Giornalisti: aggressioni e minacce nell’informazione italiana

Danilo Lupo, Nello Trocchia, Federica Angeli. E ancora: Giorgio Mottola e Daniele Piervincenzi. Sono solo alcuni dei giornalisti che hanno subito aggressioni fisiche, intimidazioni, querele o persino minacce di morte. Spesso a opera di personaggi pubblici. Ecco i loro racconti e le loro analisi sulla libertà d'informazione in Italia

«L’episodio del ceffone che mi ha tirato l’ex ministro Landolfi ha un numero: il centoventisette. Viene, cioè, dopo 126 episodi che si sono registrati lo scorso anno, di cronisti minacciati, picchiati, sottoposti a metodi mafiosi, querele temerarie, richieste pazzesche di risarcimento danni, intimidazioni varie». A parlare è Danilo Lupo, inviato della trasmissione televisiva Non è l’Arena in onda su La7.

L’aggressione a Danilo Lupo, giornalista di La7

Il 20 aprile scorso Lupo è stato oggetto di un’aggressione. Ha ricevuto, cioè, un potente schiaffo in volto dall’ex ministro delle Telecomunicazioni ed ex presidente della commissione sulla Vigilanza della Rai, Mario Landolfi. Il giornalista aveva avvicinato Landolfi in via della Scrofa, nel centro di Roma, rivolgendogli una domanda sulla questione dell’abolizione dei vitalizi.

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Lo schiaffo di Mario Landolfi a Danilo Lupo

All’indomani del gesto, al giornalista era arrivata – tra i primi – la solidarietà del presidente della Camera, Roberto Fico. E si era scatenata anche la reazione della Federazione nazionale della Stampa italiana (Fnsi) e di Assostampa, che, attraverso una nota congiunta, avevano lamentato:

«Questi episodi la dicono lunga sul clima che si respira nel nostro Paese, dove per i giornalisti fare il proprio lavoro, cioè rivolgere domande, diventa ogni giorno sempre più rischioso».

Le stesse organizzazioni avevano poi auspicato: «L’onorevole Landolfi trovi il modo per porgere almeno le scuse al collega Lupo».

Cosa che in effetti era poi avvenuta in diretta televisiva nel corso della stessa trasmissione condotta da Massimo Giletti, in cui Danilo Lupo aveva dichiarato:

«Il risarcimento a me non interessa. Siccome, se si aprisse il processo arriverebbe in prescrizione, propongo che l’onorevole Landolfi versi una bella quota al fondo dell’Fnsi a sostegno dei cronisti minacciati».

«Libertà giornalisti: rischi da precarietà e isolamento»

Ragiona a freddo Lupo: «È in gioco la libertà dei cronisti di raccontare il Paese, e non solo perché avvengono gesti come quello che mi ha riguardato in prima persona, o perché ad Ostia si tirano le testate ai giornalisti».

E continua: «La libertà dei giornalisti è in pericolo, in primo luogo, per le condizioni di estrema precarietà economica e isolamento in cui operano molti colleghi, nei territori periferie dell’informazione, specialmente».

Trocchia, giornalista Rai 2: «Libertà di stampa a rischio»

La pensa così anche Nello Trocchia, inviato televisivo, della trasmissione Nemo, che va in onda su Rai 2. Trocchia è un giornalista che ha firmato molte importanti inchieste giornalistiche fatte in Italia negli ultimi 10 anni: sulle organizzazioni camorristiche, i traffici illegali di rifiuti, fino alla vicenda dell’affare Consip, collezionando (anche lui) decine e decine di querele di cui non sa più tenere il conto e richieste di risarcimento.

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Nello Trocchia – Foto tratta dal profilo Facebook del giornalista

L’ultima, il giornalista l’ha ricevuta qualche giorno fa dell’Università telematica Unipegaso. Una richiesta di risarcimento record di 39 milioni di euro.

Inoltre, qualche mese fa, Nello Trocchia è stato aggredito in pieno giorno alle spalle con un pugno alla nuca nella piazza principale di Vieste, mentre girava un servizio sulla mafia foggiana.

Tre anni fa era partito anche un appello per chiedere al ministero degli Interni di dare la scorta al giornalista dopo che il colloquio di un boss in carcere intercettato aveva svelato i propositi dei clan di «spaccargli la testa».

Dice Trocchia: «Quando fai il cronista, specie in determinati territori, lo metti in conto che devi scontrarti e confortarti con certi poteri». Secondo il giornalista, la vera questione da affrontare oggi è «la precarietà, che va di pari passo con l’aumento delle intimidazioni».

«È davvero seriamente in pericolo la libertà della stampa in Italia, e non lo dico per una questione di difesa corporativa, ma perché a me sembra che in questo modo ci stiamo giocando la qualità, la stessa esistenza, della nostra democrazia».

Reporter senza frontiere: giornalisti italiani minacciati

Preoccupazioni, le stesse, a cui ha fatto riferimento l’organizzazione non governativa Reporter senza frontiere, che, nell’ultimo rapporto del 2018 sull’Italia ha rilevato come il livello delle intimidazioni perpetrate contro i giornalisti italiani non accenna a diminuire, soprattutto in Calabria, Sicilia e Campania. Non solo. Si legge nel rapporto:

«Una decina di giornalisti italiani sono ancora sotto una protezione permanente e rafforzata della polizia dopo le minacce di morte ricevute».

Il caso della giornalista di Repubblica a Ostia

Tra i cronisti minacciati c’è Federica Angeli, del quotidiano la Repubblica, che proprio lo scorso 19 aprile ha testimoniato nel processo contro alcuni esponenti del clan Spada di Ostia che si sta celebrando davanti alla Corte d’Assise del tribunale di Roma.

Federica Angeli si trova sotto scorta da 5 anni, da quando ha cominciato a subire minacce e ritorsioni per i suoi articoli che avevano documentato la mappa del potere e degli affari criminali delle famiglie di Ostia. L’ultima intimidazione, anche per lei, risale a qualche giorno fa.

Il 17 aprile scorso, infatti, Paolo Riccardo Papagni (fratello del potentissimo presidente dell’associazione Balneari, Renato), testimoniando in un processo che lo vede imputato insieme al boss di Ostia, Carmine Fasciani, aveva definito la giornalista Federica Angeli (parte lesa in quello stesso processo) “giornalaia”.

L’aggressione a Mottola, giornalista di Report (Rai 3)

Renato Papagni, invece, qualche giorno dopo aveva aggredito il giornalista di Report Giorgio Mottola. Durante la presentazione della rassegna “Ostia incontra l’autore”, il giornalista aveva avvicinato l’imprenditore, chiedendo conto di alcuni abusi edilizi che gli sono contestati dalla magistratura contabile e Renato Papagni aveva reagito spintonandolo e spingendo un foglio contro la sua bocca.

Dice Giorgio Mottola: «La cosa più rilevante di questi episodi è che i protagonisti sono uomini pubblici che sono abituati ad avere rapporti con la stampa. Nel caso dell’ex ministro Landolfi, addirittura, è lui stesso un giornalista». Mentre Papagni – continua Mottola – «oltre a essere un concessionario di beni che appartengono allo Stato, esercita anche un ruolo di controparte sindacale, essendo il presidente nazionale degli imprenditori balneari».

Gli effetti sul giornalismo: inchieste depotenziate

«L’altro elemento da considerare è che l’effetto conseguente a questo tipo di episodi è il depotenziamento della storia, dell’inchiesta, della notizia. Nell’era della disintermediazione, si assiste così alla messa in scena di una pantomima, quasi pornografica, per cui è la forma del racconto, piuttosto che la sostanza, a divenire rilevante», dice ancora Mottola.

In questo senso, dunque, i casi dei giornalisti intimiditi ad Ostia fanno scuola. Ed è cominciato lo scorso 30 marzo, a Roma, il processo a carico di Roberto Spada, accusato di aver sferrato una testata al giornalista Daniele Piervincenzi. Un gesto, secondo i magistrati, «aggravato dal metodo mafioso».

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