Immigrazione: viaggio tra verità e bufale sui migranti in Italia
Ispi riassume in dieci domande le credenze più diffuse in fatto di immigrazione. Le ong sono taxi del mare? Accogliere i richiedenti asilo costa di più? L'Europa ha lasciato sola l'Italia? Domande alle quali la politica, spesso, dà risposte strumentali. Soprattutto in tempo di perenne campagna elettorale
«Il tema immigrazione ha pagato». Lo scriveva all’indomani del voto, il 5 marzo, il politologo Roberto D’Alimonte sulle colonne de Il Sole-24 Ore. Visto lo stato di campagna elettorale permanente, con un governo ancora di là dal nascere, l’argomento in Italia si presta a molte strumentalizzazioni politiche.
Per questo l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ha pubblicato ieri un fact-checking delle credenze più diffuse sull’immigrazione in tema di sbarchi e di accoglienza. Una guida per districarsi tra bufale e pregiudizi. Il lavoro completa la guida già realizzata lo scorso anno.
Immigrazione oggi: credenze vere, credenze false
Alcuni miti sono duri a morire. Ne è un esempio l’idea delle ong come taxi del mare: il primo a dirlo era stato Luigi Di Maio, leader dei Cinque Stelle, ma oggi è diventata una credenza diffusa, in particolare in alcuni schieramenti politici. Eppure non c’è alcun nesso tra l’aumento dei viaggi – che dipende da dinamiche interne ai trafficanti libici – e salvataggi in mare.
Un sentito dire che invece ha un suo fondamento è il fatto che l’Italia sia stata lasciata sola dagli altri Paesi europei nella gestione del fenomeno. L’Unione europea aveva infatti previsto un piano di ricollocamento straordinario per 35 mila migranti sbarcati in Italia, ma in realtà ne hanno accettati solo 13 mila. A conti fatti, la solidarietà europea vale il 4% dello sforzo italiano. Poco.
Espulsioni immigrati: difficoltà con i Paesi d’origine
Altro falso mito è invece quello che in Italia non si facciano espulsioni a causa dell’inefficienza del nostro sistema. C’è un dato di verità: tra il 2013 e il 2017 i rimpatriati sono stati due su dieci tra coloro che avevano in mano il foglio di via (in Germania, al contrario, il tasso era il 78%).
Ma questa discrepanza non è colpa dell’Italia, bensì dei Paesi d’origine dei migranti, prevalentemente in Africa subsahariana, che non sottoscrivono accordi di riammissione oppure che non possono essere considerati “Paesi sicuri” e quindi possibili firmatari di questo genere di accordi bilaterali.
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La maggior parte delle espulsioni tedesche, al contrario, sono dirette a Paesi balcanici o a Paesi, come l’Afghanistan, dove Berlino ha stretto accordi nonostante le polemiche.
Dati sugli sbarchi dei migranti secondo la ricerca di Ispi
Non è detto che gli sbarchi siano destinati a interrompersi, dice l’Ispi. Nonostante il ministro dell’Interno Marco Minniti dia ormai per assodato la tendenziale riduzione delle partenze dalla Libia («in sei mesi abbiamo fermato gli sbarchi», diceva a dicembre), l’Istituto avverte che le indicazioni più importanti si hanno dai mesi tra aprile e ottobre, quando le condizioni del mare sono più favorevoli alla navigazione.
Il dato della diminuzione degli arrivi è comunque incontrovertibile: -75% rispetto al 2017, che già era in calo del 75% sul 2016.
Si riduce anche il numero dei morti, sia in numeri assoluti, sia in proporzione. Nel 2017, infatti, sono morte nell’attraversare il Mediterraneo 4.155 persone. Se la frequenza dei morti rimanesse invece come quella attuale, si arriverebbe a 1.250 in totale, cioè il 70% in meno.
Nonostante questo, la pericolosità della rotta del Mediterraneo centrale, il lembo di mare che collega la Libia alla Sicilia, tra gennaio e marzo è quasi raddoppiata, passando da un tasso di mortalità del 3,3% al 5,8%. Ma è un dato falsato dalle condizioni meteorologiche del mare, secondo Ispi.
L’immigrazione in Italia è un problema?
Dalla metà del 2017, in Italia si valutano 7 mila richieste di asilo al mese. Finché gli sbarchi sono andati aumentando, il gap fra le domande vagliate e quelle depositate è continuato ad allargarsi.
Dalla seconda metà del 2017, però, le domande d’asilo si sono drasticamente ridotte e, con loro, anche la voragine tra quelle depositate e quelle sulle quali ancora deve essere espresso un giudizio. Questo significa che il sistema è più sostenibile per quanto, calcola Ispi, ai ritmi attuali servirebbe un anno e mezzo senza nuove domande per poter evadere le quasi 150 mila rimaste in arretrato.
Il sistema d’accoglienza è sempre in crisi
Se in termini di domande d’asilo c’è stato un tentativo di gestire l’emergenza, in termini di centri d’accoglienza gli sforzi finora sono stati vani. L’obiettivo del Viminale è accogliere i migranti nei centri Sprar, un sistema costruito con i Comuni che ha degli standard ben precisi e dovrebbe garantire meno sprechi e una dignità di trattamento.
Nonostante il potenziamento del sistema Sprar, che conta 25 mila posti contro i 4 mila del 2012, le persone accolte nei centri straordinari di emergenza sono ancora l’86% del totale.
Per chi arriva in Italia per motivi umanitari trovare lavoro è un terno al lotto: lo ottiene solo il 26% del totale. E l’accoglienza degna ha necessariamente un costo: 11 mila euro all’anno a persona.
L’”aiutiamoli a casa loro” non ferma gli sbarchi
Gli esperti, riporta l’Ispi, hanno trovato una correlazione diretta tra sviluppo e tasso di emigrazione netta. La definiscono “gobba migratoria”: quando il Pil pro capite cresce, anche il tasso di emigrazione netta segue, fino a raggiungere il massimo a 5 mila dollari pro capite a parità di potere di acquisto.
Se si supera i 5 mila euro, con un Pil pro capite maggiore, allora il tasso di immigrazione tornerà a scendere. Questo significa che i primi aiuti allo sviluppo, laddove la povertà è più estrema, spingeranno più persone a migrare.
Se fino agli anni ‘90 solo il 10% di chi migrava pensava di uscire dalla propria regione – facendo l’esempio dell’Africa subsahariana, regione di provenienza della maggior parte dei migranti diretti in Italia – oggi la percentuale è quadruplicata.
Con l’aumentare della popolazione nella zona, aumentano anche coloro che vogliono partire a cercare un futuro migliore. Tra il 1990 e il 2017, il Pew Research Center calcola che circa il 25% dei migranti subsahariani ha raggiunto l’Europa (comprendendo l’Unione europea a 28, la Svizzera e la Norvegia).
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