Migranti, porti chiusi alle ong: ecco perché Salvini può farlo
Caso Aquarius: l'avvocato Francesco Del Freo, esperto di diritto marittimo, commenta la chiusura dei porti agli sbarchi delle navi con migranti in arrivo in Italia, che può essere decisa in caso di pericolo per la sicurezza. Per Salvini, quindi, l'attività di salvataggio delle ong è una minaccia per l'Italia
La polemica sul divieto imposto alla nave Aquarius di sbarcare nei porti italiani sta dividendo l’Italia. Sul piano della solidarietà in mare è evidente che la scelta è contestabile: il provvedimento sta obbligando la nave con i migranti a bordo, scortata per altro da un’altra imbarcazione della Guardia costiera, a giorni in più di navigazione in un mare in condizioni difficili. Talmente difficili da costringere la nave a un cambio di rotta per cercare un po’ di riparo. La Guardia costiera segue per impedire che qualcuno si trovi in pericolo di vita.
Critiche da Europa, ma il diritto marittimo lo permette
Critiche sull’atteggiamento italiano sono arrivate da diversi Paesi europei e ci sono giuristi che stanno organizzando ricorsi di fronte a corti internazionali. Ma il diritto marittimo dava la possibilità di ricorrere a questa misura.
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Foto: Irish Defense Forces (licenza CC BY 2.0)
«Il complesso quadro normativo può spaventare il sociologo, ma non il giurista», commenta Francesco Del Freo, avvocato esperto di diritto penale transnazionale e già difensore dell’ammiraglio della Marina Filippo Foffi nel processo sul naufragio noto come la “strage dei bambini“, che l’11 ottobre 2013 ha coinvolto un’imbarcazione diretta a Lampedusa.
Aquarius: quando chiudere i porti agli sbarchi di migranti
«Ogni porto italiano – spiega l’avvocato – ha un suo comandante che assume la funzione di capo del circondario marittimo o, nei porti più importanti, capo del compartimento/direttore marittimo».
La chiusura dei porti è prerogativa del più alto in grado, ossia il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, che può intervenire su sollecito del ministro dell’Interno. Sul piano della legge, quindi, l’intervento di Matteo Salvini e Danilo Toninelli era possibile.
Il tragitto della nave Aquarius il 14 giugno. Screenshot da Marine Traffic
«I porti possono essere chiusi a un’imbarcazione che rappresenta un rischio per la sicurezza nazionale», afferma. Questa fattispecie è inserita come secondo comma dell’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, la carta fondamentale dei diritti di rifugiati. L’articolo è intitolato Divieto d’espulsione e di rinvio al confine ed è citato spesso dagli avvocati immigrazionisti che cercano di impedire i respingimenti forzati di migranti che rischiano la vita nel loro Paese d’origine.
Migranti in Italia: arrivo da valutare insieme a sicurezza
Il respingimento è vietato se la vita del migrante è in pericolo nel Paese d’origine. Però il secondo articolo indica:
«La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del Paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto Paese».
In questo caso, spiega l’avvocato Del Freo, «la minaccia per la sicurezza sta nel flusso straordinario degli sbarchi: non potendo verificare lo status di rifugiato a bordo, il nostro Stato, una volta adempiuto agli obblighi di ricerca e soccorso, può rifiutare l’attracco specifico in uno dei suoi porti a cose normali, figuriamoci quando ci sono degli accordi, convenzioni ratificate e conferenze (quella che regola i salvataggi è la Conferenza di Valencia, ndr) dove i contraenti si sono già dati delle regole per risolvere serenamente casi simili».
Nonostante in questo momento, infatti, gli sbarchi siano diminuiti di circa l’80% rispetto a 12 mesi fa, resta comunque un «disegno preciso»: quello di costringere l’Italia a fare «il ventre molle dell’Europa» e continuare ad accogliere i migranti al posto degli altri Paesi europei, argomenta Del Freo.
Per Salvini le ong minacciano la sicurezza
Perché però chiudere i porti solo alle ong? La risposta, seguendo le linee interpretative segnate dal ragionamento dell’avvocato Del Freo, va cercata nella scorsa estate, quando è scoppiata la guerra giudiziaria sui “reati di solidarietà” tra la procura di Catania e la Jugend Rettet. Il 2 agosto la motonave della ong tedesca è stata sequestrata e i membri dell’equipaggio accusati di «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina».
Per lo stesso reato, oltre che per «associazione a delinquere», era stata fermata anche la nave dell’ong spagnola Proactiva Open Arms. A differenza della Iuventa, però, in questo caso la Cassazione ne ha ordinato il dissequestro il 24 aprile.
In 1 minuto una parola di verità, spero anche a nome vostro, sui bambini morti come bestie nel Mar Mediterraneo e sullo schifoso business dell’immigrazione, non ho mai taciuto e non tacerò adesso! pic.twitter.com/6vOI6bi8TF
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 13 giugno 2018
Nonostante non ci siano condanne, però, l’attuale governo ritiene che ci siano elementi sufficienti per considerare il lavoro delle ong un pericolo per la sicurezza nazionale. La percezione del numero uno del Viminale è sufficiente per prendere delle misure come queste, sul piano della legge. Il percorso, però, è evidentemente cominciato già nella scorso legislatura, sotto Marco Minniti.
L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione
Questa interpretazione, base giuridica per ordinare la chiusura dei porti, è contestata da gruppi di giuristi, come l’Associazione studi giuridici dell’immigrazione (Asgi), secondo cui «il diniego di accesso ai porti italiani a imbarcazioni che abbiano effettuato il soccorso in mare comporta la violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo», in quanto le persone a bordo avevano bisogno di soccorso.
In più, secondo l’Asgi, l’Italia era l’unica responsabile, in quanto Paese che ha coordinato le operazioni di salvataggio dal Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo (Mrcc).
COMUNICATO STAMPA – #Aquarius riceve l’istruzione di raggiungere un porto sicuro in #Spagna: https://t.co/ky49SR0ClI
● 629 tra uomini, donne e bambini soccorsi nel #Mediterraneo sbarcheranno a Valencia
● L’incolumità e la protezione delle persone dovrebbero essere la priorità pic.twitter.com/fOumXJ7cKi
— SOS MEDITERRANEE ITA (@SOSMedItalia) 12 giugno 2018
Quali sono i porti sicuri per il diritto marittimo?
L’avvocato Del Freo risponde così:
«Premesso che la nostra centrale operativa di Roma ha il dovere di ricercare e soccorrere i richiedenti aiuto – come è avvenuto per la nave Aquarius – ha anche la facoltà di individuare in base alle circostanze nautiche, navali e le condizioni meteo, non solo l’impiego di altre navi private nella zona di ricerca, ma anche il porto sicuro dove sbarcare (Pos, place of safety, in gergo tecnico). Chi farebbe morire degli innocenti? La cornice normativa, seppur complessa, è chiara».
È il capitano di vascello, il comandante più alto in grado della centrale operativa, a decidere quale porto è il Pos. Questa discrezionalità pone un problema dal punto di vista dei giuristi esperti di immigrazione. Infatti, è la loro valutazione, un porto come Tunisi non può essere considerato sicuro, perché la Tunisia non ha leggi che permettano di chiedere l’asilo.
«Questo però è un aspetto che non compete al salvataggio e al diritto marittimo – prosegue l’avvocato Del Freo – Se non si può attraccare in un porto, lo si stabilisce al momento, non può essere stabilito a priori». Ci deve poi essere un’istituzione internazionale che lo stabilisca.
Affinché il soccorso sia concluso non è necessario arrivare al porto: l’operazione è conclusa quando tutte le persone coinvolte nell’evento non sono più in pericolo di vita e non rischiano di essere disperse. E su una cosa le normative non confliggono: la priorità è – e deve sempre essere – salvare le vite di chi è in difficoltà in mare.