle Nazioni Unite: poche donne
In base a stime riportate dal sito delle Nazioni Unite dedicato alle operazioni di peacekeeping, nel 1993 le donne rappresentavano solo l’1% della componente militare delle missioni di peacekeeping. Nel 2014, la percentuale di donne nella componente militare era aumentata del 2% ma, per quanto riguarda il personale di polizia, solo il 10% era costituito da donne.
Le cifre oggi non sono molto diverse, in quanto le donne costituiscono il 22% dei 16,507 membri civili delle missioni di peacekeeping attualmente attive, il 29% del personale internazionale e il 17% di quello nazionale.
L’obiettivo delle Nazioni Unite è quello di raddoppiare, entro il 2020, il numero delle donne impiegate nel personale militare e di polizia delle missioni di pace. Al fine di sostenere e promuovere tale impegno, la figura di “Consigliere di Genere” è impiegata nelle missioni di peacekeeping in modo da integrare una prospettiva di genere in tutte le funzioni e fasi delle missioni.
L’importante contributo delle donne alla pace
Una più ampia rappresentatività del genere femminile nelle operazioni di peacekeeping rappresenta senza dubbio un elemento fondamentale per la buona riuscita di tali operazioni. Infatti, come sottolineato da Hervè Ladsous, ex sottosegretario generale per le operazioni di Peacekeeping, «le donne possono e devono rivestire un ruolo di primo piano nella partecipazione politica, risoluzione dei conflitti e processo di transizione verso la pace».
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La rappresentanza femminile nelle operazioni di peacekeeping risulta essenziale per diversi motivi. In primo luogo, la presenza di donne in tali operazioni rende più semplice instaurare contatti con la popolazione femminile locale. Le cicatrici e i traumi che costituiscono eredità dolorosa di guerre e conflitti sono sperimentati diversamente dalle diverse fasce della popolazione e una figura femminile potrebbe risultare indispensabile al fine di avvicinare la popolazione civile e guadagnarne la fiducia.
Inoltre, come sottolineato dallo studio “Women, Peace and Security”, stilato dal segretario generale sulla base della risoluzione 1325, donne e ragazze vengono colpite in modo diverso dai conflitti armati e dunque presentano, nella fase post-conflittuale, necessità diverse da quelle degli uomini. Per fare un solo ma illuminante esempio, le operazioni di peacekeeping si trovano spesso a fronteggiare le conseguenze di stupri di massa e di crimini di natura sessuale perpetrati durante e dopo i conflitti armati.
In secondo luogo, bisogna tenere a mente che donne e bambine possono essere state esse stesse combattenti e dunque necessitare di un percorso di reinserimento sociale che tenga conto dei loro bisogni specifici e sia il più possibile personalizzato. Tali necessità sono peculiari della condizione delle donne nei conflitti e rappresentano considerazioni importanti che dovrebbero guidare la fase di preparazione ed implementazione di un’operazione di peacekeeping.
Foto: UNMISS (via Flickr)
Infine, le operazioni di mantenimento della pace possono beneficiare di consultazioni e collegamenti con organizzazioni femminili locali, spesso fonte di competenze importanti sulla fornitura di servizi nei settori dell’istruzione e della salute. Allo stesso modo, le organizzazioni femminili possono rivelarsi partner importanti nella fornitura di servizi, nella creazione di strutture politiche e nello svolgimento di elezioni.
Pace nelle comunità: donne più capaci di empatia
Da un diverso punto di vista, è stato dimostrato che le donne costituiscono risorse preziose nell’ambito dei processi di pace all’interno delle proprie comunità e nazioni. Difatti, grazie alla loro sensibilità, pazienza e attenzione alle necessità di coloro che le circondano, le donne possono contribuire in modo rilevante ai processi di pacificazione nazionale.
Come riportato da Simon Allison per il Daily Maverik, il maggiore Shikha Mahrotra, un ufficiale indiano membro della Un Organization Stabilization Mission in Repubblica Democratica del Congo (Monusco), è convinto che la principale differenza nel modo con cui uomini e donne affrontano i conflitti risieda nella cosiddetta “intelligenza emozionale” e nell’empatia. Tratti che, secondo il maggiore, sono più comuni nelle donne.
Secondo il maggiore, «noi donne possiamo fare molto, specialmente se andiamo a pattugliare, se siamo sul campo. Se siamo coinvolte in questo genere di attività, la nostra presenza fa molta differenza. Donne, bambini, anziani ci parleranno apertamente. Con le donne, tutti possono aprirsi più facilmente. In quanto donne, possiamo sentire quello che le persone dicono, ma anche capire quello che non stanno dicendo, che a volte è più importante».
Il peacekeeping al femminile ispira la popolazione locale
Da questo punto di vista, un’adeguata inclusione delle donne nelle operazioni di peacekeeping potrebbe servire a incoraggiare e sostenere la partecipazione politica delle donne a livello locale, con l’obiettivo di promuovere la pacificazione delle società maggiormente colpite dal conflitto. In altre parole, le donne impiegate nelle missioni di peacekeeping, come militari ma anche civili, potrebbero servire da ispirazione e modello per la popolazione locale, specialmente in società storicamente caratterizzate da un ruolo secondario delle donne a livello politico e decisionale.
Difatti, nonostante molti governi di paesi in via di sviluppo, in regioni come l’Africa subsahariana, gli Stati arabi ed il Sud-est asiatico, non incoraggiano le donne a partecipare attivamente ai processi decisionali, le forze di pace femminili in queste regioni costituiscono modelli di comportamento per le loro rispettive comunità, aiutando ad ispirare e responsabilizzare le donne e le ragazze a battersi per i propri diritti e per la pace.
Ostacoli alla partecipazione di donne nel peacekeeping
In conclusione, risulta cruciale incoraggiare una partecipazione sempre più rilevante delle donne nelle operazioni di peacekeeping, identificando ed eliminando le principali barriere che costituiscono un ostacolo a tale partecipazione. La necessità di conciliare la vita familiare e quella lavorativa, nonché il divario salariale tra uomini e donne, sono solo alcune delle difficoltà incontrate dalle donne che intendono intraprendere una carriera nell’ambito delle missioni di pace. Togliere di mezzo questo genere di ostacoli permetterebbe di includere un sempre maggior numero di donne nelle missioni di peacekeeping, con sostanziali benefici connessi alla loro partecipazione e alla buona riuscita delle missioni.
In ogni caso, le necessità e problematiche specifiche delle donne sia durante sia dopo i conflitti rappresentano un settore di importanza fondamentale per il mantenimento della pace e sicurezza internazionale, settore che non può essere trascurato in nessuna fase delle missioni di peacekeeping, né dalle donne né dagli uomini impiegati nelle missioni o nella fase decisionale che le precede.