Cercatori d’oro: nelle miniere d’Africa alla ricerca di fortuna
A 50 metri di profondità nelle miniere tra Ciad e Libia alla ricerca del minerale che potrebbe permettere di pagare un trafficante di uomini per arrivare in Europa: ecco le drammatiche storie dei profughi sudanesi, che si sono reinventati cercatori d'oro nella regione montuosa del Tibesti
Oro e disperazione. Una storia che tanti pensano sia relegata ai tempi passati dei cercatori d’oro. Ma che in realtà si muove ancora oggi tra Sudan e Ciad. Per finire, in molti casi, sulle coste italiane. Da un’inchiesta pubblicata da The Guardian, infatti, emerge che i profughi sudanesi rifugiati in Ciad ogni giorno entrano nelle miniere della regione del Tibesti a scavare con attrezzi rudimentali e a temperature impensabili nel disperato tentativo di recuperare l’oro per pagare i trafficanti di uomini che potrebbero portarli fino in Libia e poi, da lì, in Italia, attraversando il Mediterraneo. Storie di uomini che in troppi casi restado sepolti vivi in qualche crollo.
Miniere del Tibesti, dove i cercatori d’oro sono i rifugiati
Tutto è iniziato nel 2012. In quell’anno, in Ciad, nella regione montuosa del Tibesti, al confine con la Libia, sono stati scoperti infatti dei giacimenti d’oro. E queste vene aurifere sono state subito prese d’assalto dai profughi delle tendopoli del Paese africano.
Il Ciad oggi ospita lungo il bacino del lago omonimo – il lago Ciad, appunto – gli sfollati nigeriani in fuga da Boko Haram.
Nelle regioni orientali, invece, dà ospitalità ai profughi sudanesi che si sono rifugiati nell’ex colonia francese durante la guerra del Darfur e negli anni successivi, essendo ancor oggi la regione sudanese caratterizzata dall’instabilità e dalla presenza di milizie e gruppi paramilitari.
Rifugiati sudanesi in Ciad – UN Photo/Eskinder Debebe (via Flickr)
I richiedenti asilo sudanesi presenti nel Paese di Idriss Déby sono 320 mila in tutto. E sono soprattutto quelli sudanesi a lasciare all’alba le tendopoli per dirigersi a bordo di camion nei centri dell’estrazione aurifera. Arrivati sul posto, si calano fino a 50 metri di profondità armati solo di picconi, senza alcuna sicurezza e con delle piccole torce per fare luce nelle viscere della terra.
Da cercatore d’oro alla sedia a rotelle
A raccontare la propria esperienza al Guardian è Nasrudin Omar, di 29 anni, che ha investito tutti i suoi risparmi, poco più di 200 dollari, proprio per andare a lavorare nelle miniere con il sogno di trovare le risorse necessarie per raggiungere l’Europa. Un tentativo che però si è concluso nel peggiore dei modi, tanto che ora vive paralizzato in una tenda nel campo profughi di Farchana, vicino al confine con il Sudan.
«Io sono scappato in Ciad nel 2007 quando i janjaweed assaltarono il mio villaggio di Tandikoro. Da quel momento ho vissuto come rifugiato e le condizioni di vita nel campo sono molto dure. Così, quando ho sentito che alcuni uomini andavano nelle miniere, mi sono unito a loro. Io sognavo l’Europa, non un paese specifico, semplicemente un paese dove potessi vivere in pace».
Invece il destino si è accanito sulla vita di Nasrudin Omar: mentre era intento a scavare c’è stato un crollo dovuto alle vibrazioni dei macchinari e lui è rimasto sepolto da sassi e pietre. Finendo così paralizzato dalla vita in giù.
La crisi del Darfur e le guerre tra i minatori
I cercatori d’oro provengono quasi tutti dal Darfur e si trovano di fatto confinati nell’arida regione ciadiana. Non potendo rientrare in Sudan a causa dell’insicurezza della regione, quindi, hanno deciso di cercare nell’oro una via di fuga dalla realtà che ha travolto le loro esistenze.
Mahamat Kriss Idriss, del villaggio di Tenbeba, spiega così la sua precedente vita al di là della frontiera:
«Io e altri mille abitanti della città in cui vivevo siamo stati costretti a fuggire quando il nostro villaggio è stato assaltato dai Janjaweed. Con loro non si poteva dialogare, minacciavano, uccidevano, saccheggiavano e stupravano le donne. Non c’erano alternative se non la fuga».
Chi ha provato a ritornare in Darfur a più di 10 anni di distanza dalla conclusione della guerra, racconta ancora Idriss, ha trovato una realtà ancora insicura, pericolosa. Tanto da decidere di rientrare di nuovo in Ciad e unirsi ai gruppi dei cercatori d’oro.
Una lotta tra poveri nelle miniere d’oro
La disperazione ha fatto sì che la competizione tra i diversi gruppi di minatori all’interno dei siti minerari sia altissima. Tanto che si sono registrati anche scontri con morti tra le diverse squadre di lavoro. Lo ha rivelato lo scorso anno anche un report pubblicato da pubblicato da Small Arms Survey, Graduate Institute of International and Development Studies.