Stato islamico e talebani: una miniera di soldi chiamata “talco”

Il talco è diventato una priorità strategica per lo Stato islamico e i talebani. Global Witness ha seguito la catena di fornitura, mettendo in evidenza come il minerale venga spedito in tutto il mondo attraverso il Pakistan. Le principali destinazioni sono Usa ed Europa, che senza saperlo contribuiscono al finanziamento dell'Isis e degli scontri sul campo

Il talco potrebbe aiutare a finanziare Isis e talebani in Afghanistan. A far luce sull’ingrediente noto ai più solo per il suo utilizzo nei cosmetici, vernici e plastica è una ricerca dell’ong Global Witness, intititolata “Prenderemo le miniere a qualunque prezzo – Lo Stato islamico, i talebani e le bianche montagne di talco dell’Afghanistan“. Un’analisi che si basa su decine di fonti ascoltate e immagini satellitari, dalle quali emerge come il talco afghano sia diventato una priorità strategica per l’Isis, assicurando entrate anche per il conflitto con i loro rivali, i talebani.

Un’industria, quella del talco, alimentata da un mercato di consumo esteso, in primo luogo quello statunitense, seguito da quello europeo, dove anche l’Italia gioca il suo ruolo. Consumatori e aziende che in questi paesi potrebbero, quindi, inconsapevolmente finanziare l’insurrezione afghana.

Miniere a Nangarhar: come si finanzia lo Stato islamico

«Le miniere dell’Afghanistan possono essere una fonte economica per lo Stato islamico». La preoccupazione viene dal governo afghano, che riconosce così – come raccontano le testimonianze raccolte da Global Witness – il controllo dell’Isis su una ricca fetta di risorse minerarie del paese. È il distretto di Achini di Nangarhar, il cuore della presenza dello Stato islamico nel paese.

Secondo quanto riportato da una fonte verso la fine del 2016, «prima, Daesh, era presente solo sulle colline, dove erano presenti le miniere. Adesso è arrivato anche nei villaggi. Segno della sua maggiore forza». Si tratta di aree che contengono sia talco sia cromite, la cui estrazione ha rafforzato l’Isis.

«La gente del villaggio – prosegue la fonte – lavora con loro. Il numero di lavoratori è aumentato. Prima era di 20-40 persone, ora il numero è di 50-100».

L’attività è ulteriormente aumentata nel 2017, quando lo Stato Islamico ha aperto un ufficio a Suriya Bazaar, vicino al distretto di Sayed Akhmadkhel a Kot, dove pagherebbero e recluterebbero i lavoratori.

Stato islamico oggi, talebani e scontri per le miniere

Le miniere sotto il controllo dello Stato islamico sono diventate anche un terreno di battaglia con i talebani. Ci sono stati numerosi scontri, con feroci combattimenti. Secondo la ricerca di Global Witness, alla fine del 2017 oltre 60 mila residenti locali sono stati sfollati.

Ma l’interesse dello Stato islamico nel settore minerario non si ferma a Nangarhar. Nel distretto di Zurmat e Paktia, ad esempio, una fonte ha riferito a Global Witness che a metà del 2015, l’Isis aveva sollevato la bandiera nera del movimento e preso il controllo di quattro miniere locali dai talebani. E la minaccia si estende anche in Kunar e Nuristan e anche all’estremo nord dell’Afghanistan.

Isis: la violazione costante dei diritti umani

Decapitazioni ed esecuzioni pubbliche sono diventate il marchio di fabbrica dello Stato islamico, con vittime anche tra uomini civili e anziani. «Lo Stato islamico è crudele», sono le parole di diverse fonti ascoltate dall’associazione, nel raccontare i massacri e le torture.

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Cerimonia funebre per le vittime di un attentato in una moschea sciita il 22 novembre 2016 – Foto: Wakil Kohsar / Getty Images (dal Report di Global Witness)

Ci sono numerose segnalazioni di civili giustiziati per spionaggio, spesso sulla base di sospetti generici. Le Nazioni Unite hanno documentato nove casi simili nell’ultimo triennio. Tra i racconti emerge anche l’uccisione di un bambino di 12 anni, reo solo di possedere un telefono cellulare.

Donne senza diritti di fronte allo Stato islamico

Parlando dei terroristi dell’Isis non si può dimenticare il capitolo donne. Lo Stato islamico, secondo quanto riferiscono le fonti, ha imposto severe restrizioni sulle donne e sulla loro educazione. «L’Isis faceva rimanere le donne in casa – ha affermato una donna a Human Rights Watch – Ci dicevano che se uscivamo ci avrebbero rapite». E se sei vedova, ti fanno sposare con la forza.

Le fonti raccontano che circa 40 donne nel villaggio Lagharjo, verso la fine dell’ottobre 2017, sono state rapite da famiglie accusate di sostenere il governo e le loro case bruciate.

Ai talebani solo la droga rende più dei minerali

I talebani hanno beneficiato delle miniere di Achin, ora controllate dello Stato islamico, ben prima della sua acquisizione, presumibilmente dal 2011. E oggi, il controllo dei talebani sembra permanere nelle miniere di altri distretti, in particolare in Khogyani e Sherzad, una delle ragioni per cui l’area è diventata un campo di battaglia.

Il rapporto di un’organizzazione internazionale – citata da un’indagine condotta da Le Monde – parla di entrate locali ai talebani provenienti dal talco che si aggirano intorno ai 22 milioni di dollari nel 2014. Mentre secondo le stime di Global Witness si parla di una cifra che varia dai 2,5 milioni ai 10 milioni dollari l’anno.

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Una fabbrica di lavorazione del talco vicino a Nangarhar. Credit: Report Global Witness

Al di là dell’incertezza delle cifre, sembra evidente che l’estrazione mineraria sia una importante fonte di finanziamento talebano, portando a considerarla come il secondo più grande flusso di entrate dopo i narcotici.

Il ruolo di Europa e Usa nel finanziamento all’Isis

Il valore dei minerali dell’Afghanistan a gruppi armati come lo Stato Islamico e i talebani dipende dai consumatori nel resto del mondo. Le aziende in Europa e negli Stati Uniti, in particolare, stanno inconsapevolmente finanziando i gruppi ribelli.

Sembra certo che la stragrande maggioranza dei minerali delle miniere controllate dai ribelli a Nangarhar viene trasportato attraverso il confine del vicino Pakistan, dove viene mescolato con il talco pakistano prima dell’esportazione.

Circa il 40% del talco esportato dal Pakistan va negli Stati Uniti; il secondo mercato più importante è quello europeo. Le immagini satellitari documentate da Global Witness confermano questa rotta del minerale, mostrando lunghe file di rimorchi.

Lobby e corruzione per commerciare il talco afghano

Il governo afghano ha vietato il commercio di talco all’inizio del 2015, ma i commercianti sono riusciti a fare lobby per esportare 100 mila tonnellate. Un ricercatore ha riferito che «da allora il talco circola liberamente», con alcuni rapporti che addirittura parlano di un milione di tonnellate nell’aprile del 2016.

Il transito di minerali in Pakistan dalle aree controllate dai ribelli di Nangarhar è strettamente collegato alla corruzione dei funzionari del governo afghano, così come i pagamenti agli insorti. Tre fonti hanno riferito a Global Witness che i camionisti avrebbero comprato documenti presso l’ufficio doganale di Gumruk, che ha permesso loro di farlo transitare fino a Torkham.

Il valore medio del talco dichiarato dai commercianti in dogana è di soli 14 dollari a tonnellata, rispetto a un prezzo medio di 60 dollari a tonnellata, per il talco acquistato in Afghanistan, e 150-200 dollari per il talco venduto sul mercato globale dal Pakistan. Ciò rappresenta una perdita enorme per l’economia dell’Afghanistan.

Italia importante mercato per il minerale pakistano

Quasi tutti i minerali estratti nelle aree controllate dallo Stato islamico o dai talebani finiscono sul mercato internazionale. Una fonte ha affermato che le pietre estratte ad Achin «non vanno solo in Pakistan, vanno anche all’estero, vanno in Italia e in Australia».

Dai dati disponibili, pare che il Pakistan abbia consumato circa 120 mila tonnellate di talco nel 2016. L’ipotesi più ragionevole sostiene che il consumo interno sia ugualmente fornito da talco pakistano e afghano, nel qual caso il talco afghano costituirebbe circa l’80% del totale. E la maggior parte di questo talco, a sua volta, finisce nel mercato degli Stati Uniti. Nel 2016 gli Stati Uniti erano la destinazione per il 42% di tutte le esportazioni del Pakistan, 128.542 tonnellate, per un valore di 23,6 milioni di dollari.

Paesi europei come i Paesi Bassi (13,2% delle esportazioni pakistane) e Italia (12,8%) sono importanti compratori di talco pakistano. In totale, gli Stati Uniti e l’Ue rappresentano quasi l’80% delle esportazioni pakistane.

Multinazionali europee e commercio di talco

Esistono collegamenti diretti tra Nangarhar e il mercato occidentale. Secondo un’indagine condotta da Le Monde, almeno due società europee avrebbero acquistato talco in passato attraverso intermediari provenienti dall’Afghanistan. Si tratta della francese Imerys, che ha sospeso i suoi acquisti di talco dal Pakistan o dall’Afghanistan a metà del 2017 dopo l’indagine del quotidiano francese.

Le Monde cita anche l’italiana IMI Fabi. IMI Fabi ha messo in piedi una joint venture nel 2012 con Omar Group, una grande compagnia pakistana, sotto il nome IMI Omar Private Limited. Secondo quanto riferito, la joint venture possedeva licenze per l’estrazione di talco a Nangarhar. La produzione era di 100 mila tonnellate nel 2014, prima di ridursi a circa 25 mila tonnellate, in seguito al divieto presidenziale di esportazioni nel 2015.

La produzione è stata elaborata a Karachi, e in parte poi esportata in Italia per ulteriori perfezionamenti, prima di essere venduta in tutta Europa. Corrado Fabi, Ceo di IMI Fabi, ha affermato: «Eravamo pienamente consapevoli del divieto del governo afghano alle esportazioni di talco. Ciò ha portato l’IMI Fabi a investire pesantemente in Brasile e Australia». Fabi ha rifiutato di fornire risposte alle domande presentate da Global Witness, sostenendo di aver citato per diffamazione Le Monde.

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