El Salvador, dove l’aborto (anche spontaneo) manda le donne in prigione
In El Salvador l'aborto è illegale. Essere donna e avere un'interruzione di gravidanza, anche involontaria, può costare fino a 50 anni di carcere. È successo a Teodora del Carmen Vásquez, liberata a febbraio dopo 11 anni di carcere. E sta accadendo ad altre 25 donne, ancora in prigione
In El Salvador l’aborto è illegale. Ed essere donna e avere una complicanza ostetrica può costare fino a 50 anni di prigione. Questo è quello che è successo a Teodora del Carmen Vásquez, 34 anni. Nel 2007 era incinta, lavorava come cuoca in una mensa scolastica. La sua colpa è stata quella di aver avuto un parto prematuro nell’ultimo mese di gravidanza. Il suo bambino è nato morto. I medici che l’hanno assistita hanno detto che è stata lei ad aver provocato l’aborto, anche se l’autopsia poteva far pensare a un problema naturale.
Teodora è stata accusata di omicidio, condannata a 30 anni e rinchiusa nel carcere femminile di Ilopango. Nel dicembre 2017 la Corte Suprema e il ministero di Giustizia hanno deciso di ridurle la pena per insufficienza di prove. È stata scarcerata a febbraio 2018. Dopo quasi 11 anni ha potuto riabbracciare la famiglia e suo figlio di 13 anni.
Maira, incarcerata a 19 anni per aborto spontaneo
Una vicenda molto simile a quella di Teodora l’ha vissuta Maira Verónica Figueroa Marroquín. Lei è stata scarcerata il 14 marzo dopo 15 anni di prigione. Ancora una volta a concedere la commutazione di pena sono stati la Corte Suprema e il ministero di Giustizia, che hanno ridotto la condanna da 30 a 15 anni.
Nel 2003 Maira aveva 19 anni quando ha partorito nella casa dove lavorava come domestica. In seguito a una forte emorragia è stata trasportata all’ospedale Nazionale di Chalchuapa. Lì è stata arrestata e accusata di aver provocato l’aborto. In seguito, il procuratore generale della Repubblica, dopo aver confermato lo stato di gravidanza avanzata di Maira e non essere stato in grado di definire gli eventi verificatisi come aborto, ha cambiato la classificazione del reato in omicidio aggravato.
Donne chiedono depenalizzazione aborto al governo
Il 9 aprile Teodora è volata a Bruxelles insieme ad altre attiviste salvadoregne, tra cui Catalina Martínez Coral, direttrice regionale del Centro per i diritti riproduttivi (Center for Reproductive Rights, o Crr), l’ong internazionale che l’ha assistita legalmente. Al Parlamento europeo hanno chiesto di fare pressione sul governo di San Salvador affinché abbia inizio il processo di depenalizzazione dell’aborto, visto che la legge lo considera al pari di un omicidio aggravato, anche quando è involontario.
«È importante che siano fatti i dovuti sforzi affinché lo stato salvadoregno garantisca la libertà delle donne che sono ancora in carcere», ha ribadito Teodora.
La sua storia, infatti, ha aperto uno spiraglio di speranza per le altre 25 donne che, come lei, sono accusate di omicidio per aver abortito e si trovano ancora in prigione.
A dare una spinta ulteriore a queste rivendicazioni c’è anche un progetto di legge che potrebbe legalizzare l’interruzione di gravidanza in alcuni casi. Questo progetto, però, potrebbe passare solo se venisse approvato entro aprile, prima cioè che si insedi la nuova assemblea legislativa dove, dopo le elezioni di marzo, saranno i conservatori a prevalere.
Aborto illegale in altri cinque paesi dell’America Latina
El Salvador però non è l’unico paese dell’America Latina dove le donne sono costrette a confrontarsi con questo problema. Ce ne sono altri cinque, come si vede dalla mappa realizzata dal Centro per i diritti riproduttivi, in cui vige il divieto assoluto di abortire, incluso il caso in cui la vita della madre sia a rischio. Sono Nicaragua, Honduras, Repubblica Dominicana, Haiti e Suriname. A richiamare l’attenzione su questa «politica draconiane» è stato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.
«La criminalizzazione dell’aborto è un’estrema forma di violenza contro le donne. E anziché ridurre questa pratica, la rende solo insicura», ha dichiarato Shetty al Guardian a Buenos Aires dopo un incontro con Mauricio Macri.
Il presidente dell’Argentina ha deciso, infatti, di aprire un dibattito in Parlamento proprio per rivedere la legge in materia.
La lotta delle donne nello Stato di El Salvador
Teodora del Carmen Vásquez è diventata un simbolo di lotta. Uscita dal carcere, ha deciso di farsi carico in prima persona della battaglia contro il divieto assoluto di aborto nel suo paese, appoggiata dal Centro per i diritti riproduttivi.
«Il Crr non smetterà di denunciare le violazioni dei diritti umani causate dalla proibizione totale dell’aborto in El Salvador», ha dichiarato, subito dopo la liberazione di Teodora, Catalina Martínez Coral.
«Lavoreremo insieme alle organizzazioni locali e internazionali e andremo avanti fino a quando la riforma della legge sull’aborto non sarà realtà e il diritto riproduttivo delle donne non sarà protetto e rispettato».
La legge sull’aborto e le proposte di riforma
La normativa in vigore adesso risale al 1998. Prima di allora, in El Salvador c’erano delle condizioni particolari per cui l’aborto era ammesso. Attualmente, al vaglio della Commissione ci sono due proposte di riforma dell’articolo 133 del codice penale.
La loro attuazione renderebbe l’interruzione di gravidanza legale in determinati casi specifici: quando è a rischio la salute o la vita della donna, quando il feto non ha speranza di vita extrauterina e quando la donna sia rimasta incinta in seguito a una violenza, a uno stupro o perché costretta a prostituirsi.
La prima è stata presentata nel 2016 dalla deputata del partito di centrosinistra Fmln, Lorena Peña Mendoza. La più recente, invece, è stata depositata ad agosto 2017 da Johnny Wright Sol, deputato eletto nelle liste del partito di centrodestra Arena, da cui però è uscito lo scorso anno.
Attivisti e difensori dei diritti in prima linea
I difensori dei diritti hanno lanciato una campagna social, “Voten sin prejuicios” (Votate senza pregiudizi), per invitare i politici a prendere una posizione chiara al riguardo. A fare una scelta che promuova non solo la salute delle donne, ma che tuteli anche le famiglie dai danni che può provocare la condanna o la morte di una madre e moglie.
Mercoledì 11 aprile decine di donne e uomini, tra cui molti attivisti del Gruppo cittadino a favore della depenalizzazione dell’aborto (Agrupación Ciudadana por la Despenalización del Aborto) si sono presentati davanti all’Assemblea Legislativa per chiedere ai deputati e alle deputate la riforma dell’articolo 133. Il dibattito pubblico è al massimo della sua espressione. Non manca molto, infatti, alla fine del mese.
Secondo Sara García, che fa parte della commissione di pressione politica del Gruppo cittadino, «è di estrema importanza che i deputati e le deputate si facciano carico di un dibattido serio, scientifico e laico. Ci sono già abbastanza prove affinché possano prendere una decisione e modificare questa legge. Il momento per farlo è adesso e questa legislatura si deve assumere questa responsabilità».
Criminalizzazione ingiusta delle donne
«Il Gruppo cittadino – continua García – ha registrato diversi casi di donne che sono state criminalizzate ingiustamente. Al momento sono 25 le donne che stanno affrontando questo tipo di pena. Il Gruppo le accompagna nel processo di difesa ma anche di denuncia. Per questo, il 17 di aprile è stato istituito un tribunale di giustizia simbolico. È stato un momento per dimostrare come nello stato salvadoregno i diritti siano violati sistematicamente. Un momento in cui far prevalere un altro tipo di giustizia, una giustizia che tenga in considerazione i diritti umani, una giustizia femminista».
Un gruppo di attiviste davanti all’Assemblea legislativa. Foto: Agrupación Ciudadana
«Il ruolo della società civile in El Salvador è fondamentale perché – spiega Sara – ci sono proposte di legge che giacciono inascoltate da più di 10 anni. La prima sulla riforma dell’articolo 133 è stata presentata nel 2016 e ancora non c’è stato un dibattito nell’Assemblea Legislativa. Per questo è importante che non si spengano i riflettori su questo tema e noi siamo qui per questo».
La richiesta delle Nazioni Unite
A richiedere una moratoria dello stesso articolo, a novembre del 2017, era stato anche il Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.
Al termine della sua missione nel paese latinoamericano, Zeid Ra’ad Al Hussein si era detto «sconvolto dal fatto che, a seguito di questo divieto assoluto, le donne vengano punite per aborti spontanei e altre emergenze ostetriche, accusate e condannate per aver indotto la cessazione della gravidanza».
Per questo aveva chiesto allo stato salvadoregno di rivedere tutti i casi in cui le potenziali madri sono state detenute per reati legati all’aborto. Un appello rivolto direttamente al Presidente Sánchez Cerén e all’Assemblea Legislativa, affinché El Salvador «mantenga gli obblighi di rispetto dei diritti umani che ha preso a livello internazionale».