Seafuture 2018: a La Spezia navi militari offerte ai regimi autoritari

Seafuture 2018 si presenta ufficialmente a La Spezia come il salone della sostenibilità e dell'innovazione. Eppure, di fatto, si è trasformato in un salone dell'usato militare, dove la Marina Militare cerca di vendere navi dismesse. Senza andare troppo per il sottile sui potenziali acquirenti: tra gli invitati ci sono regimi autoritari di mezzo mondo

Un salone dell’usato militare per promuovere la vendita delle navi dismesse dalla Marina Militare. Il tutto spacciato con lo slogan della sostenibilità e dell’innovazione. È questo Seafuture 2018, l’evento che prenderà il via martedì 19 giugno all’Arsenale Militare Marittimo di La Spezia. La rassegna, organizzata dal distretto ligure delle Tecnologie marine e da altri attori pubblici e privati in collaborazione con la Marina militare, non fa mistero del suo obiettivo.

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Come annunciato fin dalla prima conferenza stampa di questa edizione, che non a caso si è tenuta presso il circolo Sottufficiali della Marina Militare di Roma, e come ribadito nei giorni scorsi, «la manifestazione assume una grande rilevanza internazionale grazie alla presenza delle marine estere che parteciperanno coi loro rappresentanti e che potrebbero essere interessate all’acquisizione delle unità navali della Marina Militare non più funzionali alle esigenze della Squadra Navale, dopo un refitting effettuato da parte dell’industria di settore». Un salone dell’usato sicuro, quindi.

Seafuture 2018: affari militari con i paesi poveri

Contando sui quasi 6 miliardi di euro sotto forma di contributi ventennali garantiti dalla legge di Stabilità approvata dal governo Renzi nel dicembre del 2014, la Marina Militare sta infatti procedendo al rinnovo della propria flotta navale e progressivamente sta sostituendo 54 unità navali sulle 60 in servizio. La volontà di far cassa vendendo queste navi soprattutto ai paesi dell’Africa e del Medio Oriente viene spiegata con la loro «esigenza di dotazioni militari con tempi di consegna e budget più contenuti».

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Come annunciato già durante la precedente edizione di Seafuture, «le navi dismesse dalla Marina Militare rappresentano, infatti, un buon affare per le marine estere minori, perché sono garanzia di affidabilità nel tempo, in quanto progettate e costruite in Italia».

A Seafuture invitate Marine Militari di regimi autoritari

Da qui l’invito ai rappresentanti delle Marine Militari di oltre sessanta paesi (di cui però parteciperanno solo una trentina), per la gran parte monarchie assolute e regimi autoritari di mezzo mondo, oltre agli Stati internazionalmente riconosciuti per evidenti violazioni delle convenzioni internazionali.

Dall’Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Marocco e Qatar, le cui forze militari sono intervenute, senza alcun mandato internazionale, nel conflitto interno in Yemen: conflitto che in tre anni ha causato più di 10 mila morti, di cui più della metà tra la popolazione civile anche a seguito di bombardamenti indiscriminati effettuati con ordigni di fabbricazione italiana, e che ha portato a una catastrofe umanitaria senza precedenti. E, riguardo al Marocco, non va dimenticato che da più di 40 anni occupa militarmente il Sahara Occidentale violando le risoluzioni delle Nazioni Unite e i diritti umani del popolo Saharawi.

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Le Marine Militari presenti a Seafuture 2018 (screenshot del sito dell’evento)

A cui va aggiunta la Turchia, nota per la continua violazione dei diritti democratici, dell’annosa repressione del popolo curdo e per i recenti attacchi indiscriminati nelle città siriane, a maggioranza curda, di Afrin e Azaz, oltre all’indegno trattamento dei migranti e dei richiedenti asilo.

E c’è pure l’Egitto, dove continua la repressione interna del regime di Al Sisi e persiste l’inqualificabile comportamento delle autorità egiziane per il caso che riguarda l’uccisione del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni.

Non mancano nemmeno i rappresentanti delle forze militari di Israele, che da oltre 50 anni occupa illegittimamente diversi territori palestinesi e ha imposto da più di un decennio un blocco illegale sulla Striscia di Gaza sottoponendo due milioni di abitanti a una punizione collettiva.

Per non parlare, poi, di una serie di paesi africani dagli standard di sviluppo umano bassissimi (Angola, Mauritania, Mozambico, Niger, Senegal, ecc.), tra le cui priorità, più che la spesa per l’acquisizione di navi militari, dovrebbero figurare la salute, l’istruzione e la lotta alla povertà.

A La Spezia si ha voglia di far cassa ad ogni costo

Intendiamoci bene. Non intendo mettere in discussione la legittimità della Marina Militare di fornire a paesi esteri sistemi navali che, dopo il necessario refitting e adattamenti vari, possano essere da loro utilizzati per esigenze di difesa. E nemmeno intendo criticare l’intenzione di approfittare della dismissione delle unità navali per provare a rivenderle.

Quello verso cui punto il dito è innanzitutto la voglia di far cassa ad ogni costo, sottacendo sulle persistenti violazioni delle convenzioni e delle norme internazionali in materia di diritto umanitario e di diritti umani da parte dei paesi a cui vendiamo armamenti, più o meno nuovi. Fingendo di non sapere che la legge n.185 del 1990 vieta espressamente la vendita di sistemi militari, tra cui figurano le navi militari, a paesi in stato di conflitto armato, responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani e a paesi che, ricevendo aiuti economici dall’Italia, destinano al proprio bilancio militare risorse eccessive alle esigenze di difesa del paese.

Innovazione, ricerca, sviluppo: volti ufficiali di Seafuture

Ma c’è di più. Come ha fatto notare il comitato Riconvertiamo Seafuture nel suo appello, tutto questo avviene all’interno di un salone, Seafuture, che è stato presentato nel 2009 come «la prima fiera internazionale dell’area mediterranea dedicata a innovazione, ricerca, sviluppo e tecnologie inerenti al mare». Un evento che per tre edizioni ha avuto sede presso la fiera di La Spezia (LaSpeziaExpò), e non all’Arsenale militare, e in cui la Marina Militare aveva un suo spazio limitato tra gli altri espositori.

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«Nel corso degli anni Seafuture è stata trasformata in una piattaforma di business dove gli operatori principali sono le aziende del settore militare (Leonardo, MBDA, Fincantieri, Elettronica, ecc.) insieme alla Marina Militare», denuncia il comitato Riconvertiamo Seafuture, che sabato scorso ha promosso un convegno nel quale ha smascherato l’operazione di radicale trasformazione del salone fieristico messa in atto, già a partire dalle precedenti due edizioni, dal comparto militare.

Governo Conte alle prese con Seafuture e spese militari

È stata infatti la Marina Militare a trasformare, già dall’edizione del 2014, Seafuture da evento per promuovere l’economia civile del mare a salone per favorire gli affari del comparto militare. Una trasformazione sostenuta dall’allora ministra della Difesa, Roberta Pinotti, che non ha mancato di presentarsi all’edizione di Seafuture che si è tenuta nell’ottobre del 2014 proprio all’Arsenale Militare.

Alla scorsa edizione partecipò, in rappresentanza della ministra, il sottosegretario alla Difesa, Domenico Rossi. Chi parteciperà in rappresentanza del governo Conte? Al momento (domenica 17 giugno) non è dato di sapere.

È vero che il governo si è insediato solo da una quindicina di giorni e che tutto l’organico ha preso incarico solo alcuni giorni fa. Ma non è certo una questione secondaria se la neoministra della Difesa, Elisabetta Trenta, parteciperà di persona, o se invece invierà qualcuno del ministero a rappresentarla a Seafuture.

Una cosa è certa. Il “governo del cambiamento” non potrà esimersi dal prendere posizione sia riguardo a Seafuture, sia, soprattutto, rispetto alle spese militari e alle esportazioni di armamenti del nostro paese. Come per i precedenti governi, lo terremo monitorato.

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