Eni Nigeria, processo per corruzione internazionale avanza con fatica

Cominciano le udienze per il caso Opl 245, in cui Eni e Shell sono accusate di corruzione internazionale. Secondo la procura di Milano avrebbero pagato oltre un miliardo di dollari di tangenti per ottenere la licenza per un ricco giacimento petrolifero offshore. Le società si dichiarano innocenti

Eni e Shell sono chiamate a rispondere di corruzione internazionale in Nigeria. La principale corte dove le due compagnie andranno a giudizio è quella di Milano. Ma non è l’unico procedimento in corso. Il processo milanese vede il pm Fabio De Pasquale a rappresentare l’accusa. È il caso giudiziario più complicato tra quelli in cui è coinvolto in Cane a sei zampe e il suo esito potrebbe condizionare anche il giudizio delle altre corti.

Eni Nigeria, tempi lunghi per il processo

Il processo, per ora, procede a rilento. Da calendario, le udienze sarebbero dovute cominciare il 5 marzo. A causa dell’eccessiva mole di lavoro della X sezione, a cui era stato assegnato il procedimento, il tribunale ha provveduto a spostarlo in un’altra sezione, che avrebbe dovuto cominciare il 14 maggio. In quella data, però, la prima udienza è stata spostata ulteriormente al 20 giugno.

I fatti sui quali il pm De Pasquale ha formulato le ipotesi di reato sono avvenuti tra l’autunno del 2009 e il 2 maggio 2014. Il prolungarsi dei tempi del processo mette in agitazione le organizzazioni Re:Common, Global Witness e The Corner House, che insieme all’attivista nigeriano anti-corruzione Dotun Oloko, nel 2013 hanno consegnato l’esposto da cui è nata l’inchiesta giudiziaria.

Le organizzazioni aspettano la prossima udienza anche per capire se potranno partecipare come parte civile alla causa. Il giudice per le indagini preliminari, precedentemente, aveva respinto la richiesta. Sarà presente come parte civile, invece, il governo della Nigeria.

Le tangenti a Eni e Shell per l’Opl 245

Secondo l’ipotesi investigativa, nel 2011 Eni e Shell avrebbero pagato una tangente di 1,092 miliardi di dollari su un conto del governo nigeriano. In totale, a questo conto sono arrivati 1,3 miliardi, di cui 210 milioni di dollari ritenuti dall’accusa puliti.

Gli altri soldi sarebbero stati destinati all’acquisto della licenza per l’esplorazione di un giacimento offshore di oltre 2 mila chilometri, la cui licenza per le estrazioni petrolifere è indicata dalla sigla Opl 245. Il denaro, in seguito, da questo conto governativo sarebbe stato dirottato su altri conti bancari riconducibili a faccendieri e intermediari coinvolti nella corruzione.

Scaroni e Descalzi accusati di corruzione internazionale

Tra i 15 imputati del processo milanese, i nomi più rilevanti per l’Italia sono quello di Paolo Scaroni, all’epoca amministratore delegato di Eni e vicepresidente della banca inglese Rotschild dal giugno 2014, e Claudio Descalzi, allora direttore generale della divisione Exploration e Production del gruppo e successore di Scaroni alla guida del Cane a sei zampe. Entrambi sono accusati di corruzione internazionale.

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Foto di Cristiano Zingale (da Flickr)

Tra i nigeriani, sono coinvolti pezzi importanti della vecchia amministrazione di Goodluck Jonathan: insieme a suoi collaboratori e alti ufficiali, l’ex ufficiale avrebbe ricevuto tangenti per 520 milioni di dollari, secondo la procura.

Il Dipartimento per lo sviluppo internazionale del governo inglese (Dfid) sostiene che sotto il governo Goodluck la Nigeria abbia perso a causa della corruzione oltre 32 miliardi di dollari. 

Il ministro nigeriano al centro dell’affare Eni-Shell

Il personaggio chiave nella presunta mazzetta per l’Opl 245 sarebbe invece Dan Etete, ministro del petrolio all’epoca della dittatura di Sani Abacha, conclusasi nel 1998. Proprio quell’anno, quando ancora ricopriva il ruolo di ministro, Etete ha ceduto a un valore di mercato molto basso il giacimento dell’Opl 245 a una società di sua proprietà, la Malabu Oil&Gas.

In seguito, ha poi venduto per 1,3 miliardi la licenza dell’Opl a Shell ed Eni, le quali però sostengono di avere trattato con il governo nigeriano e non con privati.

Etete ha un passato controverso: nel 2007, prima di essere coinvolto in questa vicenda, è stato condannato per riciclaggio internazionale da un giudice francese.

«Shell e Eni erano a conoscenza della tangente»

Secondo quanto scoperto attraverso delle email interne di Shell, pubblicate da Global Witness e dal gruppo di giornalisti investigativi Finance Uncovered, i vertici dell’azienda anglo-olandese erano consapevoli che una parte dei soldi sarebbe finita all’intermediario, riporta la Bbc.

In un primo tempo, entrambe le aziende avevano negato di aver trattato con l’ex ministro, ma in seguito a queste rivelazioni un portavoce dell’azienda ha dovuto ammettere al New York Times i contatti di Shell con l’ex ministro. Secondo la trasmissione di Rai 3 Report, anche Eni era a conoscenza del fatto che l’intermediario avrebbe ricevuto una tangente.

«Presunta tangente vale l’80% della sanità nigeriana»

L’ong Global Witness sottolinea che la somma della presunta tangente Opl 245 equivale all’80% del budget sanitario nigeriano nel 2015. In Nigeria, inoltre, continua l’organizzazione britannica, il 60% della popolazione vive in condizioni di povertà.

Le risposte di Eni e Shell alle accuse

In base alla legge 231/2001 sulla responsabilità delle aziende, in Italia siedono tra gli imputati anche le due aziende.

Al momento del rinvio a giudizio, il 20 dicembre 2017, il consiglio d’amministrazione di Eni ha emesso una nota per ribadire la massima fiducia nella correttezza della società. La società ha inoltre «confermato la massima fiducia nell’Amministratore Delegato, Claudio Descalzi, sulla sua totale estraneità alle ipotesi di reato contestate e, in generale, sul ruolo di capo azienda». Lo stesso giorno Shell ha scritto:

«Siamo dispiaciuti per l’esito dell’udienza preliminare e per la decisione di iscrivere Shell e i suoi vecchi dipendenti al registro degli indagati. Crediamo che il processo si concluderà senza alcuna condanna contro Shell o i suoi ex dipendenti».

Come riporta la Corte dei Conti, a luglio 2014 l’Organismo di vigilanza e il Consiglio sindacale di Eni hanno chiesto a uno studio legale internazionale – di cui l’azienda non ha svelato il nome–  di effettuare una verifica indipendente sulla caso. Lo studio, scrive la Corte dei Conti, ha concluso «che non sono emerse evidenze di condotte illecite da parte di Eni in relazione alla transazione con il governo nigeriano del 2011 per l’acquisizione della licenza Opl 245 in Nigeria».

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Foto di Luca Mascaro (da Flickr)

Il giacimento oggetto del procedimento in Italia, in un primo tempo sequestrato per decisione dell’Alta corte federale nigeriana, il 17 marzo 2017 è stato riconsegnato a Nae e Snepco, due controllate nigeriane rispettivamente di Eni e Shell, che possiedono la licenza per le estrazioni petrolifere.

Processo a rischio per una dimenticanza del gup

L’udienza del processo è stata rinviata al 20 giugno principalmente perché il 12 giugno la Corte di Cassazione è chiamata ad esprimersi sulla legittimità del rinvio a giudizio formulato dal gup Giusy Barbara.

I legali degli ex manager di Shell, infatti, contestano il fatto che il primo decreto di rinvio a giudizio della giudice è stato integrato a una settimana di distanza perché la gup aveva dimenticato di copiare tre righe del capo di imputazione dei loro assistiti. Un errore materiale secondo l’accusa, un errore sostanziale tale da annullare il decreto per i tre ex manager Shell per la difesa.

Nel caso passasse l’istanza degli ex manager Shell, il processo sarebbe di fatto costretto a ritornare alla fase dell’udienza preliminare, che precede l’inizio del dibattimento vero e proprio. Uno scenario che spaventa le organizzazioni non governative che hanno depositato l’esposto alla procura di Milano nel 2013, in quanto porterebbe ulteriore ritardo. E il processo si preannuncia molto lungo: i testi possibili sono oltre 200. I rischi che il reato possa arrivare alla prescrizione prima della fine del processo esistono, secondo le ong.

Nigeria, Usa, Olanda: Eni e Shell a processo nel mondo

In Nigeria, l’8 maggio una ong locale, Human Environmental Development Agenda (Heda), ha aperto un altro caso giudiziario all’Alta corte federale di Lagos. Secondo Heda, il governo dovrebbe revocare la licenza Opl 245, in quanto «l’intera transazione in relazione ad Opl 245 è incostituzionale, illegale visto che non è stata assegnata legalmente, ma in modo fraudolento con pratiche corruttive», cita il sito nigeriano Vangard.

Nel 2017, anche la Commissione dei crimini finanziari ed economici (Efcc) dell’Alta Corte di Abuja ha messo sotto processo le controllate nigeriane di Shell ed Eni con l’accusa di corruzione internazionale. Finora, però, anche la richiesta di sequestro del giacimento riferito all’Opl 245 è stata rigettata.

Negli Stati Uniti Eni ha consegnato la documentazione del caso alle autorità americane, la Securities and Exchange Commission (la Consob americana) ed il Dipartimento di giustizia, «per avviare un’informativa volontaria sul tema», come ricorda una recente delibera della Corte dei Conti che ha analizzato le finanze di Eni. Le due autorità americane potrebbero decidere di aprire un fascicolo, nel caso risultassero delle presunte irregolarità.

Anche nei Paesi Bassi c’è in corso un’indagine, per la quale è attesa a breve una decisione sulla possibilità o meno di andare al rinvio a giudizio delle due società e dei loro manager e, nel caso, con quali reati a carico.

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